Art. 6 CEDU e sindacato giurisdizionale dei provvedimenti delle “Autorità amministrative indipendenti”: un problema solo italiano?

Il 27 settembre scorso, nel caso Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia (n. 43509/08) la Corte europea per i diritti dell’uomo ha riconosciuto che il sistema italiano di controllo giurisdizionale dei provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti, connotati da discrezionalità tecnica, è conforme all’art. 6 § 1CEDU.

La pronuncia è stata resa in esito al ricorso presentato dalla Menarini, la quale aveva visto confermare dal Tar Lazio (e, quindi, dal Consiglio di Stato in appello e dalla Corte di Cassazione in punto di giurisdizione) il provvedimento con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva comminato alla società una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 6 milioni di euro per un’intesa vietata dall’art. 2 della Legge n. 287/1990 (I461 – Test diagnostici per il diabete).

Nel caso Menarini c. Italia, la Corte europea si è trovata ad affrontare due temi: il primo, in sede di esame di ricevibilità del ricorso, attinente all’applicabilità dell’art. 6 § 1 CEDU con riferimento alle sanzioni irrogate dall’AGCM; il secondo, nel merito, relativo alla compatibilità, con la stessa disposizione, dei limiti che il sindacato giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi connotati da discrezionalità tecnica incontra nel sistema italiano.

 

Competenza ratione materiae e carattere “penale” delle sanzioni AGCM

Ai fini della ricevibilità del ricorso, la Corte europea ha verificato se la violazione lamentata dalla Menarini fosse scaturita da un’“accusa penale” nel senso richiesto dall’art. 6 § 1 CEDU, il quale prevede che:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti […]”.

A tale riguardo, la Corte ha fatto applicazione dei tre criteri alternativi sanciti nel caso Engel c. Paesi Bassi , attinenti:

(i) alla qualificazione formale a livello nazionale del procedimento che ha portato alla comminazione della sanzione,

(ii) alla natura dell’illecito,

(iii) al grado di severità della relativa sanzione.

 

La Corte ha rilevato che nell’ordinamento italiano gli illeciti anticoncorrenziali non possiedono formalmente natura penale, in quanto essi sono sanzionati non ai sensi di norme penali ma ai sensi della Legge n. 287/1990 “per la tutela della concorrenza e del mercato”. Nondimeno, le sanzioni irrogate dall’AGCM possiedono sostanzialmente carattere penale, secondo la Corte, in quanto perseguono il duplice obiettivo di prevenire e reprimere le condotte anticoncorrenziali realizzate dalle imprese, obiettivo emerso – nella fattispecie – considerando la gravità della sanzione (6 milioni di euro) dotata, dunque, di carattere punitivo.

 

Insussistenza della violazione dell’art. 6 § 1 CEDU

Nel merito, la Corte europea ha chiarito che la violazione dell’art. 6 § 1 CEDU va determinata, nel caso di specie, non con riferimento al procedimento svolto in via amministrativa dall’AGCM ai fini dell’irrogazione della sanzione. Oggetto d’esame da parte della Corte è stata, invece, la successiva fase di controllo giurisdizionale svolto dai giudici amministrativi italiani nei confronti del provvedimento dell’AGCM.

Con questo rilievo si chiarisce, in altri termini, che la pronuncia resa nel caso Menarini c. Italia non attiene (almeno direttamente) al dibattuto tema del cumulo di poteri di indagine, di promozione del procedimento e decisionali in capo alla medesima autorità che irroga la sanzione. Il caso, invece, attiene all’adeguatezza del sindacato di legittimità svolto da parte dei giudici amministrativi italiani, secondo la consolidata giurisprudenza nazionale in materia di impugnazione dei provvedimenti connotati da “discrezionalità tecnica” quali sono quelli assunti dall’AGCM.

Al riguardo si può ricordare che, nel nostro ordinamento, la Legge n. 287/1990 conferisce all’AGCM il potere di specificare ed applicare – nell’ambito del margine di discrezionalità tecnica di cui l’Autorità è, dunque, per legge dotata – i contenuti di norme che richiedono valutazioni tecnico/economiche. In sede di sindacato del provvedimento così assunto dall’AGCM, per il principio costituzionale della separazione tra i poteri il giudice amministrativo può solo verificare se il provvedimento stesso sia stato correttamente assunto entro il margine di discrezionalità che la legge conferisce all’AGCM. Il giudice può annullare il provvedimento qualora riscontri vizi di legittimità (i.e. violazione di legge, incompetenza e eccesso di potere), mentre non è ammesso a sostituire la propria autonoma decisione a quella effettuata dall’AGCM. Come chiarito dalla giurisprudenza, invece, il giudice amministrativo esercita un sindacato pieno sulla sanzione irrogata dall’AGCM, potendo procedere alla sua riquantificazione (in particolare, si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2199/2002).

Nel valutare la compatibilità dell’attività svolta in particolare dal TAR e dal Consiglio di Stato con riferimento al provvedimento sanzionatorio emesso nei confronti della Menarini, la Corte europea ha evidenziato come – nella fattispecie – i giudici italiani si siano adeguatamente soffermati ad esaminare gli elementi di fatto e di diritto posti a base della sanzione, l’uso dei poteri discrezionali dell’AGCM in relazione alle peculiarità del caso concreto, e la fondatezza e proporzionalità delle decisioni assunte dall’AGCM anche in relazione all’applicazione delle nozioni di ordine tecnico.

Con particolare riferimento alla sanzione, inoltre, la Corte europea nota che i giudici amministrativi italiani hanno svolto un controllo di “pleine jurisdiction” (giurisdizione estesa al merito), in quanto avrebbero potuto procedere alla riquantificazione della sanzione stessa qualora avessero accertato un’eventuale violazione del principio di proporzionalità.

Su tali basi, la Corte europea conclude che il provvedimento assunto dall’AGCM nei confronti della Menarini è stato oggetto di un adeguato controllo da parte di “organes judiciaries de pleine jurisdiction”, con ciò dovendosi escludere la violazione dell’art. 6 §1 CEDU.

 

L’opinione dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque, l’art. 31 del Regolamento n. 1/2003/CE e l’art. 134 del Codice del Processo Amministrativo

La pronuncia della Corte europea nel caso Menarini c. Italia è corredata dall’opinione dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque, la quale suscita riflessioni e domande che dall’ordinamento italiano si proiettano verso quello dell’Unione europea.

In sintesi, il giudice Pinto sembra prendere la fattispecie oggetto del ricorso come spunto per una valutazione generale sull’adeguatezza del sistema italiano relativo al sindacato giurisdizionale dei provvedimenti connotati da discrezionalità tecnica. Secondo il giudice Pinto, il fatto che solo l’AGCM abbia il potere di applicare alle fattispecie concrete le nozioni di ordine tecnico previste dalla Legge n. 287/1990 e che il giudice non possa sostituire la propria autonoma decisione a quella assunta dall’Autorità con il provvedimento impugnato, implica uno stato di soggezione del giudice amministrativo il quale “doit s’incliner devant les toutes-puissantes autorités administratives”. Il sistema in sé, dunque, non sarebbe conforme all’art. 6 §1 CEDU, e presenterebbe, inoltre, “graves problèmes face au principe de la séparation des pouvoirs et au principe de la légalité des sanctions” ai sensi dell’art. 7 CEDU.

Il giudice Pinto fa, tra le altre, due notazioni che si vorrebbero lasciare al commento dei lettori di questo blog.

In primo luogo, egli ritiene che l’insufficienza di un controllo di mera legittimità sia confermata dal disposto dell’art. 31 del Regolamento n. 1/2003/CE , il quale definisce l’ampiezza del sindacato della Corte di giustizia dell’Unione europea nei confronti delle decisioni con le quali la Commissione europea irroga sanzioni alle imprese per violazioni degli artt. 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (in materia rispettivamente di intese anticoncorrenziali e abuso di posizione dominante). L’art. 31 testualmente prevede che:

“La Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione irroga un’ammenda o una penalità di mora. Essa può estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità di mora irrogata”.

  Secondo il giudice Pinto, l’art. 31 conferirebbe alla Corte di giustizia una giurisdizione di merito sull’intera decisione che commina l’ammenda e non solo sulla sanzione.

Inoltre, con una nota “optimiste” negli intenti, l’opinione dissenziente si sofferma in conclusione sull’attuale contenuto dell’art. 134 del Codice del Processo Amministrativo italiano (D.Lgs. n. 104/2010 in vigore dal 16 settembre 2010), il quale attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione estesa al merito con riferimento alle sanzioni pecuniarie, comprese quelle irrogate dalle Autorità amministrative indipendenti. La norma prevede testualmente che:

“Il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie aventi ad oggetto: […] c) le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti; […]”.

Secondo quanto si legge nell’opinione, l’entrata in vigore del nuovo Codice del Processo Amministrativo con l’art. 134 avrebbe, dunque, adeguato l’ordinamento italiano allo standard richiesto dall’art. 6 § 1 CEDU.

Fermo che l’art. 134 del Codice del Processo Amministrativo deriva dalla codificazione di norme previgenti (in proposito, si veda la già citata sentenza n. 2199/2002 del Consiglio di Stato, Sez. VI), l’opinione dissenziente porta (se letta a contrario) a questa conclusione: qualora si interpreti l’art. 31 del Regolamento n. 1/2003/CE e l’art. 134 del Codice del Processo Amministrativo nel senso che tali norme conferiscono ai giudici piena giurisdizione di merito solo sulla sanzione e non sulla decisione in sé, l’ordinamento dell’Unione europea e l’ordinamento italiano si troverebbero su questo aspetto – e per analoghe ragioni – in contrasto con la Convenzione europea per i diritti dell’uomo ed in particolare con l’art. 6 § 1CEDU.

Per citare le conclusioni dell’Avvocato generale Sharpston nel caso KME Germany e al. (C-272/09 P), i temi sollevati assumono, dunque, le dimensione di una “critica generale all’intero sistema” vigente non solo in Italia ma nello stesso ordinamento dell’Unione europea, per quanto attiene al controllo giurisdizionale delle decisioni connotate da discrezionalità tecnica.