“Abortion is inherently different”: la Corte Suprema USA sancisce l’overruling di Roe e Casey
Il 24 giugno 2022, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso, con una maggioranza di sei giudici, il caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, che sancisce l’overruling di Roe v. Wade – la sentenza del 1973 che aveva radicato il diritto all’aborto nella Costituzione federale – e della pronuncia Casey del 1992 che in parte confermava, in parte rielaborava gli standard in materia di elective abortion dettati dalla precedente.
I contenuti della decisione, inevitabilmente dirompente e controversa, erano stati in gran parte preannunciati, agli inizi del mese di maggio, dalla divulgazione non autorizzata del draft dell’opinione di maggioranza, firmata dal Justice Alito, circostanza che ha infiammato ulteriormente un dibattito dai toni già estremamente aspri.
Prima di addentrarci nell’analisi di questa pronuncia, è bene tratteggiare, sia pure sinteticamente, l’immagine del right to abortion quale emergeva dalle due sentenze overruled: Roe v. Wade aveva delineato uno schema per cui, a seconda del trimestre di gestazione, si dava luogo ad un diverso bilanciamento dei diritti della madre e del feto, accordando maggior tutela in favore di quest’ultimo nella fase finale della gravidanza e fissando come punto cardine la c.d. viability, il momento in cui cioè, intorno alla ventottesima settimana, il feto è sufficientemente sviluppato da poter sopravvivere al di fuori dell’utero materno; nel periodo anteriore a tale fase, l’aborto poteva essere sì regolato dagli Stati, ma mai completamente vietato.
Quello della viability è stato da sempre uno dei profili più criticati della sentenza Roe e, anche a livello comparatistico, la disciplina statunitense rappresentava un unicum, tra i Paesi che ammettono l’aborto. Le legislazioni di questi ultimi fanno solitamente riferimento, come schema di base, ad un certo numero di settimane di gestazione, superato il quale l’aborto è vietato, salvo eccezioni tassativamente individuate. In linea generale, si può dire che tale limite si collochi in un momento antecedente rispetto a quanto stabilito dalla giurisprudenza americana, a prescindere dall’aspettativa di vita extrauterina del feto. Peraltro, proprio quest’ultimo aspetto si è progressivamente modificato rispetto all’epoca di Roe; grazie ai progressi della tecnologia e della medicina, oggi il momento della viability si è spostato indietro nel tempo, intorno alla ventitreesima settimana di gestazione; vedremo tra breve come questo profilo abbia esercitato un proprio peso specifico nelle valutazioni del Chief Justice Roberts, che ha infatti firmato un concurring in judgment, ritenendo legittima la normativa sottoposta al vaglio della Corte, ma dissociandosi dalla maggioranza per quanto concerne il completo overruling di Roe e Casey.
Quest’ultima decisione, vent’anni dopo Roe, pur confermandone essenzialmente il reasoning, aveva introdotto l’ulteriore criterio dell’undue burden (“onere eccessivo”), standard elastico che aveva dato vita ad una giurisprudenza variegata e non sempre coerente sulle limitazioni o condizioni cui gli Stati possono subordinare l’accesso alle procedure abortive e, proprio per questo, aspramente criticato dal giudice Alito in Dobbs.
Com’è noto, il diritto all’aborto, così come plasmato dalla giurisprudenza, ha rappresentato, negli ultimi cinquant’anni, il tema più divisivo del dibattito pubblico americano e su di esso si sono giocate intere campagne presidenziali e le nomine per gli scranni della Corte di Washington D.C..
In particolare, gli anni dell’amministrazione Trump, che della battaglia contro Roe aveva fatto una bandiera, hanno visto una vera e propria escalation dei c.d. trigger ban, legislazioni più o meno restrittive rispetto agli standard federali in tema di aborto – fino ad arrivare a divieti quasi assoluti – strumentali a riportare l’intera questione dinanzi alla Corte Suprema, nella speranza che prima o poi si giungesse all’esito attuale, ipotesi diventata sempre più concreta man mano che le nomine trumpiane spostavano inesorabilmente verso destra gli equilibri della Supreme Court (sui recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di aborto si vedano, in questo blog, i contributi di L. Pelucchini e il contributo di C. De Santis sugli heart-beat bill).
L’impugnazione del Mississippi Gestational Age Act – che vieta il ricorso all’aborto oltre la quindicesima settimana, con le sole eccezioni dell’emergenza medica e di una severe fetal abnormality – è diventata, per i giudici di maggioranza di Dobbs (oltre ad Alito, Gorsuch, Kavanaugh, Barrett e Thomas), l’occasione per cancellare una pagina fondamentale della giurisprudenza costituzionale statunitense, negando al diritto all’interruzione di gravidanza qualsiasi protezione di carattere costituzionale e, di conseguenza, federale; protezione che, com’è noto, i precedenti in materia avevano rinvenuto nel XIV Emendamento, attraverso la dottrina del substantive due process e l’elaborazione di quel peculiare concetto americano di privacy che da tale norma costituzionale discendono e che hanno rappresentato, soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento, la valvola di apertura dell’ordinamento statunitense verso nuovi diritti.
L’esito più immediato di questa pronuncia è appunto quello di rimettere il diritto all’aborto nelle mani delle assemblee legislative dei singoli Stati le quali, peraltro, in assenza di qualsivoglia limite di rango costituzionale, resteranno d’ora in avanti libere di disciplinare la materia come meglio credono, potendo legittimamente sopprimere del tutto la possibilità di ricorrere alle diverse pratiche abortive anche a partire dal momento del concepimento, senza eccezioni di sorta, ivi compreso il caso in cui la gravidanza sia il risultato di stupro o incesto.
La narrazione di Roe come un atto di hybris giudiziaria che avrebbe ingiustamente defraudato gli Stati di una propria competenza, che la Corte Roberts intende restituire loro, è uno dei tasti su cui Alito batte con maggiore insistenza, definendo le decisioni del 1973 e del 1992 egregiously wrong.
Nel contesto di questa sentenza si consuma l’ennesima battaglia giurisprudenziale tra Originalismo e Living Constitution, che vede i giudici di maggioranza impegnati in una certosina ricostruzione storica. Negando il radicamento del diritto all’aborto nella storia e nelle tradizioni degli Stati Uniti, nonché nel concetto di ordered liberty, sotteso al XIV Emendamento, l’opinion di Alito chiama in causa tutte le voci più autorevoli della dottrina di common law dal XIII secolo in avanti, da Bracton a Blackstone, passando per Hale e Coke. Nella distinzione, cara a Scalia, tra original meaning oggettivo e original intent (soggettivo) dei Costituenti, la ricognizione dei giudici sembra affannarsi nella ricerca del secondo, individuato ripercorrendo la storia dell’aborto dal Medioevo fino all’epoca dei Reconstruction Amendment (per una lettura parzialmente diversa si veda Sunstein).
L’overruling delle due storiche pronunce viene giustificato analiticamente sulla base di una serie di criteri elaborati dalla stessa Corte Suprema nel corso del tempo e da ultimo scolpiti nella sentenza Janus v. AFSCME (2018); in particolare, si segnala come la Corte abbia escluso, rispetto a Roe e Casey, la sussistenza del requisito della reliance, vale a dire del legittimo affidamento dei singoli circa l’esistenza e l’ampiezza di un certo diritto; fattore che, ove ritenuto sussistente, avrebbe dovuto costituire un deterrente ad un overruling così clamoroso.
I giudici dissenzienti (Breyer, Kagan e Sotomayor, firmatari di un accorato dissent collettivo) hanno stigmatizzato la discutibile argomentazione della maggioranza che riconosce un affidamento rilevante e meritevole di tutela soltanto nell’area della property e del contract, mentre la stragrande maggioranza dei diritti costituzionali fondamentali – e soprattutto quelli riconducibili alla sfera della privacy – sarebbero insuscettibili di valutazione in termini economico-monetari.
Per contro, Alito richiama alcuni casi di overruling illustri paragonabili, per la loro portata eversiva, a Dobbs v. Jackson; per citare solo i più celebri, Brown e Plessy; Miranda, overruling di Crooker e Cicenia; Lawrence e Hardwick; Obergefell e Baker; Gobitis e il suo overruling West Virginia Board of Education v. Barnette, che forse rappresenta, nella storia della Corte Suprema, il punto più alto di quella funzione contromaggioritaria a cui i giudici oggi sembrano aver abdicato, demandando una materia sensibile come l’aborto al libero gioco della competizione elettorale in cui – scrive il Justice – le donne hanno, tramite il diritto di elettorato attivo e passivo, strumenti sufficienti a tutelare e a far valere le proprie ragioni nel processo democratico.
È sintomatico, peraltro, che l’opinione della Corte taccia su un aspetto fondamentale che tutte queste coppie di sentenze hanno in comune, aspetto che viene invece vigorosamente sottolineato dal dissent: queste decisioni sono accomunate dal fatto che l’overruling sia intervenuto sul precedente sempre in senso ampliativo, portando alla luce un diritto costituzionale precedentemente negato o misconosciuto dalla Corte; in nessun caso, i giudici hanno fatto ricorso all’overruling per limitare o elidere un diritto frutto di una consolidata giurisprudenza.
Nella contesa sono poi entrati, inevitabilmente, gli altri diritti provenienti dalla medesima constitutional fabric edificata sul concetto di privacy e sul substantive due process, quali il diritto di accesso alla contraccezione (sentenze Griswold e Eisenstadt), il diritto ad intrattenere relazioni intime con persone dello stesso sesso (Lawrence) e quello al matrimonio same-sex (Obergefell). Alle legittime preoccupazioni dei giudici dissenzienti per le ombre che Dobbs getta sul futuro di questi diritti, fanno da contraltare, da un lato, il veemente concurring del giudice Thomas, che suggerisce di sradicare l’albero avvelenato del due process sostanziale con tutti i suoi frutti; dall’altro – e questa è una delle poche innovazioni del testo definitivo rispetto al draft – i giudici di maggioranza si affrettano ad assicurare che tali diritti non potranno essere considerati alla stregua dell’aborto che, in quanto incide sulla potential life del feto, viene a più riprese definito come inherently, critically, fundamentally different.
Come hanno giustamente sottolineato i giudici dissenzienti, la sentenza Dobbs lascia senza dubbio uno spazio vuoto di tutela, tradendo, nei confronti della popolazione femminile, quella promessa costituzionale di equal citizenship che è coessenziale al concetto stesso di liberty. Il rischio maggiore è di fornire nuova linfa a pratiche abortive illegali, che sovente mettono a repentaglio la salute delle donne che vi ricorrono, nonché quello di esacerbare le disparità economiche, ove si consideri che a quante risiedono in Stati antiabortisti sarà necessario spostarsi altrove per avere accesso all’interruzione di gravidanza.
Più sfumata, come abbiamo accennato, la posizione del Chief Justice Roberts, espressione di un judicial restraint comprensibilmente preoccupato per le potenziali conseguenze di Dobbs in termini di legittimazione del ruolo della Corte nell’ordinamento americano (si veda Waldron).
Il Chief Justice suggerisce la scissione di Roe in due principi: uno, che identifica il diritto all’aborto come diritto costituzionale fondamentale, da salvare e riaffermare; l’altro, la viability rule, da superare in quanto non più attuale in un contesto, quello delle procedure abortive, che nell’arco di mezzo secolo è già profondamente mutato (basti solo pensare all’impatto della c.d. contraccezione d’emergenza).
Si può dire che la decisione proposta da Roberts avrebbe quasi certamente scontentato sia i detrattori che i difensori di Roe, la platea dei pro-life come quella dei pro-choice; ma forse, proprio per questo, avrebbe rappresentato una migliore composizione degli interessi in gioco.
Pochi giorni fa, l’amministrazione Biden, da subito molto critica nei confronti della pronuncia della Corte, ha varato un executive order per assicurare, per quanto possibile, l’accesso ai servizi di reproductive healthcare anche negli Stati che si apprestano a vietare l’aborto, predisponendo una serie di strumenti di supporto. Un’arma spuntata, nell’attesa di un intervento legislativo del Congresso – più volte invocato dal Presidente – che ripristini il diritto su tutto il territorio nazionale; dal momento che mancano attualmente le condizioni politiche per un simile intervento, si può dire che oggi le sorti del right to abortion siano legate agli incerti esiti delle prossime elezioni di mid-term.