La neutralità climatica e la libertà di futuro (BVerfG, 24 marzo 2021)
La decisione in commento, con cui lo scorso 24 marzo il Bundesverfassungsgericht ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli del Bundes-Klimaschutzgesetz (KSG) del 12 dicembre 2019, rilevando l’insufficienza degli sforzi compiuti dalla Germania nella lotta al cambiamento climatico, si presenta come una pietra miliare nello scenario delle climate litigations nel contesto europeo, che ha acceso un vivo dibattito nella dottrina tedesca, spingendo addirittura a parlare del riconoscimento di un vero e proprio «Grundrecht auf Generationengerechtigkeit».
Come è noto, il ricorso al sistema giudiziario per contestare l’insufficienza delle politiche climatiche ha già dei precedenti rilevanti. Questi trovano il loro capostipite nel noto caso Urgenda, che con la sentenza del 24 giugno 2015 della Corte Distrettuale dell’Aja, poi confermata il 20 dicembre 2019 dalla Corte Suprema Olandese, ha rappresentato il primo esempio di riconoscimento giudiziale dell’inadeguatezza delle azioni intraprese contro il cambiamento climatico.
Un esito raggiunto anche in casi più recenti, come Friends of the Irish Environment v. Ireland del 31 luglio 2020, dove la Corte Suprema Irlandese, pur dichiarando inammissibile il ricorso, ha affermato la mancanza di specificità del programma ambientale irlandese. Ancora più recentemente, il 31 febbraio 2021 il Tribunale Amministrativo di Parigi ha condannato il governo francese per inadempimento climatico e risarcimento danni (qui un commento alla decisione di Michele Carducci).
La sentenza del BVerfG si colloca pertanto in un contesto innovativo e in costante sviluppo, realizzando tuttavia un risultato ulteriore rispetto a tali precedenti. La Corte, infatti non si limita ad affermare la doverosità della lotta al cambiamento climatico, ma va ad interiorizzarla nei principi costituzionali, interpretandoli secondo un nuovo paradigma ambientale quali fonte di un obbligo costituzionale e un limite invalicabile per il legislatore.
Su questi aspetti fondamentali, evidenziati fin dalle cinque Leitsätze riportate al principio della decisione, ed ulteriormente esplicati nei suoi 268 paragrafi, si fonda dunque la decisione del BVerfG, che si muove su due dimensioni essenziali della lotta al cambiamento climatico: una spaziale e una temporale.
La prima impone di affrontare l’emergenza rispettando obblighi di solidarietà e di cooperazione, come anche imposto dal diritto internazionale e in particolare dalla United Nations Framework Convention on Climate Change del 1992 e dal più recente Accordo di Parigi del 2015, formalmente ratificato anche dall’Unione Europea il 5 ottobre 2016.
La seconda richiede invece di adempiere a tali doveri nell’ottica di tutelare i diritti delle generazioni future, secondo il principio di responsabilità intergenerazionale.
Tanto la prospettiva spaziale quanto quella temporale emergono inoltre dalla stessa analisi dei ricorsi alla base della decisione. È infatti opportuno ricordare che la Corte si è pronunciata su quattro procedimenti (1 BvR 2656/18, 1 BvR 78/20, 1 BvR 96/20 e 1 BvR 288/20) che hanno raccolto ben 47 Verfassungsbeschwerden, presentate ai sensi dell’art. 93 Grundgesetz e dell’art. 90 della legge sul BVerfG.
La dimensione temporale emerge in particolare dal gran numero di ricorsi presentati da soggetti minorenni o comunque giovanissimi, vale a dire le generazioni future già esistenti, e rappresenta un evidente effetto del movimento Fridays for future, come testimonia la presenza, tra i ricorrenti, della coordinatrice del movimento in Germania. È invece l’ultimo dei procedimenti a rispecchiare chiaramente la dimensione spaziale, raccogliendo i ricorsi di cittadini del Bangladesh e del Nepal, che hanno evidenziato l’impatto transfrontaliero e globale del cambiamento climatico.
Su queste direttive si dipana la prima parte della decisione, partendo dal riconoscimento dell’oggettività dei rischi e degli effetti del cambiamento climatico, nonché delle responsabilità dell’azione umana in genere (§§ 16-28 della sentenza) nonché, nello specifico, delle emissioni prodotte dalla Repubblica Federale (§§ 29 e 30). A fronte di tali dati oggettivi, riconosciuti dalle scienze naturali, la risposta doverosa e necessaria deve essere quella di una adeguata politica climatica (§ 35), anche al fine di tutelare i diritti fondamentali direttamente colpiti dagli effetti del deterioramento ambientale (§ 38).
Per la Corte ciò impone necessariamente, come già accennato, di interpretare ogni diritto e principio fondamentale in chiave ecologica, ritenendo conseguentemente incompatibile con i compiti della Repubblica Federale la tolleranza e l’inazione contro il cambiamento climatico e i suoi effetti (§ 114).
La tutela dei diritti fondamentali e l’inammissibilità di una condotta omissiva conducono al fulcro della decisione, al principio espresso nei §§ 122 e 123, che diviene un vero e proprio Leitmotiv della sentenza, e cioè la necessità di tutelare le libertà future (al punto tale che in un commento, disponibile qui anche in italiano, Bernd Ulrich parla di «Befreiung der Freiheit», liberazione della libertà).
Sono infatti le libertà dei cittadini, e in particolare quelli appartenenti alle generazioni future, ad essere messe a rischio e minacciate, direttamente dalle emissioni e dal cambiamento climatico, e indirettamente dall’inazione o insufficienza dell’azione del legislatore.
Ed è dunque interpretando in tal senso il primo periodo dell’art. 2, co. 2 Grundgesetz, relativo alla tutela della vita e all’incolumità fisica (salute) della persona (§§ 154-156), che il BVerfG afferma l’inadeguatezza del Bundes-Klimaschutzgesetz. Pur non ponendosi come lesione palese e diretta dei diritti di cui all’art. 2, co. 2, questo è infatti uno strumento insufficiente per perseguire efficacemente la neutralità climatica e i due obblighi primari dell’Accordo di Parigi: mantenere l’innalzamento delle temperature almeno al di sotto dei 2°C, mirando a limitarlo a 1,5°C (art. 1, co.1, lett. a), e raggiungere tali obbiettivi «as soon as possible» (art. 4).
L’Accordo di Parigi, inoltre, emerge altresì come elemento chiave nell’interpretazione ecologicamente orientata della Corte dell’art. 20a Grundgesetz, che recita che lo Stato «schützt auch in Verantwortung für die künftigen Generationen die natürlichen Lebensgrundlagen». Lo Stato è infatti libero nella sua azione di perseguimento degli obbiettivi di tutela ambientale, in quanto l’art. 20a Grundgesetz va a formulare uno Staatsziel e non un Gesetzgebungsauftrag definito. Non si tratta tuttavia di una mera norma programmatica, imponendo dei vincoli per l’azione del legislatore, che deve essere comunque orientata alla tutela ambientale e dunque alla lotta al cambiamento climatico: è per questo che l’adesione all’Accordo, anche in virtù della nota Völkerrechtsfreundlichkeit dell’ordinamento tedesco, limita necessariamente tale libertà, imponendo una lettura vincolata dell’art. 20a (§ 246 della sentenza).
In questo sta la profonda innovazione della decisione del Bundesverfassungsgericht rispetto ai precedenti casi europei di climate litigation: la Corte, come già accennato, va oltre al rispetto degli obbiettivi di neutralità climatica imposti dal diritto internazionale, rendendoli propri dell’interpretazione della Legge Fondamentale in generale, e in particolare degli obblighi di cui all’art. 20a GG. Questi divengono infatti un limite invalicabile per il legislatore (§§ 192 e 193), il quale, nell’affrontare l’emergenza climatica, deve necessariamente rispettare il principio di proporzionalità dei doveri, ripartendoli equamente e non sbilanciandoli a svantaggio delle libertà future.
Sulla base di questi principi la Corte giunge ad una sentenza “additiva di principio”, che dichiara l’illegittimità degli artt. 3, co. 2 e 4, co. 1 del Bundes-Klimaschutzgesetz, nonché dell’allegato 2 della legge, nella parte in cui non perseguono correttamente l’obbiettivo della neutralità climatica, imposto dal rispetto dei diritti fondamentali e dall’art. 20a Grundgesetz, indicando al legislatore il termine del 31 dicembre 2022 per adeguare le disposizioni incostituzionali (§ 268).
Adeguamento che il governo tedesco ha invece predisposto con estrema celerità, presentando già l’11 maggio 2021 delle modifiche sostanziali al KSG, che non solo incrementano l’obbiettivo di riduzione di emissioni per il 2030, innalzandolo dal 55% al 65%, ma aggiungendo le ulteriori mete dell’88% per il 2040 e della neutralità climatica entro il 2045, mirando a raggiungere emissioni negative nel 2050.
Una risposta estremamente rapida, dietro la quale si celano probabilmente i timori degli Unionsparteien per le elezioni del prossimo settembre, ma che nondimeno si pone come un ulteriore passo nella lotta al cambiamento climatico e come base per la garanzia delle libertà del futuro.