Chi non risica non rosica… Il caso Gowan e il bilanciamento degli interessi nella regolazione del rischio in Europa tra garanzie procedimentali e discrezionalità
Con la sentenza Gowan (CGUE 22 dicembre 2010, C-77/09) la Corte di giustizia torna ad affrontare la questione del bilanciamento tra libertà antagoniste nel sistema della regolazione del rischio legato alla commercializzazione di prodotti fitosanitari.
Nell’esame della domanda di rinvio pregiudiziale proposta dal TAR Lazio relativa alla legittimità delle restrizioni all’uso del pesticida fenarimol individuate nella direttiva 2006/134, emerge la centralità della nozione di rischio accettabile per la società nella disciplina della regolazione e si manifestano con chiarezza le difficoltà nel definire la soglia di tollerabilità del rischio.
Nella pratica della regolazione si tratta, pertanto, di individuare quali valutazioni sul rischio (nella fase cd. di risk assessment) contribuiscano a statuire il livello di sicurezza, al di sopra del quale un rischio più considerarsi neutralizzato o, quantomeno, adeguatamente mitigato. Dal momento che l’analisi scientifica non è di per se stessa in grado di fornire risposte definitive (nel caso di specie, circa i possibili effetti nocivi del fenarimol sul sistema endocrino), le scelte regolatorie devono essere effettuate tenendo anche conto di altri valori significativi per l’ordinamento.
Da questo punto di vista, il caso Gowan ben evidenzia come l’attività di regolazione dei rischi, pur dovendo trovare il proprio fondamento nelle risultanze scientifiche della fase di risk assessment, debba rispondere ad esigenze ulteriori, connesse alla realizzazione di distinti interessi contemplati nel modello sociale di riferimento.
Il concetto di rischio accettabile, pertanto, è il frutto della ricerca di una sintesi tra beni della vita che l’ordinamento giuridico (in senso romaniano) intende tutelare e la regolazione del rischio rappresenta, pertanto, uno strumento per garantire determinati beni pubblici (come l’ambiente e la salute) in un contesto di mercato.
L’iscrizione del fenarimol nell’elenco delle sostanze autorizzate solo per alcuni specifici usi e per un periodo estremamente limitato (per 18 mesi) rispetto alle indicazioni maturate in sede procedimentale (prima 10 e poi 7 anni) è, quindi, l’esito del bilanciamento effettuato dalle competenti istituzioni dell’Unione europea tra le risultanze dell’analisi del rischio e il perseguimento di un elevato livello di protezione della salute e dell’ambiente nell’attuazione delle politiche dell’Unione (ai sensi dell’art. 191, par. 2, TFUE).
Di conseguenza, i fatti (ovvero i dati scientifici) e il diritto si intrecciano, con significative conseguenze in termini di tutela delle diverse posizioni giuridiche soggettive in gioco. La decisione di limitare il commercio di sostanze pericolose mira a tutelare l’interesse pubblico alla salute (da cui, peraltro, deriva l’introduzione di un sistema di autorizzazione all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari), limitando necessariamente la libertà di iniziativa economica: autorità e libertà devono, quindi, essere attentamente soppesate, in modo da rendere compatibile la garanzia dei diritti individuali con la tutela degli interessi collettivi.
A tal fine, il giusto procedimento costituisce il metodo giuridico più adeguato per effettuare dette valutazioni e giungere, quindi, ad un corretto bilanciamento tra esigenze contrapposte, dal momento che fonda la correttezza della decisione sul fatto che quest’ultima si formi nel contraddittorio tra le parti. In altre parole, limitando la discrezionalità dell’amministrazione procedente nel definire le modalità di compatibilità tra gli interessi in gioco, garantisce la legittimità della regolazione del rischio in assenza di certezze scientifiche.
La consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia riconosce nel giusto procedimento il cardine del sistema della regolazione europea (a partire dalla sentenza CGUE 23 ottobre 1974, Transocean Marine Paint Association, C-17/74, in Racc. 1974, p. 1063) ed anche nel caso in esame, il sindacato giurisdizionale si appunta sul rispetto da parte delle istituzioni UE di quei principi generali che contribuiscono a delineare la correttezza del procedimento seguito per mitigare il rischio.
Tuttavia, l’analisi delle questioni sollevate evidenzia la “debolezza” del controllo giurisdizionale sulla correttezza intrinseca del procedimento regolatorio, che deriva dal riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo alle istituzioni dell’UE, finalizzato all’adozione delle migliori policies per perseguire gli obiettivi dell’integrazione (punti 55-56, 86 della sentenza). Di conseguenza, i diritti antagonisti all’interesse pubblico tutelato nella regolazione sovranazionale ricevono una protezione di natura formale, relativa al rispetto delle garanzie estrinseche del procedimento regolatorio.
Più precisamente, la Corte di giustizia afferma che la decisione sul fenarimol non viola il principio della certezza del diritto, poiché la valutazione degli effetti sul sistema endocrino, sebbene non costituisca un autonomo criterio per la definizione della pericolosità della sostanza, si può ritenere ricompresa nell’esame degli effetti nocivi sulla salute umana (punto 51 della sentenza). Inoltre, la stessa decisione non si dimostra affetta da un errore manifesto di valutazione, in quanto le istituzioni europee competenti hanno «esaminato, in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie sui quali si fondano le conclusioni che ne vengono tratte» (punto 57 della sentenza), pur conservando «il diritto di adottare misure di gestione dei rischi diverse da quelle proposte dallo Stato membro relatore» sulla base delle risultanze dell’analisi scientifica (punto 60 della sentenza). L’applicazione del principio di precauzione, poi, si è basata su studi concernenti la tossicità del fenarimol per il sistema endocrino che hanno fatto ritenere che tale pericolo, seppur incerto, non fosse meramente ipotetico e dovesse, pertanto, essere precauzionalmente arginato per contenere i suoi possibili effetti negativi sulla salute umana (punto 78 della sentenza). Contestualmente, l’attività di regolazione supera l’esame di proporzionalità sotto i profili dell’idoneità e della necessarietà della decisione (punti 83 e 84 della sentenza), tuttavia la Corte non indaga il problema dell’adeguatezza della misura (ovvero, il profilo della proporzionalità in senso stretto rispetto al pregiudizio sofferto dalla Gowan), dato il forte contenuto discrezionale della scelta (punto 86 della sentenza).
Su tali basi, è stato osservato (A. Alemanno, The Gowan judgment: celebrating the EU risk regulation paradigm for decision-making) che nel caso Gowan la Corte celebra il paradigma europeo della regolazione del rischio fondato sulla precauzione, ma non onora il principio del giusto procedimento e della certezza del diritto nei confronti degli operatori economici.
Ciò trova conferma nel fatto che il limite principale alla garanzia dell’effettività della tutela dei diritti individuali viene ad individuarsi nella deference della Corte di giustizia nei confronti delle decisioni discrezionali delle istituzioni dell’UE, ovvero nel riconoscimento e nella volontà giurisdizionale di non invadere la distinta sfera di autorità di queste ultime. Occorre, tuttavia, domandarsi fino a che punto per garantire l’equilibrio tra poteri pubblici l’assestamento del sindacato giurisdizionale su di un controllo di tipo estrinseco possa essere compatibile con la ricerca di effettività nella tutela dei diritti.
In particolare, è la garanzia della certezza dei diritti (e del diritto all’iniziativa economica in particolare) a rischiare di essere messa in discussione nell’attività di disciplina dei fatti incerti. Infatti, nell’analisi di proporzionalità la tutela del diritto individuale incontra significative limitazioni di fronte all’esercizio del potere discrezionale. Inoltre, nell’applicazione del principio di precauzione l’onere della prova dell’accettabilità del rischio ricade principalmente sui soggetti che intendano introdurre un rischio nell’ordinamento per poter esercitare il diritto (fondamentale) di impresa, con effetti potenzialmente paralizzanti sullo sviluppo tecnologico, come ha messo in evidenza da C.R. Sunstein (Irreversible and Catastrophic, in Cornell Law Review, 2005-2006, pp. 849-853; Irreversibile and Catastrophic: Global Warming, Terrorism, and Other Problems, in Pace Environmental Law Review, 2005-2006, p. 6).
Se, quindi, la definizione della soglia della tollerabilità del rischio è rimessa all’esercizio della discrezionalità del regolatore (seppur esercitata secondo i principi e le regole del giusto procedimento), urge la garanzia di una tutela rimediale sostanziale per coloro che si ritengano lesi dal livello a cui tale soglia è stata fissata, che si esprima in primis nel rafforzamento del controllo giurisdizionale sugli atti delle istituzioni dell’UE.
Inoltre, in una prospettiva evolutiva del diritto dell’UE, si potrebbe immaginare l’introduzione di sistemi risarcitori di tutela contro gli atti leciti delle istituzioni europee, ma si tratta al momento di una opzione del tutto ipotetica e decisamente impraticabile allo stato attuale della giurisprudenza (come dimostra, seppur per altre vicende, il caso CGUE 9 settembre 2008, FIAMM e FIAMM Technologies e Fedon & Figli s.p.a. c. Consiglio e Commissione, C-120/06 P e C-121/06 P, in Racc. 2008, p. I-6513, punti 168-179. Si osservi però che l’AG Maduro nelle sue conclusioni su quest’ultimo caso ha ammesso l’opportunità di introdurre una forma di responsabilità senza colpa non soltanto per garantire la tutela delle posizioni soggettive individuali, ma anche per sviluppare la valutazione dei costi della regolazione).