“Allarme” o “eccezione? Il TC spagnolo accoglie parzialmente l’incostituzionalità delle prime misure anti-pandemiche del Governo Sánchez
La forte e problematica limitazione dei diritti fondamentali (in primis la libertà di circolazione vs. il diritto alla salute) nonché la centralizzazione del potere, sia sul piano orizzontale (nel rapporto Parlamenti-Governi) sia su quello verticale (nel rapporto tra livello regionale e centrale, negli Stati composti), sono stati gli effetti più dirompenti che la pandemia da Sars-Cov2 ha generato sul piano costituzionale. Le misure anti-pandemiche adottate nei diversi ordinamenti hanno inciso su entrambe le dimensioni restringendo – secondo coordinate spazio/tempo dilatate – il pieno godimento di alcuni diritti e l’autonomia delle entità regionali con un consenso delle forze politiche non sempre unanime quanto ai limiti e agli strumenti giuridici utilizzati nel contenimento della pandemia. È il caso, questo, della Spagna dove il ‘nuovo’ partito di estrema destra di Abascal, Vox, ha messo in discussione il fondamento giuridico delle misure di confinamiento disposte dal Governo Sánchez nel periodo marzo-giugno del 2020 in conseguenza alla dichiarazione del primo estado de alarma, decretato con Real Decreto n. 463/2020 del 14 marzo, ai sensi dell’art. 116 Cost., in risposta all’emergenza da Sars-Cov2.
Nello specifico, oltre cinquanta deputati del gruppo parlamentare Vox del Congresso dei Deputati il 28 aprile del 2020 hanno presentato ricorso di incostituzionalità avverso alcune disposizioni del R.D. 463/2020 che dichiara lo stato di allarme (artt. 7, 9, 10 e 11); il R.D. 465/2020, del 17 marzo, che modifica il precedente; e i R.D. con cui si proroga lo stato di allarme (476/2020, del 27 marzo), 487/2020, del 10 aprile e 492/2020, del 24 aprile; e, inoltre, avverso l’Ordinanza SND/298/2020, del 29 marzo, che stabilisce misure eccezionali in relazione alle veglie e alle cerimonie funebri per limitare la diffusione e il contagio da COVID-19. La normativa citata violerebbe, secondo il ricorrente, gli artt. 55.1 e 116 Cost. e la Legge organica 4/1981 “sugli stati di allarme, eccezione e assedio”.
Con sentenza del 14 luglio 2021 il plenum del Tribunale costituzionale spagnolo accoglie parzialmente il ricorso di incostituzionalità limitatamente all’art. 7 del R.D. n. 463/2020 (commi 1, 3 e 5) e alcuni punti dell’art. 2 del R.D. 465/2020 (che modificava l’art. 10 del R.D. n. 463/2020).
Prima di entrare nel ‘vivo’ della decisione giudiziale è necessario fare alcune premesse.
La Costituzione spagnola, a differenza di quella italiana, prevede una disciplina specifica e ‘graduale’ degli stati di emergenza – “allarme”, “eccezione” e “assedio” – in cui il potere di azione del Governo si restringe in maniera direttamente proporzionale alla gravità della situazione emergenziale. Si passa, infatti, da un protagonismo quasi esclusivo del Governo nello “stato di allarme” (il Congresso dei Deputati viene informato e interviene solo nella autorizzazione della proroga), al tandem con il Congresso nello “stato di eccezione” (dichiarato dal Governo ma previa autorizzazione del Congresso), sino alla netta prevalenza del Congresso nello “stato di assedio” (dichiarato dalla maggioranza assoluta del Congresso dei Deputati, su proposta esclusiva del Governo). Specificazioni di limiti e condizioni sono contenuti nella citata L.O. 4/1981 “sugli stati di allarme, eccezione e assedio”. Nell’intera gestione della pandemia il Governo ha utilizzato il primo ‘gradino’ della scala emergenziale, ovvero lo stato di allarme dichiarato per tre volte: il 14 marzo 2020, valido per tutto il territorio nazionale e prorogato per 6 volte con l’autorizzazione del Congresso; il 9 ottobre 2020, valido per 9 Comuni della Regione di Madrid; il 25 ottobre 2020, esteso a tutto il territorio nazionale e terminato il 9 maggio 2021 dopo una sola proroga.
Il ‘nodo’ al centro della sentenza è se le limitazioni di alcuni diritti, come quello di libera circolazione, operate dal Governo con la dichiarazione dello stato di allarme (R.D. 463/2020), configurino una restrizione legittima degli stessi – limitazione o sospensione? – dal momento che la Costituzione ammette la possibilità di sospendere alcuni diritti solo in caso di dichiarazione dello stato di eccezione (art. 55.1 Cost.). In termini strettamente procedurali la differenza tra stato di “allarme” ed “eccezione” è data dal diverso ruolo giocato dal Parlamento – che solo nel caso dello “stato di eccezione” è più incisivo dovendo, il Congresso dei Deputati, autorizzare lo stesso – e dalla durata dello stesso, 15 giorni prorogabili nel primo caso e 30 giorni prorogabili nel secondo. Da un punto di vista ‘sostanziale’ sono diverse le circostanze di alterazioni della normalità che portano all’attivazione dello stato di allarme (art. 4 L.O. 4/1981) piuttosto che dello stato di eccezione (art. 13 L.O. 4/1981), nonché gli effetti che ne conseguono (artt. 11 e 12, per lo stato di allarme, e artt. 13, 16-30, per lo stato di eccezione, della L.O. 4/1981). Come si legge nella sentenza, i ricorrenti non mettono in discussione l’esistenza del presupposto che ha consentito al Governo di dichiarare lo stato di allarme con R.D. 463/2020, quindi non è in discussione la decisione politica, bensì la validità di alcune misure adottate in conseguenza di detta dichiarazione (f.j. 2).
Dopo un intenso dibattito che ha visto una dura contrapposizione tra il blocco dei giudici costituzionali conservatori e quello dei giudici progressisti, la sentenza viene adottata con una maggioranza di 6 a 5 (i giudici sono 11 dopo le dimissioni del giudice Fernando Valdés Dal-Ré avvenuta nell’ottobre del 2020 a seguito di un’inchiesta giudiziaria a suo carico) a favore della parziale incostituzionalità di alcune misure, dove il voto della vicepresidente del TC, E. Roca, ha fatto la differenza. II testo della sentenza è corredato dai votos particulares dei 4 giudici che insieme al Presidente del TC, J.J. González Rivas, hanno votato contro.
Nelle 80 pagine di sentenza non si mette in dubbio la ‘sostanza’ delle misure restrittive adottate dal Governo, ritenute necessarie, adeguate e proporzionate, comparabili a quelle adottate in altri Paesi limitrofi, bensì la ‘forma’, ovvero l’adeguatezza dello strumento giuridico utilizzato per dare ‘copertura’ legale alle restrizioni. Nel rispondere a tale quesito, il TC propende per una intepretación integradora degli stati di emergenza per cui pur se la pandemia rientrerebbe tra le cause che legittimano la dichiarazione dello stato di allarme (crisi sanitaria, art. 4 L.O. 4/1981), quest’ultimo consente solo di limitare i diritti fondamentali e non di ‘sospenderli’. La situazione di grave emergenza causata dal Covid-19 ben rientra negli efectos pertubadores che giustificano la dichiarazione dello stato di eccezione (art. 13.1 L.O. 4/1981). Citando il recente caso Terheş v. Romania della Corte EDU, il TC sottolinea la rilevanza degli “effetti” più che della “causa” della pandemia da Covid-19, la cui gravità ed estensione mettono in crisi il normale esercizio dei diritti, nonché il normale funzionamento delle istituzioni democratiche e l’ordinaria fruizione di servizi fondamentali (sanità, istruzione). Ciò significa, secondo i giudici, che l’ordine pubblico costituzionale, inteso in senso lato (comprensivo non solo degli elementi politici, ma riferito anche alla normale attuazione degli aspetti più elementari della vita sociale ed economica), risulta pienamente interessato rischiando una “grave alterazione” che giustifica pienamente la dichiarazione dello stato di eccezione (f.j.11).
Sulla base di tali argomentazioni, il Tribunale costituzionale annulla le misure previste nei commi 1, 3 e 5 dell’art. 7 del R.D. 463/2020 che vietavano la libera circolazione dei cittadini e dei veicoli privati (salvo per le attività tassativamente elencate, come l’acquisto di alimenti, prodotti farmaceutici o beni di prima necessità) e che consentivano al ministro dell’Interno di chiudere strade, o tratti di esse, alla circolazione per motivi di salute pubblica (art. 7 R.D.). Risultano violati il diritto fondamentale di circolare liberamente su tutto il territorio nazionale e il diritto di scegliere liberamente la residenza (art. 19 Cost.) poiché le restrizioni straordinarie imposte dall’art. 7 del R.D. 463/2020 ai diritti menzionati eccedono l’ambito d’azione costituzionalmente e legislativamente riconosciuto allo stato di allarme. La sentenza annulla, inoltre, l’autorizzazione al Ministro della Sanità di “modificare o ampliare” le misure di contenimento delle attività commerciali, alberghiere etc. (art. 10 R.D. 463/2020) mentre rigetta la violazione di altri diritti fondamentali invocati dai ricorrenti quali il diritto di manifestare, il diritto di partecipare alle riunioni dei partiti politici o dei sindacati, il diritto all’istruzione, la libertà d’impresa e il diritto alla libertà religiosa. In questo caso, le limitazioni introdotte, per quanto intense, non hanno comportato, secondo i giudici, una sospensione dell’esercizio dei diritti menzionati, bensì restrizioni eccezionali, proporzionate alle circostanze straordinarie derivate dalla crisi sanitaria, dalla necessità di preservare il diritto alla vita e alla salute di tutti i cittadini e di evitare il possibile collasso del sistema sanitario. Con riferimento agli effetti della declaratoria di incostituzionalità si esclude la responsabilità patrimoniale dello Stato nonché la possibilità di riesaminare i processi conclusi con sentenza passata in giudicato o le situazioni decise da atti amministrativi definitivi o altre situazioni giuridiche generate dall’applicazione dei precetti annullati, salvo lA possibilità di revisione di procedimenti penali o contenziosi-amministrativi riferiti ad un procedimento sanzionatorio in cui, per effetto della nullità della norma, risulta una riduzione della pena o della sanzione, ovvero un’esclusione, esenzione o limitazione di responsabilità (f.j. 11).
Al di là di ogni tecnicismo giuridico, la ‘chiave di volta’ è l’eccezionalità dell’emergenza pandemica che ha fatto saltare i limiti temporali e territoriali che normalmente giustificano restrizioni anche incisive dei diritti fondamentali in situazioni emergenziali. Stiamo parlando, infatti, di una emergenza “speciale” che non ha colpito un territorio circoscritto (almeno nelle prime ondate) e non ha un tempo di estinzione limitato o prevedibile. Il connubio tra gravità dell’emergenza, necessità di sospendere alcuni diritti fondamentali e, di conseguenza, l’esigenza di bilanciare tale situazione con garanzie più forti quali il ruolo più incisivo del Parlamento (come previsto nello “stato di eccezione”), sembra essere la motivazione alla base di questa sentenza che rimettere in discussioni strumenti sì giuridici ma con importanti riflessi in termini di scelte politiche, non facili, operate da un Governo ancora alla ricerca di una sua precisa identità. Siamo dinanzi al rischio, l’ennesimo, di una lettura politica di una sentenza (le sentenze sul processo di indipendenza catalano docet!)? Ciò avviene in una società che registra profonde divisioni e in un contesto partitico incandescente in cui le forze politiche da anni sembrano aver abdicato alla loro funzione delegando ai giudici, del più alto livello, decisioni che richiedono, invece, intese e negoziazioni da assumere nell’arena politica. D’altra parte, il dibattito appena apertosi in Italia sulla possibilità di rendere obbligatorio il green pass per l’accesso in luoghi pubblici dà conto dell’estrema ‘delicatezza’ di alcune scelte che implicano uno stretto bilanciamento tra diversi diritti in cui le scelte dei singoli devono fare i conti con l’interesse collettivo.