Nuove tensioni in Catalogna: tra la vittoria elettorale degli indipendentisti e la solidarietà a Pablo Hasél
1.Domenica 14 febbraio, in piena crisi pandemica, la Catalogna è stata chiamata a rinnovare la composizione del Parlament, che sarà ancora a maggioranza indipendentista.
La scadenza naturale della XII legislatura catalana sarebbe stata nel dicembre 2021, ma lo scorso settembre il Presidente della Generalitat Joaquim Torra (Junts por Catalunya) è stato inabilitato a seguito di una condanna per disobbedienza per non aver rispettato un ordine della Junta Electoral che gli intimava di rimuovere, durante il periodo elettorale, dal Palau de la Generalitat uno striscione a favore della libertà per i politici indipendentisti (Llibertat presos polítics). Dopo la decadenza di Torra le forze politiche indipendentiste hanno preferito tornare a elezioni anziché trovare un sostituto perché «no hi haurà president fins que la ciutadania esculli un. No normalitzarem la situació» (non ci sarà un presidente finché i cittadini non ne eleggeranno uno. Non normalizzeremo la situazione).
La stessa data delle elezioni è stata oggetto di una controversia giudiziaria. Il Presidente facente funzioni, Pere Aragonès (ERC), aveva tentato di posticipare il voto a maggio per ragioni di salute pubblica, vista la nuova ondata pandemica che sta interessando la Spagna (e forse anche per convenienza politica). Il Tribunal Superior de Justícia de Catalunya, però, ha confermato la data delle elezioni al 14 febbraio e la campagna elettorale si è svolta in gran velocità. Si è reso necessario, quindi, organizzare “comizi digitali” (come già avvenuto nelle elezioni in Galizia e nei Paesi Baschi la scorsa estate) e il ruolo dei social network è diventato centrale.
Alle elezioni, come noto, non hanno potuto concorrere i leader dei due principali partiti indipendentisti: Junqueras, condannato a tredici anni di carcere per sedizione e malversazione, e Puigdemont, che si trova in Belgio per sfuggire all’arresto per i fatti del referendum del 1° ottobre 2017.
L’offerta politica di questa tornata elettorale può essere analizzata seguendo il cleavage indipendentisti/unionisti.
Il fronte indipendentista si è presentato diviso in:
- Junts per Catalunya, forza politica indipendentista di destra, è il partito di Carles Puigdemont e ha candidato alla Presidenza Laura Borras;
- Esquerra Republicana de Calalunya (ERC) è l’altra anima dell’indipendentismo, partito repubblicano, più orientato a sinistra e guidato da Oriol Junqueras, con Pere Aragonès candidato a ricevere l’investidura come president;
- Candidatura d’Unitat Popular (CUP), forza separatista di sinistra radicale.
Il fronte unionista è molto più eterogeneo, con partiti che è impossibile tenere insieme in una coalizione politica. I due partiti spagnoli più tradizionali hanno in Catalogna la loro articolazione locale: il Partit dels Socialistes de Catalunya (PSC), che ha candidato alla presidenza della Generalitat il Ministro della Salute Salvador Illa (il quale ha ottenuto una grande visibilità per la gestione dell’emergenza pandemica), e il Partido Popular, da sempre poco rilevante nella comunitad autonoma.
Ciutadans, versione catalana del partito di Inés Arrimadas Ciudadanos, ha un’ispirazione liberale di centro e centralista e alle scorse elezioni ha rappresentato il principale collettore dell’elettorato anti-indipendentista. En Comù Podem, invece, è lo sviluppo catalano di Podemos, il partito di sinistra che a livello nazionale ora governa col PSOE e in Catalogna è rappresentato dalla sindaca di Barcellona, Ada Colau. Per quanto abbia una connotazione territoriale, è l’unica forza a non aver mai preso una posizione netta sull’indipendentismo, scelta che in passato le ha permesso un’interlocuzione più trasversale. Infine, si è presentato per la prima volta nella storia delle elezioni catalane il partito Vox, forza dell’ultradestra sovranista.
Le elezioni hanno visto i tre partiti indipendentisti ottenere 74 seggi su 135 (ERC con 33 scranni, Junts con 32 e CUP con 9), superando, quindi, la maggioranza assoluta dei seggi.
Il Partito Socialista ha fatto registrare un deciso balzo in avanti rispetto a quattro anni fa, quasi raddoppiando i seggi (33 rispetto ai 17 del 2017) e risultando anche la forza più votata. Tuttavia, ciò non sarà probabilmente sufficiente ad ottenere la guida della Catalogna. Infatti, tutte le forze politiche indipendentiste hanno firmato una dichiarazione confermando l’indisponibilità ad un accordo post-elettorale con i socialisti, di fatto isolandoli e rendendo difficilmente spendibile il loro risultato elettorale. Ciò ha impedito la ricomposizione dell’alleanza centrale, dove i socialisti e Podemos governano anche grazie all’astensione decisiva di ERC.
Bisogna sottolineare, inoltre, che per la prima volta entra nel Parlament (situato nel Parc de la Ciutadella) l’estrema destra di Vox, che elegge ben 11 deputati. En Comù-Podem, infine, ottiene 8 deputati, Ciuatadans passa dai 36 seggi a 6 e il Partido Popular, che si deve accontentare di soli 3 seggi.
La giornata elettorale è stata, peraltro, caratterizzata dalla scarsa partecipazione, la più bassa nella storia della democrazia catalana: il 53,5% (contro il 79% della precedente tornata). La maggioranza dei voti espressi è stata a favore dei partiti indipendentisti (50,9%) per la prima volta dal 1992. Gli indipendentisti hanno prevalso nelle province di Girona (67%), Lleida (66,8%) e Tarragona (53.5%), mentre le forze centraliste sono risultate maggioranza solo nella Provincia di Barcellona (dove il PSC è stato nettamente il primo partito).
Le elezioni hanno comportato un mutamento delle gerarchie all’interno della coalizione indipendentista e l’ERC ha ottenuto per la prima volta un risultato migliore di Junts (e dei predecessori di questa formazione politica). Al partito di Junqueras dovrebbe, quindi, spettare la presidenza della Generalitat, mentre a quello di Puigdemont lo scranno più alto del Parlament. Aragonès potrebbe diventare uno dei presidenti più giovani, con i suoi 38 anni, dando nuova linfa alla lotta indipendentista. Sarà necessario, però trovare un accordo con la CUP, e non sarà un’opera facile, e sanare le fratture che per quasi due anni hanno caratterizzato i rapporti tra ERC e Junts. Secondo lo Statuto catalano il prossimo appuntamento sarà l’elezione del presidente dell’Assemblea, momento fondamentale, visto che sarà quest’ultimo a dover individuare il candidato per l’investidura e gestire l’iter della formazione del governo della Comunitad.
2.Le elezioni hanno confermato la tensione tra la volontà dei cittadini della Catalogna e la gestione della questione catalana da parte del Governo centrale. Il dialogo appare essere l’unica strada perché la “giurisdizionalizzazione” del conflitto non ha sortito risultati. Il clima, infatti, è stato ulteriormente reso incandescente per la mobilitazione dell’opinione pubblica in favore del rapper Pablo Hasél. Infatti, pochi giorni dopo le elezioni, i Mossos d’Esquadra (la polizia catalana) hanno arrestato a Lleida Hasél, appena condannato a nove mesi di carcere per alcuni tweet nei quali insultava la monarchia e le forze dell’ordine.
Hasél si era barricato nel rettorato dell’università con studenti e attivisti con l’obiettivo di dare risonanza mediatica al suo arresto, che ha definito un “gravissimo attacco alla libertà d’espressione”. Il cantante è stato condannato per incitazione al terrorismo e oltraggio alla Corona. L’Audiencia Nacional aveva negato a Hasél la sospensione della pena, in quanto il cantante aveva già subito due condanne per resistenza a pubblico ufficiale e per violazione di domicilio). Il rapper, infatti, è stato punito per alcuni messaggi pubblicati su Twitter tra il 2014 e il 2016 nei quali insultava monarchia e le forze di polizia, accusandole di “torturare” migranti e manifestanti. Hasél si rifiuta, inoltre, di pagare la sanzione di circa 24.000 euro, con la probabilità che la condanna da scontare in carcere, quindi, superi i due anni.
Il caso ha avuto e continua ad avere una forte risonanza mediatica in Spagna. In tutta la penisola si sono svolte manifestazioni a favore di Hasél e molti artisti (tra cui Almodovar e Bardem) hanno firmato una lettera in sua difesa. In Catalogna si sono creati pesanti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, tanto da costringere Aragonès a ribadire la necessità di tenere un comportamento pacifico e responsabile.
Parallelamente, il governo centrale sta riflettendo su di una riforma dei reati di opinione, ma esistono difficoltà per trovare un equilibrio tra Podemos (secondo cui è necessario sanzionare solo le dichiarazioni che costituiscano un chiaro rischio per l’ordine pubblico) e i socialisti, molto più restii alla riforma del Código Penal. La vicenda potrebbe influenzare anche la formazione del nuovo governo catalano. La CUP, infatti, entrerà a far parte della maggioranza solo se sarà realizzata una riforma dei Mossos d’Esquadra, con la necessità di vietare i proiettili di foam (che hanno recentemente causato la perdita dell’occhio destro a una manifestante).
Per giunta, la questione della pena detentiva per i reati d’opinione sta creando un preoccupante disallineamento tra la Corte EDU e l’ordinamento spagnolo. La Corte di Strasburgo, con la sentenza Stern Taulatset Roura Capellera c. Spagna (13 marzo 2018), ha affermato che in materia di libertà di espressione (per come tutelata dall’art. 10 CEDU) è illegittima la condanna a pene detentive prevista dall’art. 490 del Codice penale spagnolo per il reato di ingiuria alla Corona (in quel caso realizzatosi attraverso il rogo simbolico del ritratto fotografico dei Sovrani). Tale principio è stato recentemente contrastato da una sentenza del Tribunal Constitucional, che ha confermato che “los ultrajes a la bandera de España no están amparados por la libertad de expresión”.
Ora i rapporti tra Catalogna e Madrid potrebbero implicare, oltre alla richiesta di riforma dei reati per cui sono stati condannati o accusati Junqueras, Puigdemont e gli altri presos polítics (visto la difficoltà politica e giuridica di una grazia), anche la necessità di ridisegnare i reati di vilipendio e, in generale, il sistema dei reati di opinione.