Alla difficile ricerca dell’autonomia finanziaria regionale. Recensione a F.E. Grisostolo, Stato regionale e finanza pubblica multilivello. Una comparazione fra Italia e Spagna, Wolters Kluwer, Cedam, Milano, 2020
Sono molto utili gli scritti, come quello di Francesco Emanuele Grisostolo, che si occupano di un tema, l’autonomia finanziaria regionale, specie in passato, abbastanza trascurato dai costituzionalisti e dai comparatisti. La limitata attenzione a tale oggetto di studio, se spiegabile con la sua natura tecnica, era però ingiustificata se si considera, come ricorda anche l’Autore di questa opera, che le questioni fiscali (lo insegnano le grandi rivoluzioni alla base del costituzionalismo), sono da sempre «questioni costituzionali per eccellenza» e che l’autonomia finanziaria è la «pietra angolare» del sistema regionale, secondo la definizione di uno dei nostri padri costituenti, Costantino Mortati. È infatti del tutto evidente come solo disponendo di entrate e di capacità di spesa sia possibile programmare e portare ad effetto un indirizzo politico diverso da quello realizzato dai poteri centrali, indirizzo che caratterizza l’autonomia politica. L’attribuzione di una piena autonomia finanziaria dovrebbe, infatti, responsabilizzare gli organi regionali, contribuendo al più oculato impiego delle loro risorse economiche attraverso il controllo da parte dei cittadini di tale impiego, così favorendo l’educazione politica di questi e l’auspicabile sviluppo dei territori più arretrati del Paese.
Anche se la dottrina (F. Palermo) ha rilevato come si stia progressivamente colmando l’iniziale “vuoto” di studi sull’autonomia finanziaria con l’analisi di singoli ordinamenti e sempre più utilizzando gli strumenti della comparazione, è pur vero, però, che non è cosa facile affrontare questo tema. Considerato come ostico, esso è stato specialmente frequentato dagli studiosi di contabilità dello Stato o di diritto tributario e da non molti costituzionalisti. Porta nuova linfa a questi significativi studi il libro di Francesco Emanuele Grisostolo, il quale si propone di rispondere ad una serie di research questions, tutte di grande rilievo teorico e pratico. Tra queste vanno annoverate, in particolare, l’utilità del concetto di autonomia finanziaria per illustrare la tipologia dello Stato regionale, di cui Italia e Spagna sono in genere considerati esempio e se sia possibile delineare uno “Statuto costituzionale”, sotto il profilo finanziario, di questo tipo di Stato, la cui non facile definizione si è in genere compiuta valutando gli aspetti organizzativi e le competenze legislative ed amministrative degli enti regionali senza particolari riferimenti alle modalità della loro provvista finanziaria e ai loro poteri di spesa. Per dare plausibile risposta a tali domande, anche se pare all’Autore specialmente difficile identificare un “modello finanziario” proprio del solo Stato regionale, questi intraprende un complesso “viaggio”, la cui prima “fermata” è proprio l’analisi del modello di Stato regionale. In tale tipo di Stato, l’autonomia finanziaria gli pare «criterio di assoluto rilievo, se non preponderante, per definire il grado di autonomia reale di un ente territoriale», essendo evidente come «il peso dell’ente-Regione nel complesso degli apparati pubblici vada valutato non tanto e non solo sulla base delle competenze legislative riconosciutele, quanto sulla base delle politiche pubbliche che la stessa è in grado di predisporre e porre in essere…. La potestà normativa… serve a ben poco se non vi sono le risorse per sostenere la spesa pubblica che da tali politiche deriva». Seguono, poi, la storia della creazione delle Regioni italiane e delle Comunidades Autónomas spagnole, l’esame delle fonti sull’autonomia finanziaria: da quelle costituzionali agli Statuti e alla legislazione (in Spagna la Ley Orgánica de Financiación de las Comunidades Autónomas 8/1980 e le sue modificazioni, da ottenersi nel Consejo de Política Fiscal y Financiera in cui sono rappresentate le Comunità autonome), senza dimenticare i drammatici riflessi sull’autonomia finanziaria dell’ordinamento europeo e della sua governance finanziaria da cui sono derivate, nei due Paesi, in risposta alla crisi economica e alla sfiducia dei mercati, rapide revisioni della Costituzione che hanno introdotto l’equilibrio del bilancio, consentendo un’ulteriore limitazione dei poteri regionali. Non manca, nell’opera, lo studio, alla luce dell’interpretazione della Corte costituzionale italiana e del suo omologo spagnolo, dei principi essenziali che animano tale scenario giuridico. Si tratta dei principi che compongono lo “Statuto costituzionale” degli enti e che si informano a unitarietà, autonomismo e solidarietà, estrinsecandosi, poi, in autonomia finanziaria, sufficienza finanziaria, coordinamento statale, solidarietà, leale collaborazione (in Spagna definibile come coordinación e lealtad institucional) e equilibrio del bilancio. Principi, in particolare quello del coordinamento, che hanno talora infranto la distribuzione delle competenze tra Stato e autonomie, creando tra questi quasi un «rapporto di dipendenza» assai simile ad un «paradigma gerarchico».
Considerando le similitudini dei due ordinamenti per storia e cultura istituzionale e le loro differenze, con riguardo sia alle fonti che realizzano l’autonomia che all’esegesi dei ricordati principi operata dalle Corti costituzionali, l’analisi, condotta con completezza e organicità, restituisce un ritratto talora impietoso degli enti regionali di Italia e Spagna e della loro assai imperfetta autonomia finanziaria.
Strette tra l’esistenza dei vincoli europei e le norme costituzionali che affidano allo Stato funzioni esclusive in tema di basi e di pianificazione generale dell’attività economica, le autonomie spagnole continuano a reperire le loro più importanti fonti di finanziamento dalla cessione totale o parziale, talora quantitativamente assai elevata, di imposte statali, senza che in molti casi siano però loro garantite capacità normativa o di gestione del tributo. Poco significativo, per i bilanci regionali, è il gettito dei tributi propri, anche se alcune autonomie, in primis la Catalogna, non hanno rinunciato ad esercitare poteri impositivi, assecondando le vocazioni economiche del loro territorio. Il sistema è poi completato da una serie di fondi, istituiti per provvedere al fabbisogno di enti che gestiscono circa un terzo della spesa pubblica, occupandosi, in particolare, di istruzione e di sanità. Si tratta però di fondi diversi dall’unico costituzionalmente previsto e avente un ridotto rilievo – il Fondo de Compensación Interterritorial- e che compongono un intricato mosaico di provvidenze economiche poco trasparenti, sancendo la profonda dipendenza delle Comunità autonome dallo Stato.
Non eccessivamente diverso è lo scenario italiano, anche se questo, secondo l’Autore, è meno avanzato in favore dei poteri autonomi rispetto a quanto non sia il sistema spagnolo. A tale differenziazione conducono, tra l’altro, una forse meno garantistica “lettura” da parte della nostra Corte costituzionale di alcuni principi, quali proprio quello di autonomia finanziaria e l’esistenza di un «eterno cantiere aperto del federalismo fiscale» mentre in Spagna i «riferimenti normativi» sono «precisi e stabili nel tempo» e realizzati, tendenzialmente, con fonti legislative e non, come in Italia, anche con atti normativi governativi di livello secondario. La l. n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale non ha visto completarsi il percorso attuativo, al punto che l’opera normativa sin qui realizzata e attentamente esaminata dall’Autore, gli sembra informata ad un «federalismo a data da destinarsi», simile al «torso di una statua incompiuta». Dalla l. cost. n. 1 del 2012, introduttiva del principio dell’equilibrio del bilancio, è derivata una «manovra di accentramento finanziario», in cui la «giuridicità ostentata dal richiamo alle norme UE è…lo schermo di una mossa politica del livello centrale di governo il quale…mira ad espandere costantemente le proprie capacità decisionali a fronte dell’altrettanto costante perdita di rilievo dei decisori nazionali». A ciò si unisce la considerazione che tale «spazio decisionale», che riduce la provvista finanziaria delle Regioni e la loro capacità di meglio garantire diritti dei cittadini, è proprio di «un livello centrale di governo spesso dominato da forze politiche personalistiche e/o mediatiche le quali … si reggono sull’adozione di misure populistiche mirate unicamente alla preservazione o all’aumento del consenso».
L’esame compiuto è dunque di grande interesse, specie perché evidenzia, nella concreta prospettiva di esame della provvista finanziaria regionale e con l’attenzione a “umanizzarne” i dettagli tecnici pur con dovizia analizzati, quanto vi è forse di più problematico in entrambi i sistemi: l’indeterminatezza e la «profonda vicinanza formale e sostanziale» delle norme costituzionali; la tendenziale deferenza delle Corti costituzionali alla legislazione e al coordinamento dello Stato, nel rispetto e persino nell’anticipazione della vigenza del principio dell’equilibrio di bilancio e in ottemperanza ai vincoli sovranazionali; la tendenza ad accordi politici nella definizione della provvista finanziaria; la mancanza di strumenti di raccordo efficaci tra lo Stato e le autonomie dovuta ad una troppo ridotta cultura della collaborazione e che l’Autore, aderendo ad una diagnosi diffusa, ascrive alla mai realizzata riforma, in senso federale, della Seconda Camera e all’insufficienza del sistema delle Conferenze. In sostanza, una «sfida» a decentrare, sotto il profilo finanziario, sistemi nati come accentrati, che non è ancora stata vinta.
Uno dei maggiori pregi dell’opera consiste, però, nell’analisi, nella sua parte conclusiva, di una questione essenziale in entrambi gli ordinamenti esaminati, a cui l’Autore dichiara giustamente di voler dedicare particolare attenzione: «la specialità finanziaria», utile a ricostruire l’autonomia finanziaria nello Stato regionale.
Anche nell’esame di questa «categoria», non dissonante rispetto ai caratteri di tale tipo di Stato e nella quale si ricomprende, in Italia, la autonomia finanziaria delle Regioni a Statuto speciale e, in Spagna, il regime fiscale speciale del Concierto e del Convenio económico riconosciuti sin dal passato a País Vasco e Navarra e ora garantiti dalla I Disp. addizionale della Costituzione, sono molte le similitudini tra i due ordinamenti, anche se non mancano significative differenze. L’Autore nota, infatti, che sia in Spagna che in Italia si garantisce a livello costituzionale tale asimmetria, se ne affida agli Statuti la tutela, si attribuisce a particolari fonti la concreta previsione della provvista finanziaria in base al principio pattizio. Se, in Italia, le autonomie speciali “alpine” e “insulari”, pur diverse tra loro per livello di sviluppo e per utilizzo della loro autonomia finanziaria, hanno a disposizione differenti risorse tributarie rispetto alle Regioni a Statuto ordinario, anche in Spagna non pare facile l’assimilazione delle Comunità autonome a País Vasco e Navarra. Come è noto, i Territorios Históricos del País Vasco e la Diputación foral della Navarra sono i soli, in un territorio assai più ridotto rispetto a quello delle Regioni speciali italiane e per antico privilegio, a fruire della titolarità del potere impositivo e della riscossione di tutte le imposte del territorio, versandone allo Stato solo una parte (il cupo basco o la aportación della Navarra), concordata in base al principio pattizio: vera chiave di volta delle relazioni finanziarie tra l’Esecutivo nazionale e quelli dei territori forali. Tale hecho diferencial non è proprio delle Regioni speciali italiane, che conoscono però anch’esse, per ottenere le risorse necessarie e in mancanza di attivazione di poteri impositivi, un bilateralismo nei rapporti con l’Esecutivo nazionale che va a sfavore delle assemblee legislative e della trasparenza del processo decisionale (e, quindi, del principio democratico). Se questo è di per sé un rilevante problema, la specialità finanziaria ne crea da sempre un altro, reso di recente ancor più evidente, in Spagna, dalla deriva soberanista catalana ed, in Italia, dalle richieste di differenziazione di alcune Regioni del nord: il desiderio delle autonomie con maggiori capacità fiscali di ottenere un trattamento economico migliore, ad imitazione delle autonomie speciali, riducendo il loro contributo alla solidarietà: una rivendicazione che potrebbe approfondire i contrasti tra territori in un quadro di possibili disuguaglianze nella garanzia dei diritti dei cittadini. Rispetto alla ricostruzione dell’autonomia finanziaria nello scenario di crisi economica e di disciplina indotta dall’Europa, così ben illustrato nel volume qui in esame, nuove prospettive che non sembrano favorevoli a tale autonomia si sono dischiuse a seguito della pandemia e dell’attuale situazione bellica: si impone la scrittura di nuovi capitoli di questa già complessa “saga”?