Recensione a S. Mancuso, Liquidità e comparazione. Un breve viaggio tra diritto, antropologia e sociologia

L’espressione “società liquida” è del sociologo Zygmunt Bauman, il quale con il rinvio al concetto di liquidità è riuscito a cogliere e descrivere le caratteristiche della modernità: una società, quella attuale, ove “le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure”, per cui “non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo” (Z. Bauman, Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. XXII della prefazione).
Dunque Bauman, nelle sue molte opere, utilizza la nozione di liquidità per spiegare l’incertezza, il relativismo e l’individualismo, la flessibilità, la vulnerabilità di realtà collettive e degli individui, l’eccessiva rilevanza dell’apparenza (intesa come ciò che appare ed è, per ciò mutevole) e dell’effimero, il consumismo e la shelf life di cose, persone e tendenze, l’isolamento e la solitudine degli individui, gli effetti della televisione e della rete sulla vita delle persone.
Salvatore Mancuso nel suo ultimo libro, si pone alcuni interrogativi: nella società liquida esiste un diritto liquido? E se esiste, quali sono le sue caratteristiche? Nel cercare risposta a queste due domande, in effetti, se ne pone altre, ma svolge una serie di interessanti ed importanti riflessioni su come e dove è prodotto il diritto nella “società liquida”.§
L’analisi che segue alle domande parte da tre premesse, che per l’autore sono fondamentali.
La prima: “il diritto è un’infrastruttura di regole prodotto di una data società e della sua cultura” e “l’osservazione sul diritto prescinde dai singoli modelli e dalle tradizioni giuridiche che compongono il caleidoscopio giuridico mondiale”, per cui “tutte le culture giuridiche meritano uguale dignità e considerazione, in quanto prodotto di esseri umani che, per definizione sono tra loro tutti uguali” e ciò a prescindere dalla circostanza che si possa “essere o meno d’accordo con i principi espressi da una data cultura giuridica” (p. 11).
La seconda: il diritto si manifesta in diverse forme ed attraverso diversi ordini normativi all’interno di un dato sistema giuridico; può anche prescindere dalla matrice statuale classica nella sua dimensione territoriale, fino ad avere connotazioni ora di natura particolare e locale, ora di natura globale. La produzione, cioè, non è solo statuale, ma anche internazionale, transnazionale e sovranazionale. Queste dimensioni vengono descritte come “spazi-non luoghi fisici” utili affinché il diritto si liberi dei confini statuali per rispondere a nuove geografie del potere, così come ce le hanno descritte diversi autori nella lettura italiana e straniera, tra i quali M. Bussani (Il diritto dell’occidente. Geopolitica delle regole globali, Torino, Einaudi, 2010), M.R. Ferrarese (Prima lezione di diritto globale, Roma-Bari, Laterza, 2012) e W. Twining (Globalisation and Legal Theory, Evanston, Butterworths, 2000) ed altri, che Salvatore Mancuso cita e maneggia con cura e abilità.
La terza: il punto di vista interno dell’osservatore, così lo classificherebbe il filosofo del diritto H.L.A. Hart (Il concetto di diritto, trad. it. di M. Cattaneo, Torino, Einaudi, 1965, ultima ed. 2002), mentre il nostro Autore lo definisce “approccio soggettivo al fenomeno giuridico”, fortemente legato alle “personali percezioni della realtà giuridica come si presenta oggi all’osservatore, che possono essere senza dubbio incomplete o non condivisibili”, ma che, una volta messe a sistema, contribuiscono ad arricchire le riflessioni su “dove va il diritto nella società odierna” e sulle sue continue mutazioni in un contesto “liquido” (p. 12).
Il libro si articola in cinque capitoli. Nel primo si affronta il pensiero di Bauman, nel tentativo, arduo per un non-sociologo, ma – a mio avviso - riuscito, di cogliere e riassumere i caratteri della società liquida, per poi avviare il discorso verso una prospettiva più giuridica.
Il viaggio, che parte da premesse di carattere sociologico, dunque, nel secondo capitolo procede verso il giuridico, per cui l’Autore si sofferma su alcune caratteristiche essenziali del diritto, su come questo si è evoluto da una fase della solidità verso un’altra della liquidità. Ciò passa inevitabilmente dalla crisi dell’idea dagli Stati moderni-sovrani e dall’indebolimento della statualità e territorialità nella produzione del diritto. Si tratta di fenomeni dipendenti da diversi fattori, che hanno dimensioni ora locali ora globali, che l’Autore in punta di penna elenca, menziona e, talvolta, approfondisce (più nel IV capitolo).
La liquidità del diritto è legata a doppio filo all’emergere di un diritto a vocazione globale, “un diritto senza” ovvero caratterizzato da alcune emblematiche mancanze: “1) quella della legislazione, con i suoi autori così identificabili e politicamente connotati: 2) quella di un proprio territorio di riferimento; 3) quella di una proprio società di riferimento che insiste su un territorio” (M.R. Ferrarese, Prima lezione, cit., p. 53). Queste tre mancanze o “assenze”, come le chiama Ferrarese, avvicinano il diritto contemporaneo ai parametri della liquidità.
Il diritto liquido, in una società liquida, è tale a causa ed in funzione di un certo modo di intendere la spazialità e la capacità del diritto di “sconfinare” (p. 79) la dimensione territoriale attraverso forme che gli permettono di superare i confini nazionali. Ciò coinvolge la natura e matrice delle regole, quello che Salvatore Mancuso chiama il “processo della loro fusione”, la loro applicazione e l’efficacia, appunto, territoriale o meno, ovvero la loro pervasività ovvero la capacità di disciplinare situazioni giuridiche che non fanno necessariamente riferimento a fatti, cose e persone che si muovono sul territorio di uno stato, ma anche a fenomeni transnazionali e globali (cap. III).
Per non riuscire ostico ed astratto ed anche per dimostrare e validare le ipotesi formulate, nel quarto capitolo, il viaggio necessita di procedere attraverso un’analisi per esempi paradigmatici.
Dunque, Salvatore Mancuso, attraverso “alcuni esempi in ordine sparso”, affronta temi quali la lex mercatoria, i principi Unidroit, il ruolo performativo della finanza internazionale, l’efficienza di alcune forme di soft law nel guidare le condotte dei soggetti che ne sono destinatari e nello stesso tempo produttori, il modo di intendere i concetti di democrazia (partendo da Bobbio N., Il futuro della democrazia, Torino G. Einaudi, 1995) e di rule of law (U. Mattei, voce Rule of Law, in Dig. IV, Disc. priv., sez. civ., (1998) UTET, Torino, vol. XVIII, p. 123 e, più di recente, Mattei U., Nader L., Plunder: When the rule of law is illegal, Maiden, MA, Blackwell, 2008) e di rule by law (Tamanaha B.Z., On the rule of law. History, Politics, Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 2008), mostrando come ed in che misura i diversi fenomeni sono espressione di una certa liquidità del diritto.
Attraverso alcuni esempi, talvolta “classici” della comparazione giuridica, talaltra assai peculiari e per molti versi più interessanti, perché frutto dell’esperienza di vita, didattica,  di studio e ricerca dell’Autore in Paesi dell’Africa e dell’Asia, si conferma che “l’assenza di legislazione” e di territorialità sono dovute alla circostanza che il diritto a vocazione globale, così come i diritti tradizionali, spontanei, informali, non utilizzano la forma del provvedimento legislativo, ma non per questo sono meno idonei a svolgere la funzione loro propria di strumenti di controllo sociale. Le rispettive fonti hanno matrice diversa (contrattuale, pattizia, comunitaria, ancestrale) e utilizzano linguaggi e procedure di produzione tra loro eterogenei. I caratteri tipici della legislazione (pubblicità, normatività e scrittura) subiscono una forte erosione con l’affermarsi di “diritti diversi”, che sono difficilmente sistematizzabili e classificabili, perché non idonei ad essere collocati all’interno di un ordine gerarchico, perché certamente complicano sensibilmente il panorama giuridico, perché in quanto privi di una forma fissa e definita, si modificano, si scompongono e si ricompongono di nuovo.
Se avessi scritto il libro, avrei introdotto i concetti di parallel legal orders e di minority/majority legal orders (volendo classificare per quantità, senza fare classifiche sulla base di giudizi di valore), utilizzando due espressioni utilizzate da Menski, per descrivere forme di pluralismo giuridico, che contribuiscono a caratterizzare la liquidità di cui ci ha raccontato Bauman con riferimento alla società e ora ci racconta Mancuso avuto riguardo al diritto. Quest’ultimo ritiene, infatti, che “la legislazione tradizionale non riesce a rispondere alle esigenze di questo universo sociale frantumato, caratterizzato da individualismi, multiculturalismi, centri di interesse, forme di affiliazione nuove e tradizionali, e nuove forme giuridiche di carattere misto, ibrido”, che “sorgono per colmare questa lacuna” (p. 87).
In questo quadro, a tinte fortemente relativiste, nell’ultimo capitolo l’Autore si chiede se “si può comparare liquido?” (p. 132) e cosa può fare il giurista comparatista per dare un contributo alla rotta del viaggio, quali sono gli strumenti a disposizione nella valigetta degli attrezzi per contribuire a governare la liquidità, evitando che elementi essenziali della “sostanza-diritto” vadano dispersi nei “processi di liquefazione, gassificazione o solidificazione”. Nella parte conclusiva, Salvatore Mancuso osserva alcune “mutazioni nel diritto comparato”; offre la sua ricetta per utilizzare il metodo di Rodolfo Sacco basato sulla scomposizione e misurazione di formanti e crittotipi; tratta dei fenomeni di imitazione, recezione e circolazione dei modelli giuridici (e non) e tenta di spiegare, anche attraverso l’approccio induttivo, il concetto di legal hybridity.
Il “breve viaggio” di Salvatore Mancuso è un percorso nel quale l’Autore, dopo una puntuale e prudente actio finium regundorum, da giurista, dialoga con la sociologia e l’antropologia, ma anche con la storia, mostrandosi sensibile e vicino a quei comparatisti (la cui impostazione è condivisa a pieno da chi scrive) che, da una lato, hanno intuito già da tempo la “volatilità” della frontiera tra “pubblico” e “privato” e, dall’altro, hanno consolidato un metodo di ricerca che ci consente di spaziare tra argomenti fluidi e difficilmente inquadrabili in questo o in quel “sotto-settore”, ma soprattutto che hanno “scoperto” il gusto di dialogare con altre discipline per affrontare l’analisi di temi anche estremi e di frontiera.
Non stupisce, dunque, che, proprio con questo background ed anche per via di quello personalissimo di lunga esperienza in insegnamento e studio in Asia ed Africa, Salvatore Mancuso abbia voluto affrontare temi, come quelli trattati in questo bel libro, che hanno molteplici risvolti, che lo hanno naturalmente portato a confrontarsi con studiosi di altre discipline, sviluppando forme di analisi interdisciplinare o multidisciplinare che, a mio avviso, sono la base e la ricchezza della comparazione giuridica.


Obbligatorietà e conciliazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La Corte di Giustizia Europea, nell’ambito di un giudizio di rinvio pregiudiziale, con una sentenza del 18 marzo scorso (casi C-317/08,318/08-319/08-320/08), ha ribadito il favor conciliationis più volte espresso in ambito europeo anche dalle altre Istituzioni, statuendo che “l’art. 34 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale) dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale le controversie in materia di servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori di tali servizi, che riguardano diritti conferiti da tale direttiva, devono formare oggetto di un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come condizione per la ricevibilità dei ricorsi giurisdizionali. Neanche i principi di equivalenza e di effettività, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad una normativa nazionale che impone per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, e purché la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone”.

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