N.W and others v. Sanofi Pasteur (Caso C-621/2015): La Corte di Giustizia, i vaccini ed il valore del dato scientifico nel processo in Europa.

Qual è il rapporto tra la scienza ed il diritto in Europa? Non buono, almeno a giudicare dalla recente sentenza N.W and others v. Sanofi Pasteur (Caso C-621/2015). Il caso riguarda un’azione extracontrattuale intrapresa in Francia dai familiari di N.W.,  il quale aveva contratto la sclerosi multipla due mesi dopo la somministrazione di un vaccino contro l’epatite b.  Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione francese, il breve lasso di tempo intercorso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgere della malattia, unito all’assenza di precedenti casi familiari di sclerosi multipla, costituirebbero indizi sufficientemente “gravi, precisi e concordanti” al fine di presumere un nesso causale tra il medicinale e la morte di N.W. Si tratta di un orientamento chiaramente anti-scientifico, dato che l’insieme delle autorità sanitarie nazionali ed internazionali ha da tempo escluso qualsiasi associazione tra la sclerosi multipla e la vaccinazione per l’epatite b. In dubbio sulla compatibilità tra tale giurisprudenza e la direttiva in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, i giudici francesi hanno chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sul valore del dato scientifico nel libero convincimento del giudice riguardante i casi di vaccini.

Sorprendentemente, tanto l’Avvocato Generale quanto la Corte hanno negato la necessità di provare attraverso dati e studi scientifici la relazione tra la somministrazione di vaccini e malattie genetiche, sostenendo che il mancato consenso della comunità scientifica su tale legame può essere superato attraverso presunzioni semplici. In particolare, la direttiva prevede che spetta al danneggiato l’onere di provare il danno ed il difetto del prodotto difettoso, nonché il nesso causale tra difetto e danno (art. 4). Secondo la Corte, costringere il danneggiato a fondare la sua domanda risarcitoria su dati scientifici renderebbe troppo gravoso l’onere della prova, risultando leso il  principio di effettività, secondo cui la normativa europea deve essere applicata in maniera efficace e dispiegare interamente i suoi effetti a livello nazionale. Inoltre, la Corte non ha deciso di fermarsi ad un’analisi generale dell’onere probatorio ai fini della direttiva, ma ha anche sottolineato che, nel caso di specie, gli indizi allegati dai famigliari di N.W. “sembrano a prima vista costituire indizi la cui compresenza potrebbe, eventualmente, indurre un giudice nazionale a ritenere che un danneggiato abbia assolto l’onere della prova su di lui gravanti ai sensi dell’art. 4 della direttiva 85/374”.

Si tratta di una decisione che, pur trattando questioni di carattere procedurale attinenti all’onere probatorio, ha fortissime ripercussioni sul piano sostanziale. Prima di tutto, la teoria causale proposta dall’Avvocato generale e dalla Corte non appare in linea con i più avanzati studi in materia, secondo i quali per avere un nesso di causalità tra due elementi di fatto occorre che tale correlazione sia provata in maniera scientifica. Mettere sullo stesso piano delle evidenze basate sul metodo scientifico e delle presunzioni semplici fondate su fatti circostanziali vuol dire riportare al centro del processo la “intuizione giudiziale”, un evento che dovrebbe preoccupare chi vede nel diritto una scienza sociale.  Emblematica risulta essere una nota dell’Avvocato generale, in cui lo stesso propone un’analogia tra i vaccini ed  il caso di varie persone che si ammalano dopo una cena al ristorante. Secondo l’Avvocato generale, in mancanza di altra spiegazione plausibile, la responsabilità della malattia dovrebbe essere ricondotta al ristoratore. Ad avviso di chi scrive, l’assenza di altre cause non basta per potersi avere un nesso causale: se accettiamo l’equiparazione del vaccino ad un pasto consumato al ristorante, allora deve essere dimostrata la responsabilità di quel ristoratore e di quel determinato pasto attraverso i più rigorosi criteri scientifici. Pertanto, permettere al danneggiato di invertire l’onore della prova nei confronti del produttore di vaccini semplicemente allegando il breve lasso di tempo trascorso tra somministrazione e l’insorgere della malattia vuol dire condannare il convenuto ad una probatio diabolica: se la comunità scientifica ha escluso l’esistenza di una relazione tra il vaccino contro l’epatite b e la sclerosi multipla,  cosa deve fare di più il produttore per evitare la responsabilità? Dato che tutti i soggetti (dovrebbero) effettuare (almeno) le vaccinazioni obbligatorie per legge, dopo questa sentenza i vaccini rischiano di diventare la “causa di ultima istanza” di ogni malattia di cui non si conoscono ancora perfettamente le cause, quali per esempio la sclerosi multipla.

In secondo luogo, lo scopo della direttiva oggetto della sentenza risiede nella protezione dei consumatori. Questi si proteggono allineando la propria giurisprudenza alle ultime risultanze della comunità scientifica, in modo da evitare che movimenti dichiaramente anti-vaccinisti possano utilizzare i tribunali europei come strumento di lotta politica per affermare la loro “verità”, come già successo in Italia con la c.d. “cura Stamina”, rivelatosi poi una gigantesca frode ai danni dei più deboli, i malati terminali ed i loro familiari. I consumatori hanno bisogno e diritto a vaccinarsi al fine di preservare la propria salute, mentre questa sentenza rappresenta de facto un regalo a coloro che remano nella direzione opposta, per ignoranza o opportunità.

In un momento storico delicato, ove il sapere scientifico si trova sotto attacco ed i governi nazionali sono costretti ad imporre le vaccinazioni per legge al fine di evitare il ritorno di malattie un tempo debellate, il giudice dovrebbe essere chiamato ad un certo livello di judicial self-restraint. La scienza ed il diritto non sono due pilastri mutualmente escludenti, ma possono integrarsi e rinforzarsi vicendevolmente. Purché, beninteso, il giudice non decida di sostituirsi allo scienziato.

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