Argomenti comparativi e giurisprudenza sovranazionale: note minime a margine del recente volume di Giorgio Repetto

Ci sarà un prima ed un dopo il volume di Giorgio Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, Jovene, 2011.

Il “prima” è caratterizzato da un contesto in cui lo studio del diritto comparato e l’analisi delle logiche argomentative e delle tendenze evolutive della giurisprudenza delle Corti europee si sono spesso incontrati, a volte scontrati, ma mai del tutto integrati. Non solo, ma la dottrina più Autorevole, a ragione, ha, in una recente monografia, recensita anche da diritticomparati, fatto emergere non solo le utili interazioni ma anche i limiti “genetici” che sono propri del rapporto tra interpretazione e metodologia comparativa.

Giorgio Repetto non nega l’esistenza di tali limiti, ma si propone, riuscendo pienamente nell’intento, di fare emergere come ci sia una prospettiva per guardare alla comparazione giuridica in grado di approfondire l’interazione tra diritto comparato e studio della giurisprudenza sovranazionale in modo, bisogna riconoscerlo, originale e non ancora esplorato dalla nostra dottrina comparatisca.

In particolare all’indomani dell’uscita del volume di Repetto (ecco il “dopo”) non si può più ignorare che è possibile, alla luce del percorso di indagine delineato nella monografia qui recensita, attribuire un rilievo finalmente pratico al diritto comparato nel suo farsi, nel reasoning delle Corti europee, argomento comparativo.

Nell’economia del volume, come scrive lo stesso Autore nella premessa, “la comparazione viene approfondita rimarcando la scoperta centralità della sua dimensione concreta, cioè quale linguaggio tecnico, che nella veste di argomenti fondati sul diritto di ordinamenti diversi da quello in cui opera il giudice sovranazionale che decide una certa controversia, ha consentito la formazione e la strutturazione di un ordine pubblico europeo dei diritti fondamentali”.

Repetto, nella sua dichiarazione di intenti, chiarisce il suo obiettivo di ricerca, che è quello di identificare i presupposti argomentativi della giurisprudenza delle Corti europee di Strasburgo e Lussemburgo in tema di diritti fondamentali. E lo fa  “a modo suo”, rifiutando facili approcci descrittivi che si esauriscono nell’inseguire, con affanno, l’ultima giurisprudenza europea rilevante ma, invece, avvalendosi del valore aggiunto costituito dalla sua formazione di giuspubblicista incline agli studi di teoria generale e filosofia del diritto, mettendo subito sul piatto un apparato teorico di tutto rispetto.

Apparato che ha delle basi assai solide che affondano le loro radici, come emerge nella prima parte del volume, nello studio di Autori che, molto tempo prima che la judicial globalization diventasse, grazie, principalmente, ai lavori di Anna-Marie  Slaughter, un tema cosi alla moda, avevano già seriamente studiato le implicazioni interordinamentali del ricorso, da parte di un giudice, al diritto straniero.

Quello che è importante sottolineare è che la ricostruzione attenta degli apporti dottrinali dei vari Saleilles, Lambert, Ascarelli, Betti, Gorla, Esser e Giuliani, lungi dall’essere fine a sé stessa, è finalizzata a fare emergere un punto spesso troppo facilmente dimenticato dagli affetionados del multilevel constitutionalism, cioè che quello dell’argomentazione comparativa è un tema assai più articolato e complesso di quanto normalmente si pensi, dotato di una dimensione teorica rilevante e, per questo, non interamente riducibile negli schemi in voga delle constitutional conversations.

Nella seconda parte del volume Repetto, muovendo dagli esiti emergenti dalla ricostruzione teorico-dottrinale della prima parte, nel tentativo di trovare una razionalità comune (e non, come saggiamente specifica l’Autore, alla ricerca – che sarebbe vana – di una razionalizzazione complessiva) ai presupposti assiologici a fondamento dell’utilizzo dell’argomento comparativo da parte, rispettivamente, della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, si concentra su “temi scelti” della giurisprudenza di Lussemburgo e Strasburgo.

L’esito di questa seconda parte dell’indagine, in cui l’Autore fa un utilizzo assai consapevole della giurisprudenza sovranazionale combinato allo studio di fonti dottrinali in quattro lingue, è davvero degno di nota.

In sintesi, come lo stesso Autore ha modo di sottolineare (nota 251 di pagina 192), quello che sembra accomunare le due Corti europee, al di là delle ovvie diversità, è un approccio simile alla comparazione giuridica nell’interpretazione dei diritti fondamentali: in maniera decisamente antiformalistica, questa viene impiegata per entrambe come strumento per elaborare principi comuni, e contemporaneamente, per individuare regole di giudizio in grado di consentire uno strumento di flessibilità nell’applicazione di principi altrimenti troppo rigidi”

Una tale conclusione può forse stupire se si pensa alle motivazioni, del tutto antitetiche, che hanno spinto le due Corti europee a fare uso, alle “origini” della rispettiva giurisprudenza,  dell’argomento comparativo. Volendo semplificare potrebbe dirsi che se per i primi 15 anni a Lussemburgo la parola d’ordine è stata unità, a Strasburgo è stata invece pluralismo.

E non può certamente stupirsi della cosa se si pensa alle specificità peculiari caratterizzanti il DNA dei rispettivi ordinamenti: mentre un catalogo dei diritti e la necessità di rassicurare i poteri politici degli Stati membri ha fatto si che l’utilizzo della comparazione sia stato funzionale, per la Corte europea dei diritti dell’uomo, a garantire agli Stati stessi accettabili margini di apprezzamento e di autonomia decisionale, al contrario, la Corte di giustizia, partendo da una situazione di estrema settorialità del diritto comunitario e dall’esigenza di assicurare una base comune di uniformità nell’applicazione nazionale dello stesso per non mettere a repentaglio l’effettività del new legal order, ha fatto si che l’argomento comparativo sia stato strumentale alla identificazione di tradizioni costituzionali comuni e principi generali del diritto comunitario, “children of national law, but as brought in front of the Court, they became enfants terribles[1]”.

Tali diversità portano necessariamente ad un conflitto endemico, si chiede l’Autore, tra le ragioni ispiratrici dei due ordinamenti?

La risposta è, e non possiamo che concordare sul punto, negativa. Più precisamente, è proprio l’esigenza di fondo alla base dell’utilizzo degli argomenti comparativi da parte delle due Corti a costituire, nella ricostruzione di Repetto, il denominatore comune nell’azione interpretativa di Strasburgo e Lussemburgo. Tale esigenza comune è identificata, in particolare, nel difficile compito di mettere in relazione l’elaborazione sovranazionale dei diritti fondamentali con il quadro dei valori e dei principi posti alla base delle Costituzioni nazionali.

Il primo mattone della costruzione di una teoria generale dell’interpretazione comparativa nella giurisprudenza sovranazionale non poteva avere basi più solide.


[1] Così T. T. Tridimas, The General Principles of EC Law, Oxford, Oxford University Press, 1998, 4.