National and Regional Parliaments in the EU-Legislative Procedure Post-Lisbon
Il libro curato da Anna Jonsson Cornell e Marco Goldoni ha il merito di suggerire una riflessione sul ruolo politico esercitato dai Parlamenti nazionali e dai Parlamenti regionali nel circuito europeo. Attraverso lo scorrere delle pagine, la completezza di analisi si misura inevitabilmente con il tortuoso rapporto che intercorre tra approfondimento del vincolo comunitario e democratizzazione dei processi decisionali europei.
Gli autori segnalano in particolare due eventi che hanno rinnovato l’interesse per il ruolo svolto dalle Camere degli Stati membri dell’Unione europea, in particolare per ciò che concerne la fase ascendente di elaborazione del diritto europeo. Il primo evento è rappresentato dalla crisi finanziaria, poiché le conseguenti scelte economiche sono state operate riconoscendo un ruolo sostanziale soltanto agli organismi tecnocratici e ai Governi nazionali. Pertanto, per effetto della crisi, si è profilata a livello europeo una progressiva emarginazione delle istituzioni rappresentative dei singoli Paesi. Nel merito, sono stati adottati una serie di provvedimenti di risanamento e austerità che hanno ingenerato numerosi malumori tra le assemblee rappresentative nazionali, determinando importanti ricadute sul piano economico e politico. Ma è stata soprattutto la ratifica del Fiscal Compact a sollevare un coro di proteste e a determinare un ventaglio di reazioni da parte delle assemblee parlamentari, in special modo appartenenti ai Paesi dell’area mediterranea. È un paradosso, ma l’Unione entra prepotentemente nella sfera della politica europea, e in parte in quelle nazionali, in virtù della contestazione paneuropea. Il secondo evento è rappresentato invece dalla stipula del Trattato di Lisbona. Tale Trattato ha previsto, almeno formalmente, un rafforzamento dei parlamenti nazionali, anzitutto in sede di controllo circa l’applicazione del principio di sussidiarietà da parte delle istituzioni dell’Unione europea.
Segnatamente, l’attenzione del lavoro di Cornell e Goldoni è stata rivolta all’early warning mechanism, la cui disciplina si rinviene nel Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona. In base a questa procedura le istituzioni europee debbono trasmettere ai Parlamenti nazionali qualsiasi progetto di atto normativo da esse adottato (draft). A loro volta, i Parlamenti sono chiamati a valutare, nel termine di otto settimane, la conformità della proposta di atto legislativo al principio di sussidiarietà. In altre parole, essi hanno l’onere di vagliare il rispetto dell’autonomia sociale e territoriale delle comunità che rappresentano. Se entro otto settimane si pronuncia un numero di Parlamenti tale da raggiungere le soglie previste dal richiamato Protocollo, sussiste l’obbligo di riesame a carico dell’istituzione che ha avanzato la proposta (c.d. yellow card). Quest’ultima potrà decidere di modificare, ritirare o mantenere il progetto. A fronte di un crescente numero di pareri motivati rivolti alla Commissione europea, la prassi registra però un numero ancora esiguo di avvisi che sono stati in grado di soddisfare le soglie richieste. In ogni caso, il meccanismo in parola non comporta un veto interruttivo nei confronti della procedura legislativa. Sicché, ove l’istituzione interessata decida di procedere comunque, spetterà al Consiglio ovvero al Parlamento europeo intervenire, nel rispetto delle maggioranze richieste (c.d. orange card). Il sistema di allarme si articolerà concretamente in base ai meccanismi tipici di ogni sistema costituzionale nazionale, risentendo, per ogni Stato membro, della cultura politica ed istituzionale, dell’approccio all’integrazione europea e del colore politico della maggioranza parlamentare.
A parziale integrazione dell’attuale procedura, Jörgen Hettne sottolinea nel testo come siano state proposte due ulteriori varianti applicative dell’early warning: da un lato, l’introduzione di una green card allo scopo di indurre la Commissione ad apportare modifiche al progetto legislativo e influenzarne quindi il prodotto finale; dall’altro, l’introduzione di una red card al fine di provocare l’arresto definitivo dell’intero processo legislativo.
L’early warning è un meccanismo esclusivamente preordinato alla corretta applicazione del principio di sussidiarietà (principle of subsidiarity). I confini di tale controllo scontano le incertezze definitorie proprie della sussidiarietà. Tant’è vero che, a livello di letteratura europea, non vi è concordia circa la sua esatta definizione. Per alcuni, il principio di sussidiarietà sarebbe espressione di un concetto elastico e flessibile. Per altri, si tratterebbe, all’opposto, di un concetto rigoroso.
Ad ogni modo, si può affermare che nell’odierno contesto europeo questo principio vada inquadrato tra gli strumenti di garanzia dell’unità politica dell’ordinamento sovranazionale. La procedura di allarme preventivo rappresenta un importante contrappeso istituzionale all’espansione surrettizia delle attribuzioni dell’Unione. Ebbene, il sistema di allarme è chiamato a verificare che le azioni di sostegno e coordinamento promesse a livello europeo siano effettivamente ammissibili alla luce della positivizzazione delle materie di competenza concorrente, per le quali è ammesso l’intervento in sussidiarietà. Lo scopo dell’intervento è quello di raggiungere quegli obiettivi unitari che non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale, né a livello regionale. Sicché, le istituzioni europee devono motivare il ricorso alla dimensione sovranazionale dell’azione alla luce dell’insufficienza delle discipline locali (art. 5.3 TUE).
Nonostante la stretta interrelazione tra sussidiarietà e proporzionalità, l’early warning non trova però applicazione con riferimento al principio di proporzionalità (principle of proportionality). Anche quest’ultimo principio regola l’esercizio delle competenze esercitate dall’Unione europea e per certi versi può essere considerato complementare rispetto al principio di sussidiarietà. Ma, mentre uno scrutinio in termini di sussidiarietà sarebbe teso a verificare l’opportunità e quindi la legittimità stessa dell’intervento legislativo, uno scrutinio in termini di proporzionalità tenderebbe a verificare soltanto se i mezzi per portare a termine una certa azione siano concretamente i meno onerosi. Un allarme preventivo attivato verso una proposta legislativa potrebbe invece avere rilievo nei confronti della delimitazione delle competenze attribuite all’Unione. Infatti, le istituzioni, in conformità al principio dell’attribuzione delle competenze (principle of conferral), possono esercitare, per l’appunto, solo quelle competenze che sono state espressamente conferite dai Trattati.
Senonché, queste considerazioni non appaiono condivise dagli attori politici coinvolti nella concreta applicazione dell’early warning e, più in generale, da tutti coloro che si sono cimentati con lo studio di questa procedura. Secondo un approccio più aderente al testo del Trattato, andrebbe privilegiata un’interpretazione stretta di subsidiarity (legal-rule following). Così come sostenuto dalla Commissione europea, il principio di sussidiarietà non andrebbe infatti sovrapposto agli altri principi. Sicché, i Parlamenti nazionali dovrebbero limitarsi ad eccepire questioni che abbiano come unico parametro la sussidiarietà, senza la possibilità di ricorrere ai principi di proporzionalità e di attribuzione delle competenze per avanzare delle censure a livello europeo. In base ad una diversa impostazione (political bargaining), il parametro della sussidiarietà racchiuderebbe viceversa anche gli altri due principi. Conseguentemente, i Parlamenti nazionali potrebbero trovarsi in disaccordo con le istituzioni comunitarie sia sotto il profilo della necessità dell’intervento normativo che sotto il profilo della forma stessa dell’intervento. Tale approccio è generalmente seguito dalle Camere nazionali, le quali tendono ad impiegare la procedura dell’early warning per aumentare il proprio grado di influenza sulle decisioni europee. Infine, si registra un terzo approccio che cerca di coniugare i due metodi testé citati (policy arguing). Secondo questo spunto teorico, i Parlamenti nazionali potrebbero contestare le proposte legislative dell’Unione europea allo scopo di avviare una discussione costruttiva con la Commissione. La suggestione di Ian Cooper, a circa dieci anni dalla sua elaborazione, presenta ancora dei tratti di indiscutibile originalità che meriterebbero ulteriori approfondimenti.
Ad ogni modo, laddove si volesse ridefinire in maniera complessiva la disciplina del controllo sul principio di sussidiarietà, a parere di Jörgen Hettne sarebbe doveroso estendere il suddetto controllo, includendovi i fondamentali principi costituzionali su cui poggia l’intero impianto europeo. In altri termini, i Parlamenti dovrebbero essere posti nelle condizioni di considerare, ad esempio, il principio di proporzionalità ed il rispetto per le identità nazionali, giacché inscindibilmente legati al principio di sussidiarietà. In buona sostanza, dovrebbe essere garantito un confronto dialettico che contempli le tematiche più generali. Purché, tale confronto, si sviluppi entro i ranghi della divisione delle competenze tra Unione e Paesi membri.
Sarebbe più opportuno ricorrere al cosiddetto dialogo politico (political dialogue) nei casi in cui i Parlamenti nazionali intendano invece contestare da un punto di vista non propriamente normativo l’operato dell’Unione europea, per ragioni cioè che travalicano i citati principi. Eppure, così configurato, il sistema dell’early warning sembrerebbe contraddistinto da una forte componente politica. Se si considera, per un verso, la volontà di fare dei Parlamenti nazionali i controllori della sussidiarietà e, per altro verso, il coinvolgimento della Corte di giustizia quale rimedio estremo attivabile da ciascuno Stato membro, la procedura in questione pare debba essere perlopiù intesa alla stregua di un meccanismo politico. D’altronde, Ian Cooper mette in luce come contributi allo studio del sistema di allarme preventivo provengano sia da docenti di scienza politica che di materie giuridiche. Sarebbe però un errore credere che soltanto i giuristi possano misurarsi con lo studio dell’early warning in modo rigoroso, data la ricchezza e la qualità argomentativa dei contributi prodotti sul tema da studiosi “politici”.
In questo quadro gioca sicuramente un ruolo importante la tendenza alla cooperazione che si registra tra i rappresentanti delle diverse istituzioni democratiche dei Paesi membri. Del resto, l’horizontal accountability costituisce un obiettivo sensibile affinché tutti i Paesi membri si sentano coinvolti nelle vicende interne degli altri Paesi. È indubbio che siamo ancora lontani da quelle sfere pubbliche comunicanti di cui ha parlato Habermas parecchi anni fa. Tuttavia, attraverso meeting e conferenze i Parlamenti nazionali vanno intensificando a livello informale lo scambio di contatti, informazioni e best practices. La novità della interazione può certamente incidere sul policy making europeo e sull’assolvimento di compiti che nessuno Stato è in grado di affrontare da solo. Tuttavia, a Bruxelles, la rilevanza delle azioni dei singoli Parlamenti è ancora piuttosto limitata. Pertanto, a giudizio di Bruno Dias Pinheiro, questo tipo di cooperazione necessiterebbe di una più efficace organizzazione per meglio definire, tra le altre cose, le iniziative da intraprendere nell’ottica di un esercizio coordinato circa il controllo sul principio di sussidiarietà. Da questo punto di vista, l’introduzione di uno strumento quale la green card permetterebbe, peraltro, ai Parlamenti nazionali di individuare una strategia comune per emendare le leggi in discussione, stabilirne l’ordine di importanza e finanche proporne delle nuove.
Il discorso relativo all’early warning system appena indicato è del tutto analogo ove si prendano in considerazione i Parlamenti regionali. Essi stanno dimostrando una crescente volontà ad essere integrati nei processi decisionali europei. Infatti, sempre più di frequente, denotano una propensione ad acquisire esperienza nel policy making europeo, manifestando un maggiore impegno nel conoscere più da vicino gli sviluppi delle leggi europee.
All’interno del medesimo Paese, così come nelle relazioni tra Paesi differenti, si annota però una problematica povertà di dialogo tra i Parlamenti regionali. Fatta eccezione per alcuni Stati dove si individuano i prodromi di una qualche forma di stabile interazione, i Parlamenti regionali dovrebbero potenziare la cooperazione orizzontale, facendo ricorso, in primo luogo, ad un dialogo politico possibilmente esteso.
Per quanto riguarda la cooperazione verticale, la Spagna rappresenta uno dei Paesi in cui i Parlamenti regionali cooperano maggiormente con le istituzioni europee. Lo stesso non può dirsi per la Germania, dove si è registrata una tendenza al consolidamento del legame federale che ha nei fatti inibito la costruzione di reti più fitte tra i Parlamenti dei Land. Invece, per quanto riguarda l’Italia, il problema è perlopiù storico-politico, in quanto i Consigli regionali hanno sempre faticato ad assumere una posizione politica di spessore.
Bisogna prendere atto, però, che i Parlamenti regionali sono oggi avvertiti dall’opinione pubblica europea come le istituzioni più vicine alle proprie esigenze. La maggior parte dei cittadini europei riserva molta più fiducia nei Parlamenti regionali che nel Parlamento europeo. Sicché, la loro scarsa partecipazione a livello decisionale potrebbe costituire un ulteriore ostacolo nel processo di europeizzazione politica. Tra le proposte avanzate per consentire una partecipazione più intensa dei Parlamenti regionali all’iter legislativo europeo, si rinviene il riconoscimento formale di un potere di produrre osservazioni e pareri alla Commissione europea. Tuttavia, una proposta del genere sconterebbe il limite di una Commissione europea oberata di lavoro, che già oggi fatica a rispondere alla mole di pareri che le sono trasmessi.
Quantunque non sia ancora possibile una valutazione definitiva sulla performance e sulla natura dell’early warning mechanism, promuovere i Parlamenti nazionali a “guardiani” del principio di sussidiarietà, “the watchdogs of subsidiarity”, secondo la nota espressione di Ian Cooper, è sembrata comunque una mossa vincente ove si intenda rafforzare la legittimazione democratica dell’Unione europea. Da un lato, le credenziali democratiche di cui godono i Parlamenti nazionali e regionali, dall’altro, l’interesse di questi ultimi ad evitare un’ulteriore perdita di potere nella costruzione dell’Europa unita, potrebbero far emergere una multipolarità politica più robusta. In ogni caso, resta ancora molto lavoro da fare per disegnare il quadro democratico di cui l’Europa ha bisogno.