La doppia anima del diritto di proprietà. Recensione a A. Viglianisi Ferraro, La tutela multilivello del diritto di proprietà nel sistema giuridico italo-europeo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020
Il diritto di proprietà è, dalla modernità, uno degli assi centrali di discussione in politica, economia e senza dubbio in ambito giuridico. Questo diritto è stato centrale nel consolidamento degli ordinamenti giuridici dopo le rivoluzioni borghesi e le sue caratteristiche di assolutezza, esclusività e perpetuità sono rimaste negli ordinamenti giuridici contemporanei.
Certamente, con l’avvento del Welfare State, il diritto di proprietà è mutato e si è adattato grazie ai contributi teorici sulla funzione sociale proposti dal francese Léon Duguit, e si è limitato con la teoria dell’abuso del diritto. Già nel Novecento l’assolutezza della proprietà privata trova limiti più marcati, dando spazio a fasce economicamente e socialmente svantaggiate, titolari di una nuova generazione di diritti.
Nella seconda metà del secolo scorso, con il consolidamento dei diritti umani a livello internazionale, il diritto di proprietà è diventato parte del corpus degli human rights. Dalla sua positivizzazione nella Dichiarazione universale dei diritti umani, fa parte praticamente di tutte le carte dei diritti del mondo. La sua natura economica e il suo rapporto con il laissez faire del XIX secolo hanno creato un grande dibattito sulla sua natura di diritto fondamentale e sulla sua relazione con altri diritti soggettivi inalienabili.
Angelo Viglianisi Ferraro studia questo diritto nella sua opera La tutela multilivello del diritto di proprietà nel sistema giuridico italo-europeo: diritto che è ancora in piena trasformazione nello ius commune, dove la visione ottocentesca assoluta propria della lex mercatoria sembra convivere con la funzione sociale in diversi strumenti giuridici. Esemplare è il caso dell’Unione europea rispetto ai suoi Stati membri.
La questione dell’inclusione della proprietà tra i diritti fondamentali dell’uomo diventa controversa a causa delle carte di diritto internazionale dove si ripetono forme simili a quelle delle costituzioni borghesi dell’Ottocento, che complicano la situazione di Stati come l’Italia, che enfatizzano la proprietà come diritto economico e la sua funzione sociale. In una prospettiva “pro-europea”, l’autore cerca di prendere le distanze dalla posizione scettica della “dottrina sovranista”, affermando che «la collocazione del diritto di proprietà in una o in altra parte della Carta costituzionale non dovrebbe vedersi attribuita soverchia importanza (considerando che attorno alla situazione giuridica in questione comunque ruotano, innegabilmente, interessi non secondari della persona), né l’inclusione di quest’ultimo nel “catalogo” dei fundamental rights sembrerebbe costituire una “regressione” dal punto di vista della salvaguardia delle istanze collettive (e dei soggetti deboli)…» (p. 16).
Per la dimostrazione della sua tesi Viglianisi Ferraro, dopo aver introdotto il problema e descritto lo stato della questione, delinea la sua posizione in tre capitoli e una conclusione. La prima sezione inizia indagando la natura giuridica del diritto di proprietà privata. Rileva come il passato assolutista delineato dal giusnaturalismo non sia più in voga nella dottrina nazionale, posto che in Italia la Corte costituzionale «non ha mai preso apertamente posizione circa il carattere della “inviolabilità” del diritto sui beni (se si esclude un obiter dictum contenuto nella sentenza n. 22 del 17 febbraio 1971), mentre ha più volte ribadito che quest’ultimo non può essere considerato “assoluto ed illimitato”» (p. 32). Tuttavia, ciò non pregiudica la classificazione come diritto umano della proprietà, che dal 1948 è stata riconosciuta come tale nell’articolo 17 della Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta da quasi tutti i paesi del mondo.
Le preoccupazioni della dottrina su come il riconoscimento della proprietà quale diritto umano possa influenzare il Welfare State sembrano a Viglianisi Ferraro «eccessive e prive di un reale fondamento» (p. 36) visto che la qualificazione del diritto come fondamentale non impedisce che esso venga limitato da istituti come l’espropriazione e dal bilanciamento con altri diritti.
Il carattere ottocentesco della proprietà nelle sue attribuzioni soggettive sembra lontano, come ci dice l’autore: «attualmente come una situazione giuridica soggettiva del tutto “piena, esclusiva, ed imprescrittibile”, esso – oggi più che mai (e, si noti, proprio per l’influenza normativa prodotta da quei Paesi che, da sempre, lo considerano fondamentale) – appare suscettibile di ricevere contenimenti e declinazioni di vario tipo, assumendo spesso il carattere della “parzialità, separatezza e temporaneità”» (p. 44).
Pertanto, egli specifica che il diritto di proprietà contemporaneo ha una “doppia anima”, cioè che è tanto diritto “di” proprietà quanto diritto “alla” proprietà. Lo Stato ha quindi un doppio obbligo, vale a dire: da un lato, quello di garantire lo ius utendi e lo ius fruendi dell’utente, che diventa assoluto per il legislatore purché questo significhi rispetto dei beni necessari alla realizzazione autonoma della propria vita; dall’altro, quello dello Stato di garantire che tutte le persone possano essere proprietarie, soprattutto dei beni necessari per una vita in libertà.
Questo ci porta alla chiusura del capitolo, in cui la proprietà è delineata «quale irrinunziabile strumento di attuazione di altri diritti inviolabili dell’uomo» (p. 60). La proprietà privata sarebbe quindi necessaria per raggiungere la dignità umana attraverso l’acceso di ogni essere umano alle res indispensabili.
Nel secondo capitolo Viglianisi Ferraro sviluppa l’analisi del diritto di proprietà nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, mentre nel terzo concentra la sua attenzione sul ruolo di questo diritto nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Attraverso una puntuale rassegna della normativa, della giurisprudenza e della dottrina italiana ed europea, l’autore rende conto di tutti i problemi e i dubbi che sono giunti all’attenzione dei giuristi. Seguendo il ragionamento che ha prospettato nell’introduzione e nel primo capitolo egli dimostra che, al di là della lettera della norma, il diritto vivente del continente materializzato nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea prende in considerazione i valori collettivi e sociali nella limitazione della proprietà privata. Pertanto, Viglianisi Ferraro si rivolge direttamente a coloro che facendo un’arida lettura dell’articolo 17 della Carta di Nizza, pensano a un throwback al modello ottocentesco della proprietà, spiegando che è tutto il contrario, poiché «la Carta si inserisce in un contesto normativo (quello attuale dell’Unione europea) basato sì in campo economico-sociale sul principio di una fair and workable competition» (p. 195) ma allo stesso tempo, naturalmente, è finalizzata al raggiungimento degli obiettivi di solidarietà dell’Ue attraverso la fondamentale tutela dell’ambiente, della cultura, dell’occupazione e della qualità della vita.
Allo stesso modo, per coloro che temono che le caratteristiche storiche di ogni popolo e la loro identità nazionale non vengano prese in considerazione, il Trattato di Lisbona (art. 3 bis) ha già chiarito che queste devono essere rispettate. Quindi è difficile pensare all’ingerenza dell’Ue nei particolari istituti dominicali di ogni Paese come «l’enfiteusi italiana, la ownership inglese, l’Allmensratt svedese o l’Eigentum tedesca» (p. 115).
Infine, Viglianisi Ferraro conclude il suo libro spiegando che «l’inclusione del diritto di proprietà fra le situazioni giuridiche soggettive inviolabili implica la necessità per gli Stati europei di garantire un elevato grado di protezione dell’interesse (di carattere primario) dominicale, per tutta la fase di “operatività” di quest’ultimo, dalla nascita alla sua estinzione (al pari di quanto avviene per ogni altra prerogativa fondamentale della persona)» (p. 347).
Non si può fare a meno di riconoscere che la proprietà privata è stata classificata tra i diritti fondamentali, ma che la stessa è sottoposta a limiti sociali e ambientali sia nell’ordinamento nazionale che in quello sovranazionale. La configurazione di questo diritto nelle carte europee dovrebbe rassicurare coloro che temono che le basi di solidarietà del sistema dei diritti umani possano essere danneggiate, poiché la proprietà «è configurata nelle fonti europee in maniera tale da risultare, anche ai più liberisti, assolutamente (ed inevitabilmente) suscettibile di limitazioni (spesso davvero significative), se confliggente con altri interessi supremi (non solo pubblici o collettivi, ma anche puramente privati)» (p. 362).
Come abbiamo visto, il libro di Angelo Viglianisi Ferraro esamina un istituto di diritto privato chiave nel contesto europeo con grande versatilità e fornendo un lavoro di sistemazione delle fonti al servizio sia dei privatisti che degli studiosi di diritto pubblico. In modo energico, mostra una via d’uscita dai nodi su cui i giuristi hanno versato tanto inchiostro per dimostrare l’armonizzazione esistente a livello sia normativo che giurisprudenziale. Allo stesso tempo, dimostra che un diritto di proprietà configurato come diritto fondamentale non solo non danneggia il corpus internazionale dei diritti umani ma, meglio ancora, è necessario per garantire l’accesso ai diritti più essenziali di ogni essere umano.