Il varo della nuova legislatura in Germania: il diritto parlamentare fra continuità e adattamento
Il 26 ottobre 2021, esattamente a un mese di distanza dalle elezioni e nell’ultimo giorno utile consentito dall’art. 39 della Legge fondamentale (GG), si è tenuta la seduta inaugurale della XX legislatura della Repubblica federale tedesca. Si è trattato, per molti versi, di uno spartiacque: con l’avvio della nuova legislatura è giunto a conclusione il IV Governo Merkel, che in virtù dell’art. 69 GG rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti. In attesa che si formi un nuovo esecutivo federale – con ogni probabilità, un Governo sostenuto da una maggioranza “semaforo” rosso-giallo-verde e presieduto da Olaf Scholz –, la giornata del 26 ottobre ha offerto indicazioni interessanti sulla tenuta di alcune regole e prassi del parlamentarismo tedesco in una stagione politica caratterizzata da una frammentazione e da un’incertezza crescenti.
Si tratta, in primo luogo, dell’elezione del Presidente del Bundestag, primo punto all’ordine del giorno dopo la costituzione dell’Ufficio di presidenza provvisorio. Il par. 2 del regolamento interno del Bundestag (GO-BT) si limita a prevedere la regola della maggioranza assoluta per i primi due scrutini e della maggioranza relativa per l’eventuale terzo (e ultimo scrutinio). Cionondimeno, un “antico uso parlamentare” (J. Bücker) vuole che il gruppo parlamentare numericamente più cospicuo abbia il diritto di proporre un proprio candidato alla Presidenza. Tale uso, del resto, troverebbe un riconoscimento implicito nello stesso regolamento, che prevede che il Presidente in caso di impedimento sia sostituito dal Vicepresidente espressione del secondo gruppo più consistente (par. 7, c. 6). Questa radicata prassi prescinde dalle trattative per la formazione del Governo, e non è peregrina l’ipotesi di un Presidente di opposizione: negli anni Settanta, caratterizzati dall’egemonia della coalizione social-liberale, la carica di Presidente del Bundestag è rimasta a lungo appannaggio della CDU/CSU. Nelle scorse settimane, a mano a mano che si faceva strada la prospettiva di una maggioranza “semaforo” SPD-Verdi-FDP, i media hanno dato conto di voci che segnalavano l’inopportunità di un’eccessiva concentrazione di potere in capo ai socialdemocratici. Questi ultimi, pur rivitalizzati dopo una stagione di grave declino, hanno ottenuto soltanto il 25,7% dei suffragi: con poco più di un quarto dei voti, si obiettava, i socialdemocratici avrebbero espresso il Cancelliere, il Presidente del Bundestag e il Presidente federale, nel caso assai probabile di una rielezione di Frank-Walter Steinmeier nel gennaio 2022. Ragioni di riequilibrio politico (e di genere) portavano dunque a ipotizzare una deroga rispetto alla prassi consolidata, con l’attribuzione della Presidenza a una parlamentare dei Verdi, seconda forza della costituenda maggioranza “semaforo”. Tutto ciò non si è concretizzato, e alla Presidenza del Bundestag è stata proposta ed eletta la socialdemocratica Bärbel Bas in quanto espressione del gruppo più numeroso.
Particolarmente degno di nota, poi, risulta l’interazione fra l’Alternativa per la Germania (AfD) e gli altri gruppi parlamentari. Il partito di estrema destra ha registrato perdite significative nei Länder occidentali, ma ha consolidato le proprie posizioni nei Länder dell’Est. Già quattro anni fa, in previsione dell’ingresso dell’AfD nel Bundestag, erano state modificate le disposizioni regolamentari sull’Ufficio di presidenza provvisorio (par. 1 GO-BT). Per l’individuazione del Presidente provvisorio (Alterspräsident) il criterio dell’età anagrafica fu sostituito da quello dell’anzianità di servizio, con l’intento di favorire i partiti storici. Non diversamente da ciò che è accaduto al Parlamento europeo nel 2009, il regolamento interno è stato modificato poco prima delle elezioni per evitare che la carica di Presidente provvisorio – naturalmente dotata di grande visibilità – fosse occupata da un parlamentare dell’AfD. In virtù del principio di discontinuità, il 26 ottobre il deputato dell’AfD Bernd Baumann ha chiesto invano l’immediato ripristino della regola dell’anzianità anagrafica, con la conseguente sostituzione di Wolfgang Schäuble – eletto per la prima volta nel 1972 – con l’ottantenne Alexander Gauland. Come già quattro anni fa, inoltre, Baumann si è avventurato in un parallelismo piuttosto impreciso con la soppressione della carica di Alterspräsident promossa da Hermann Göring nel 1933.
Ulteriori contrasti si sono registrati al momento dell’elezione dei Vicepresidenti. A differenza di altri parlamenti europei, dal 1994 il regolamento del Bundestag non prevede più un numero fisso di Vicepresidenti e si limita a stabilire (par. 2, c. 1) che ogni gruppo parlamentare (Fraktion) “è rappresentato nell’Ufficio di presidenza da almeno un Vicepresidente o una Vicepresidente”. Con questa disposizione il diritto parlamentare si adattò alle trasformazioni del sistema politico, a lungo caratterizzato da grande stabilità ma segnato, negli ultimi quarant’anni, dall’avvento di nuovi soggetti: i Verdi, la Linke e infine l’AfD. La ratio della disposizione regolamentare è di consentire a ogni gruppo di disporre di un proprio rappresentante nell’Ufficio di presidenza. È eletto Vicepresidente, però, chi ottiene il sostegno della maggioranza – assoluta e al terzo scrutinio relativa – dei membri del Bundestag. Ogni gruppo, insomma, ha il diritto di proporre un proprio candidato, ma ciò non si traduce automaticamente nella sua elezione: è stato scritto, con un’efficace sintesi, “ogni gruppo, ma non con qualsiasi candidato” (S. Lovens). Già nel 2005 la Linke non era riuscita a far eleggere il proprio candidato, Lothar Bisky, sospettato di legami con la Stasi prima della riunificazione. Secondo lo stesso Lovens, perciò, la norma regolamentare relativa alla presenza di esponenti di tutti i gruppi nell’Ufficio di presidenza deve intendersi come “la regolamentazione parallela di un risultato e di un procedimento, senza che il procedimento conduca necessariamente a quel risultato”. In tempi recenti anche l’ex Presidente Schäuble ha negato seccamente che vi sia un diritto al Vicepresidente. La norma ricavabile dai regolamenti e dalla prassi dovrebbe essere intesa in questo senso: “Diventerà Vicepresidente solo chi ottenga la maggioranza prescritta a scrutinio segreto. Un candidato proposto [da un gruppo] che non ottenga questa maggioranza non sarà Vicepresidente”.
Nel corso della passata legislatura, l’AfD non è riuscita a ottenere l’elezione di un proprio rappresentante a Vicepresidente del Bundestag. Anche dopo le prime sedute inaugurali della legislatura, il partito antisistema, servendosi di un’opzione contemplata dal regolamento (par. 2, c. 3, GO-BT), ha chiesto l’organizzazione di nuovi scrutini per l’elezione di un Vicepresidente: in quattro anni sei candidati dell’AfD non sono riusciti a raggiungere i quorum prescritti dal regolamento. Lo stesso è accaduto con Michael Kaufmann, il candidato presentato dall’AfD il 26 ottobre, che ha ottenuto 118 voti a favore e 553 contro. La vicenda pare destinata a protrarsi nei prossimi mesi ed è paradigmatica del difficile adattamento dell’AfD ai meccanismi della democrazia parlamentare. La controversia, prettamente politica, ha acquisito anche una dimensione giurisdizionale a causa del ricorso per conflitto tra organi presentato dal gruppo dell’AfD dinanzi al Tribunale costituzionale, e dallo stesso Tribunale dichiarato inammissibile con un Beschluss del 7 luglio 2021. Nel ricorso – che s’inserisce in una lunga teoria d’iniziative giudiziarie dell’AfD dinanzi ai giudici di Karlsruhe, puntualmente documentata da F. Saitto – si lamentava la violazione dello status costituzionale dei deputati in quanto rappresentanti di tutto il popolo (art. 38 GG) e del diritto a un’equa e leale applicazione del regolamento. I candidati di volta in volta proposti dall’AfD sarebbero stati respinti “senza garantire con adeguate precauzioni procedimentali che tali voti contrari non siano provocati da motivazioni inappropriate” (par. 9). Il principio delle pari opportunità fra i gruppi nella formazione dell’Ufficio di presidenza e di altri organi interni del Bundestag potrebbe cioè venire contraddetto dalla logica del voto a maggioranza; al Tribunale si chiedeva di imporre al Bundestag con un provvedimento cautelare la modifica delle norme procedimentali. I giudici di Karlsruhe si sono pronunciati nel senso dell’inammissibilità del ricorso sia perché mirava a produrre effetti non compatibili col giudizio per conflitto tra organi, sia perché non sono stati presentati con sufficiente precisione i rischi incombenti né l’idoneità del provvedimento cautelare richiesto a sanarli. Se anche il Bundestag fosse obbligato a dotarsi di nuove regole interne, non è chiaro quali vantaggi potrebbe trarne il gruppo dell’AfD nel tentativo di ottenere l’elezione di un proprio Vicepresidente.
Come si possono interpretare i ripetuti insuccessi dell’AfD nel tentativo di far eleggere Vicepresidente un proprio deputato? Non ci sono spiegazioni univoche. Si può dire, in primo luogo, che non si tratta della conventio ad excludendum che colloca l’AfD al di fuori del perimetro dei partiti regierungsfähig, idonei cioè ad assumere responsabilità governative. Nella passata legislatura, del resto, l’AfD si è vista attribuire alcune presidenze di Commissione, fra cui la presidenza della cruciale Commissione bilancio, che per convenzione è assegnata al più forte gruppo di opposizione. In quel caso è stato applicato il par. 12 del regolamento, che prevede la distribuzione delle presidenze di Commissione fra tutti i gruppi parlamentari in ragione della loro consistenza numerica. Le disposizioni regolamentari riguardanti l’Ufficio di presidenza, invece, si prestano a essere integrate da convenzioni fra gli attori politici, con una corrispondenza mai perfetta, come detto in precedenza, tra procedimento e risultato. I Vicepresidenti coadiuvano il Presidente in diverse funzioni, a rilevanza tanto esterna quanto interna: oltre a rappresentare il Bundestag e a preservarne la “dignità” (par. 7, c. 1, GO-BT), i membri dell’Ufficio di presidenza sono custodi del regolamento e titolari del potere di polizia all’interno delle sedi del Bundestag. Proprio su questo dato fanno leva gli oppositori dell’elezione di un Vicepresidente in quota AfD. Dopo aver fatto il suo ingresso nel Bundestag, quattro anni fa, il partito si è distinto per un approccio fortemente aggressivo alle attività parlamentari che costituisce un novum per la vita istituzionale tedesca, come messo in luce sia dai media generalisti, sia da indagini politologiche. È un punto importante, che offre materiale per una riflessione comparatistica sulla “svolta populista” nei parlamenti contemporanei (si veda, con riguardo al caso italiano, il contributo di C. Fasone). Di qui la riluttanza a coinvolgere l’AfD nell’esercizio di funzioni significative sia per la vita interna del Bundestag, sia per la sua proiezione esterna, verso le altre istituzioni e la società civile. Le voci critiche, d’altra parte, fanno notare che questo ostracismo a bassa intensità, praticato ma non pienamente formalizzato, rappresenta un segnale di debolezza più che di forza dell’istituzione parlamentare e della sua capacità di promuovere l’integrazione politica. In futuro il coinvolgimento dell’AfD nelle dinamiche parlamentari potrebbe essere favorito da un’evoluzione del partito e da un suo allontanamento del radicalismo ideologico e verbale, con qualche assonanza con la traiettoria dei Verdi negli anni Ottanta; evoluzione, però, che oggi appare quantomai remota ed è resa ancor più improbabile dalla netta affermazione della frangia völkisch nelle votazioni interne che hanno dato l’avvio all’ultima campagna elettorale del partito.