I limiti del legal privilege di nuovo in discussione presso la Corte di giustizia
La Corte di giustizia in passato si è più volte pronunciata sul c.d. legal privilege, ovvero sulla tutela del segreto professionale dell’avvocato, principio giuridico generale avente il rango di diritto fondamentale. In particolare, sono state enucleate le condizioni in virtù delle quali le comunicazioni tra impresa e avvocati sono coperte da segreto ed è stato sancito che la corrispondenza deve essere scambiata nell’ambito e nell’interesse dei diritti della difesa del cliente e deve provenire da avvocati indipendenti.
Attualmente i confini del legal privilege sono di nuovo in discussione nell’ambito del procedimento Akzo Nobel Chemicals Ltd e altri c. Commissione, causa C- 550/07 P, in cui ci si chiede se la tutela delle comunicazioni tra l’avvocato e i suoi clienti si estenda, o debba essere estesa, anche allo scambio di opinioni e informazioni tra i vertici di una società e l’avvocato dell’ufficio legale interno, il quale si trova con essa in rapporto di lavoro subordinato. All’origine del caso vi è un’ispezione che la Commissione, in veste di autorità antitrust, aveva effettuato nel febbraio 2003 presso i locali della Akzo Nobel Chemicals Ltd e della Akros. I funzionari della Commissione avevano sequestrato fotocopie e documenti che le ricorrenti consideravano invece intoccabili perché protetti dal legal privilege. La Commissione aveva, infine, imposto l’accertamento e l’acquisizione al fascicolo di tali documenti mediante due decisioni. Le due ricorrenti impugnavano quindi tali provvedimenti presso il Tribunale, ma senza risultato. La controversia giungeva, infine, alla Corte di giustizia, presso la quale veniva contestata, in particolare, l’acquisizione della stampa di alcuni messaggi e-mail tra il direttore generale e un dipendente dell’ufficio legale. Il 29 aprile 2010 l’avvocato generale Kokott ha reso le proprie conclusioni, dalle quali emergono i punti salienti della questione. Risulta centrale la corretta interpretazione della nozione di “indipendenza”: le ricorrenti sostengono che anche un avvocato di impresa deve essere ritenuto indipendente, in quanto iscritto all’albo e protetto da una serie di garanzie, quali ad esempio, la possibilità di contestare le decisioni del management. Secondo l’Avvocato generale, tuttavia, nella giurisprudenza della Corte il requisito dell’indipendenza è inequivocabilmente collegato al fatto che l’avvocato non sia vincolato da un rapporto di impiego con il suo cliente. Al punto 60 si dice che “[…] il concetto di indipendenza dell’avvocato viene determinato non solo in positivo, mediante un riferimento ai vincoli deontologici, bensì anche in negativo, mediante la sottolineatura della mancanza di un rapporto di impiego. Solo se un giurista è soggetto, quale avvocato, ai consueti vincoli deontologici previsti nell’Unione europea e inoltre non ha un rapporto di impiego con il suo cliente, le sue comunicazioni tra di loro sono protette, in base al diritto dell’Unione, dal segreto professionale dell’avvocato”. L’avvocato di impresa è, invece, strutturalmente, gerarchicamente e funzionalmente dipendente dal suo datore di lavoro, con il quale sussiste anche un vincolo di dipendenza economica. Le società ricorrenti in subordine fanno valere che, anche ove il concetto di indipendenza debba essere interpretato nel senso di essere pertinente solo agli avvocati esterni, sarebbe tuttavia necessaria l’estensione del legal privilege anche ai giuristi d’impresa in relazione agli sviluppi del panorama giuridico in materia di antitrust nonché dello status stesso del giurista d’impresa negli ordinamenti nazionali, poiché la posizione di quest’ultimo sarebbe generalmente parificata a quella degli avvocati indipendenti. L’avvocato generale Kokott rileva, tuttavia, che la Corte, nello statuire sulla sussistenza di un principio giuridico generale facendo riferimento agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, si basa sulle tradizioni costituzionali comuni oppure sui principi comuni degli Stati. Non si tratta di scegliere l’opzione maggioritaria, ma di effettuare una “valutazione comparativa degli ordinamenti giuridici, in cui si tenga adeguatamente conto anche delle finalità e dei compiti dell’Unione europea nonché della particolare natura dell’integrazione europea e del diritto dell’Unione” (punto 94). L’avvocato generale ritiene però che la parificazione dei giuristi di impresa agli avvocati esterni al fine dell’applicazione del legal privilege non sia un principio riscontrabile nella maggioranza degli Stati membri, né necessario in ragione dei tratti specifici dell’Unione europea.
L’opinione di Kokott è dunque decisamente negativa rispetto all’estensione del legal privilege agli avvocati di impresa, in linea con la precedente giurisprudenza della Corte. Un eventuale overruling dovrà provenire dunque dalla sola Corte di giustizia: viste le argomentazioni dell’avvocato generale e l’impatto che una tale estensione avrebbe sulle procedure antitrust e sulle indagini della Commissione, tale svolta appare comunque improbabile.