Alabama Association of Realtors v. Department of Health and Human Services: la pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti sulle moratorie stabilite dal CDC
Nel 2016, la pubblicazione di un significativo lavoro di ricerca condotto dal sociologo Matthew Desmond ha messo in evidenza i drammi e le storture che caratterizzano le vicende legate agli sfratti negli Stati Uniti. Nel lavoro, che gli è valso il premio Pulitzer, l’autore descrive lucidamente il rapporto tra la quasi morbosa ricerca del profitto nel settore del real estate e la condizione spesso ineluttabile di povertà e disagio in cui si trovano le persone che subiscono gli sfratti, specie nelle aree più depresse del Paese. Una condizione che risulterebbe essere, in numerosissimi casi, la diretta conseguenza della perdita della propria abitazione più che la causa di quest’ultima (così recita la motivazione del Pulitzer).
Con l’aggravarsi dell’emergenza sanitaria Covid-19, vicende analoghe a quelle denunciate da Desmond rischiavano di moltiplicarsi in modo esponenziale. Ebbene, la prospettiva del crollo dell’economia e delle conseguenti difficoltà anche nel pagamento dei canoni di locazione, insieme con la valutazione dei pericoli per la salute pubblica derivanti dal prospettato aumento delle persone costrette a vivere in strada o in affollate strutture di accoglienza perché impossibilitate a sostenere i costi degli affitti, ha indotto il Congresso a includere una moratoria sugli sfratti nel più ampio CARES Act del 27 marzo 2020. La moratoria, tuttavia, contemplava una durata di soli 120 giorni ed era indirizzata esclusivamente alle persone inserite in un housing program, ai destinatari di un rural housing voucher e ai titolari di mutui ipotecari sostenuti dal Governo federale: in sostanza, alle persone che pagano per la propria abitazione – in parte – grazie ai sussidi federali.
Alcune settimane dopo la scadenza del termine fissato, in risposta ad un Executive Order con cui il Presidente Trump aveva chiesto di valutare la necessità di reintrodurre misure temporanee per fermare gli sfratti, il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ha introdotto una nuova moratoria con durata estesa al 31 dicembre 2020 e riferita a tutti gli immobili ad uso abitativo del Paese. La nuova moratoria era destinata a chi (1) si era attivato, per quanto possibile, al fine di ottenere sussidi da parte del Governo; (2) aveva un reddito annuale inferiore ad una determinata soglia; (3) era impossibilitato a pagare il canone a causa di situazioni eccezionali; (4) offriva pagamenti anche parziali in base alle proprie possibilità; e (5) non disponeva di altre soluzioni abitative. I requisiti indicati dovevano formare oggetto di una specifica dichiarazione, sottoscritta dai conduttori e consegnata ai locatori, ove si affermava altresì la consapevolezza del termine della moratoria e del fatto che quest’ultima non faceva venire meno l’obbligo del pagamento dei canoni. Peraltro, la moratoria non copriva gli sfratti posti in essere per ragioni diverse dalla morosità nei pagamenti, ma faceva salva l’applicabilità di tutele equivalenti o migliori previste nei singoli Stati.
Il CDC, agenzia federale incardinata nel Department of Health and Human Services (HHS), ha fondato la propria legittimazione ad adottare la misura descritta sul §361(a) del Public Health Service Act del 1944, che autorizza l’HHS ad emanare i provvedimenti ritenuti necessari per prevenire l’introduzione, la trasmissione o la diffusione di malattie infettive; la disposizione elenca alcune misure esemplificative (ispezioni, disinfestazioni, distruzione di oggetti ritenuti contaminati o pericolosi) cui si aggiungono espressamente “altre misure ritenute necessarie”.
Con il Consolidated Appropriations Act del 21 dicembre 2020 il Congresso ha prorogato di un mese il provvedimento del CDC; l’agenzia ha poi ulteriormente esteso la misura dapprima fino a marzo, poi fino a giugno, e ancora fino a luglio 2021.
Sulla questione della legittimità degli interventi del CDC, come prevedibile, è sorto un nutrito contenzioso che ha diviso le corti.
Il giudizio che ha aperto l’iter processuale in commento è stato attivato nei confronti della penultima proroga, da parte un gruppo di agenti immobiliari che ha lamentato violazioni dell’Administrative Procedure Act (APA), nonché del Regulatory Flexibility Act e di diverse disposizioni costituzionali (tra cui Takings Clause e Due Process). In primo grado, la District Court del Distretto di Columbia si è concentrata sul profilo della legittimazione (excess of statutory authority, §706(2)(C) dell’APA) e ha concluso che il Public Health Service Act non autorizza affatto il CDC a imporre una moratoria sugli sfratti (appendix D).
A seguito dell’impugnazione da parte dell’HHS, la District Court ha concesso la sospensione dell’esecutività della sentenza in applicazione del four-factors test ricavato dalle pronunce della Corte Suprema Hilton v. Braunskill, 481 U.S. 770 (1987) e Nken v. Holder, 556 U.S. 418 (2009), che impone di valutare (1) la probabilità di successo dell’impugnazione; (2) la probabilità di un danno irreparabile derivante dall’esecuzione della sentenza in pendenza del giudizio di impugnazione; (3) gli eventuali interessi confliggenti; e (4) l’interesse pubblico (appendix B). Peraltro, nella valutazione circa la probabilità di successo dell’impugnazione, riferendosi al profilo della legittimazione del CDC la stessa District Court ha riconosciuto la sussistenza di una “serious legal question on the merits”.
Le parti vittoriose nel giudizio di merito hanno quindi proposto appello per ottenere l’annullamento della sospensione, appello tuttavia respinto prima dalla Court of Appeals del D.C. Circuit (appendix A) e poi anche dalla Corte Suprema con la pronuncia del 29 giugno 2021.
A seguito dell’emanazione di una nuova proroga, che ha esteso la moratoria fino al mese di ottobre, gli agenti immobiliari hanno ripercorso tutti i gradi di giudizio chiedendo nuovamente l’annullamento della sospensione, nelle more della definizione del giudizio di merito presso la Court of Appeals. La sentenza in commento, pubblicata il 26 agosto, si colloca all’apice di questo ulteriore filone processuale.
La Corte, nell’opinione redatta per curiam dalla maggioranza conservatrice, ha ripreso il four-factors test e ha riconosciuto alle parti appellanti un’alta probabilità di successo nel giudizio di merito, tanto da giustificare il venir meno della sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado. Secondo l’interpretazione accolta dalla maggioranza, il §361(a) del Public Health Service Act non affida all’HHS i poteri in esame, poiché l’esemplificazione delle misure nella seconda parte della disposizione vale a limitare il novero degli interventi esperibili; a tale àmbito ristretto devono pertanto attenersi anche le “altre misure ritenute necessarie”. A parere dei giudici, se si avallasse una diversa lettura si riconoscerebbero all’HHS poteri abnormi, con esiti prospettati come catastrofici (“free grocery delivery to the homes of the sick or vulnerable … free computers … free high-speed internet … ?”).
Il fulcro della decisione è dunque la delegittimazione dell’autorità amministrativa coinvolta, peraltro in linea con una ben nota tendenza. Solo marginalmente si è discusso dell’incisività delle misure adottate sul diritto di proprietà: dapprima per indicare che, oltre che su interessi economici, la moratoria stabilita dal Governo federale si ingerisce in un’area di competenza statale, ossia la disciplina del rapporto tra locatore e conduttore (rilievo che la stessa maggioranza ha tuttavia superato in altre controversie ove, peraltro, poteva risultare maggiormente pertinente); poi, in chiusura, per riconoscere che i locatori sono stati esposti al rischio di un danno irreparabile, che molti di loro hanno disponibilità modeste e che i provvedimenti del CDC hanno realizzato un’intrusione rispetto ad uno degli elementi fondamentali della proprietà: il right to exclude.
A differenza di quanto ha fatto la Corte costituzionale italiana in una recente pronuncia, l’opinione della maggioranza conservatrice non ha affrontato neanche superficialmente la questione della sussistenza di ragioni di necessità e urgenza tali da esigere le moratorie e le successive proroghe, tantomeno ha riconosciuto margini di tollerabilità alla compressione delle prerogative proprietarie. Si è affermato, tutt’al più, che è compito del Governo e del Congresso concedere ulteriori erogazioni di fondi per affrontare le difficoltà dovute alla pandemia, o introdurre legislativamente nuove moratorie, ove ciò si ritenga opportuno, poiché nonostante l’interesse pubblico al contenimento dei contagi l’ordinamento non permette che una agency agisca illegittimamente, anche laddove persegua finalità desiderabili.
Sull’illegittimità delle misure contestate e sul bilanciamento degli interessi in gioco si sono pronunciati diversamente i tre giudici dell’ala liberal.
L’opinione dissenziente redatta da Justice Breyer ha voluto leggere nel Public Health Service Act un’ampia legittimazione: anzitutto, si è osservato che il legislatore avrebbe potuto escludere espressamente alcune tipologie di intervento, ove avesse voluto; poi, si è ritenuto che l’esemplificazione proposta non abbia affatto respinto, bensì espressamente avallato, le misure che incidono sui diritti di proprietà. Si è affermata, inoltre, l’esigenza di confrontare il pregiudizio economico arrecato ai locatori con i ben più gravi esiti dell’eliminazione della moratoria, peraltro alla luce del vertiginoso aumento dei contagi registrato nel mese di agosto.
Un ulteriore rilievo potrebbe aggiungersi, allora, alle parole di Breyer: se è vero che provvedimenti come quelli oggetto della pronuncia in commento si prestano ad abusi, e che senza le entrate derivanti dalle locazioni per alcune famiglie viene meno una necessaria fonte di sostentamento, è altrettanto vero che la rinuncia ad interventi di sostegno – di qualsiasi tipo, da qualsiasi soggetto – fa sì che le responsabilità e le conseguenze non solo economiche di simili perdite ricadano esclusivamente sulle fasce più svantaggiate della popolazione, già duramente colpite dai rovinosi effetti della pandemia.