Recensione Biagio Andò, Certezza del diritto e discrezionalità giudiziale nei sistemi giuridici ibridi – il caso della Lousiana, ESI, 2018
L’ibridismo di taluni ordinamenti giuridici, nell’irriducibile singolarità e peculiarità delle singole esperienze, rappresenta una straordinaria opportunità per osservare e analizzare problemi di rilievo comparatistico di interesse generale, disvelare le logiche interne a ciascuna tradizione giuridica, comprendere le concrete strategie adottate dai “signori del diritto” per affermare il proprio ruolo nella produzione e interpretazione delle norme che regolano la condotta dei consociati.
Questo appare a me essere il forte messaggio della bella monografia di Biagio Andò.
§L’Autore, prendendo le distanze dalle eccessive semplificazioni dell’approccio palmeriano in tema di ordinamenti misti, conduce per mano il lettore, con una prosa tanto raffinata quanto chiara, su un percorso che mi piace definire “eretico”.
Si abbandona la strada battuta da una certa sistemologia acritica e ridondante, incline a dare per buona una delle tante e importanti teorie classificatorie, magari aggiungendo timidamente un “pezzetto” di riflessione personale, per avventurarsi con esiti più che felici in un percorso di profondo ripensamento e messa in discussione di tante “idee ricevute”, che vede il sistema giuridico della Lousiana come terreno d’indagine e di verifica del metodo che si è scelto di applicare.
Innanzitutto, con grande attenzione bibliografica e sensibilità storica, l’A. demolisce l’immagine, in apparenza neutra e asettica, degli sforzi classificatori in materia di ordinamenti giuridici ibridi, disvelando il peso dei profondi condizionamenti culturali e orientamenti politici, nonché di politica del diritto.
Ecco allora che i common lawyers, primi ad occuparsi di queste giurisdizioni, tendono a evidenziare l’importanza primaria della cultura in cui sono immersi : così Amos considera i sistemi misti come il portato delle politiche espansionistiche europee dal risultato comunque non duraturo; per altri, le giurisdizioni “midway” sono utili per valutare i meriti e i demeriti delle singole tradizioni, sottolineando la progressiva espansione e “successo” del common law; Pound, nell’osservazione di taluni ordinamenti ibridi (Louisiana, Scozia, Sudafrica, Filippine e Porto Rico), evidenzia l’egemonia raggiunta dal common law, nei termini in cui il suo pensiero giudiziario è destinato a divenire un “diritto d’influenza mondiale”, contrapposto ad “un corpo di regole consolidate” di civil law, relegato ad un ruolo sempre più marginale, e così via.
Non dissimilmente accade in una prospettiva tutta interna all’ordinamento giuridico della Lousiana: dall’intento più persuasivo che conoscitivo di Ireland (“today Louisiana is a common law state”), ai toni assertivi di Dixon che afferma in modo netto che il sistema è semplicemente un ordinamento monojural di common law, ai quali si contrappone il civilian Barham che parla di rinascita del civil law nel Paese.
L’analisi delle rappresentazioni esterne ed interne della bigiurialità ci porta così finalmente lontani da un mero approccio astratto, restituendoci una verità degli sforzi classificatori fatta, per così dire, di “carne e sangue”, animata da precise esigenze e tutt’altro che teorici interessi.
Si prosegue poi ad affrontare uno dei temi classici della comparazione giuridica, ovvero quello della creatività giurisprudenziale, in un contesto in cui il sistema formale delle fonti non annovera la giurisprudenza tra esse.
Ancora una volta, in fuga da mere astrazioni teoriche, l’A. decide di intraprendere l’indagine utilizzando un approccio per casi (l’analisi quindi si concentra sul danno extracontrattuale, sui beni mobili components di beni immobili, sulla massima contra non valentem agere non currit praescriptio, e sulla dual paternity) di modo che le risultanze della micro-comparazione possano essere impiegate con profitto ed estrema efficacia per la verifica delle ipotesi sistemologiche.
Si evidenziano così processi ermeneutici del tutto peculiari alla esperienza della Lousiana in cui la libertà discrezionale del giudice, fondata sull’equity, non trova nel dato legislativo il suo confine ma al più la sua frontiera: il giudice basa la soluzione del caso concreto su valutazioni inerenti l’insieme di “regole non scritte della tradizione” che orientano la comprensione del diritto positivo.
Tale diritto non scritto si connota così per le sue caratteristiche atemporali ed universali, rispetto a quale l’atto del legislatore assolverebbe ad una funzione dichiarativo-ricognitiva e dal quale sarebbe integrato in caso di lacune.
La creatività giurisprudenziale, nella perenne ricerca di un equilibrio tra l’istanza di stabilità dell’orientamento giurisprudenziale (di rispetto della tradizione potremmo dire) e quella di adattamento del diritto vigente alle mutevoli esigenze della vita sociale, assume qui le forme e il costrutto della “jurisprudence constante”, ovvero della sequela di sentenze – comunque non insuperabile – conformi a una pronuncia che per la prima volta introduce una determinata regola.
La discrezionalità giudiziale, guidata dall’equity e controllata dal rispetto della giurisprudenza costante, si muove così ben al di là del perimetro (im)posto dalla norma positiva e codificata e attinge a piene mani a materiali normativi e rationes fornite dall’insieme delle diritto non scritto della tradizione: un ordinamento giuridico “aperto” dunque, in cui il diritto privato si comprende nella sua dimensione storica, non essendosi piegato alla rappresentazione di un legislatore onnipotente e monopolista delle fonti del diritto.
Andò ha qui il grande merito di ripensare con raffinato spirito critico un metodo nuovo ed efficace per lo studio degli ordinamenti giuridici c.d. “ibridi”, nella ricerca rigorosa della verità storica e del superamento di comodi stereotipi.