Aiuti di stato: la Corte di giustizia affossa la commissione sull’applicazione presuntiva dell’art.107, TFUE
Nel caso in commento (CGUE, 2 settembre 2010, C‑399/08 P) la Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunciarsi sullo spinoso tema degli aiuti di Stato, ribadendo la sua giurisprudenza consolidata sull’applicazione dell’art. 87, TCE – ora art. 107, TFUE – e soprattutto limitando fortemente la possibilità per la Commissione di avvalersi di prove presuntive che prescindono da una esatta verifica dei presupposti della norma.
I fatti fanno riferimento alla travagliata vicenda della amministrazione postale tedesca a cavallo fra gli anni ’90 e 2000. In virtù del Postverfassungsgesetz del 1989, Deutsche Bundespost era stata divisa in tre entità giuridiche indipendenti, vale a dire Deutsche Bundespost Postdienst, Deutsche Bundespost Telekom e Deutsche Bundespost Postbank. Successivamente, nel 1995, questi tre enti vengoo trasformati in società per azioni, assumendo rispettivamente le denominazioni di Deutsche Post AG (di seguito «DP AG»), Deutsche Telekom AG e Deutsche Postbank AG.
Tuttavia, nonostante la complessiva riorganizzazione, DB‑Postdienst (e poi DP AG) restava comunque obbligata a fornire alcune «prestazioni obbligatorie» su tutto il territorio nazionale, applicando una tariffa unica (art. 1, n. 1, della Postdienst Pflichtleistungsverordnung del 1994); inoltre, a garanzia di ciò, si era previsto (art. 37, n. 3, del PostVerfG) un regime di compensazione finanziaria eventuale tra queste tre entità giuridiche, nell’ipotesi in cui una di esse non fosse stata in grado di coprire autonomamente le spese a ciò necessarie.
Qaundo, nel 1998, DP AG acquista Deutsche Postbank AG dallo Repubblica federale di Germania (principale azionista), compensando il prezzo di acquisto con un presunto credito di DP AG nei confronti dello Stato, l’anno seguente, due società concorrenti, United Parcel Service (di seguito «UPS») e Bundesverband Internationaler Express und Kurierdienste e.V. (di seguito «BIEK»), portano all’attenzione della Commissione i loro dubbi circa l’effettiva esistenza di tali crediti, dal momento che questi non figuravano nel bilancio di DP AG.
Nel 1999 la Commissione avvia dunque un procedimento istruttorio ex art. 88, comma 2, del Trattato CE, in merito alle varie misure statali adottate a favore di Deutsche Bundespost Postdienst prima e di Deutsche Post AG poi. Viene infatti motivato nella decisione di avvio che «un’acquisizione avvenuta mediante compensazione del prezzo di acquisto con un credito non esistente o con un credito sulla cui esistenza sussistono perlomeno dei dubbi rappresenta un’elargizione assimilabile ad un aiuto di Stato». Trovando riscontro a questa ipotesi, all’esito del procedimento, nel 2002, la Commissione adotta pertanto la decisione (dec. 2002/753/CE), che sarà poi impugnata. Con questa si accerta che l’importo dei trasferimenti effettuati, ai sensi dell’art. 37, n. 3, del PostVerfG, da DB Telekom e da Deutsche Telekom AG in favore di DB Postdienst e di Deutsche Post AG, come compensazione per la fornitura dei «servizi di interesse economico generale» (di seguito «sieg»), è stato superiore a quello effettivamente necessario per compensare tali spese di fornitura. La Commissione ha ritenuto infatti di poter dedurre tale conclusione dal fatto che senza una sovracompensazione non sarebbe stato possibile coprire le perdite di DP AG, nel segmento di mercato della consegna dei pacchi per la vendita per corrispondenza (detto «porta a porta»), sottoposto a regime di concorrenza e perciò escluso dal regime speciale previsto dal PostVerfG. Nell’ambito di un procedimento parallelo per la violazione dell’art. 82, TCE, la Commissione aveva infatti già accertato (dec. 2001/354/CE) che DP AG aveva offerto ai propri clienti servizi di inoltro pacchi per la vendita per corrispondenza a prezzi inferiori ai costi incrementali specifici della prestazione (ovvero «sottocosto»).
La Commissione ha pertanto così ritenuto di poter considerare provata la sovracompensazione e conseguentemente ha ordinato alla Repubblica federale di Germania di adottare le misure necessarie per recuperare l’aiuto di Stato presso Deutsche Post AG.
La decisione è stata poi annullata dal Tribunale di Primo Grado sulla base di un ricorso ex art. 230, TCE (sent. 1° luglio 2008, causa T‑266/02, Deutsche Post/Commissione, in Racc. p. II‑1233). Tale pronunciamento è stato poi ulteriormente impugnato presso la Corte di Giustizia dalla Commissione, in via principale, mentre UPS e da BIEK, già intervenienti in primo grado, hanno poi promosso impugnazione incidentale.
Nel ricorso sono stati sollevati due motivi di censura alla sentenza. Con il primo si lamentava la violazione degli artt. 87, 1° comma, e 86, 2° comma, TCE, contestando il diverso criterio di valutazione della condotta adottato dal Tribunale, criterio che appunto aveva portato ad escludere la riconducibilità della condotta alla fattispecie di «aiuto di stato illecito». Con il secondo si lamentava invece la violazione dei limiti sulla competenza del Tribunale, previsti dall’art. 230 TCE, (ora 263, TFUE): il Tribunale veniva infatti accusato di aver sostituito un proprio metodo per il calcolo dei costi aggiuntivi connessi con la fornitura dei «servizi di interesse generale» a quello impiegato dalla Commissione e di aver con ciò ecceduto i propri poteri.
Per quanto concerne il primo motivo, la Corte di Giustizia ha anzitutto ribadito che perché una condotta sia qualificata «aiuto di Stato illecito» si richiede l’esistenza di tutti i presupposti contenuti nell’art. 87, 1° comma, TCE (cfr., in particolare, CGCE, sent. 17 luglio 2008, causa C-206/06 Essent Netwerk Noord e altri, in Racc. p. I-5497, punto 63). Pertanto devono essere verificate le seguenti condizioni: i) deve trattarsi di un intervento diretto dello Stato, ovvero comunque effettuato mediante l’impiego di risorse statali; ii) che tale intervento sia idoneo ad incidere sugli scambi tra Stati membri; iii) deve conferire un vantaggio al destinatario; iv) deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (cfr., in particolare, CGCE, sent. 23 marzo 2006, causa C-237/04, Enirisorse, in Racc. p. I-2843 e CGCE, sent. 30 marzo 2006, causa C-451/03 Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, in Racc. p. I.2941, punto 56).
Specificamente riguardo alla terza di queste condizioni ed al caso in oggetto, la Corte ha poi sottolineato che – come censurato già dal Tribunale – sulla Commissione sarebbe ricaduto l’onere di verificare se il sistema di finanziamento dei «sieg» fosse effettivamente foriero di un vantaggio concorrenziale per DP AG e che, in particolare, non si sarebbe potuto semplicemente presumere a fortiori l’inferenza tra vendita sottocosto e finanziamento pubblico. Pur non essendo infatti contestato l’ammontare delle perdite a medio e a lungo termine nel settore dei servizi di trasporto pacchi a domicilio, nonché quello relativo all’assenza di risorse proprie, non poteva da ciò essere desunto che la politica predatoria, in mancanza di altre fonti di finanziamento note, fosse finanziata attraverso delle sovracompensazioni. Insomma, la Commissione non può limitarsi ad affermare, come invece ha fatto: «il denaro deve pur provenire da qualche parte, almeno a medio o lungo termine; non spunta semplicemente dal nulla» (v. par. 33 della sentenza). Al contrario, chiamata ad esaminare la validità di un sistema di finanziamento di un «sieg» sotto il profilo dell’art. 87, 1° comma, TCE, la Commissione sarebbe stata tenuta comunque a verificare specificamente – da un lato – se l’importo complessivo dei trasferimenti operati da DB‑Telekom avesse ecceduto il totale dei costi aggiuntivi non contestati sostenuti da DP AG e – dall’altro – se quest’ultima non avesse registrato altri costi aggiuntivi netti, connessi allo svolgimento di un «sieg» e per i quali avesse potuto legittimamente pretendere una compensazione (riguardo alle condizioni che la compensazione per un «sieg» deve rispettare, cfr. sent. Altmark Trans e Regierungspräsidium Magdeburg).
Pertanto, sulla base di tali considerazioni, la Corte ha confermato la censura mossa dal Tribunale alla decisione della Commissione, respingendo l’impugnazione.
Riguardo al secondo motivo di impugnazione, la Corte ha ribadito che l’oggetto del ricorso di annullamento, secondo l’art. 230, TCE, è il controllo della legittimità degli atti adottati dalle istituzioni comunitarie ivi elencate e che pertanto l’analisi dei motivi sollevati nell’ambito di un tale ricorso non ha dunque né per oggetto né per effetto quello di sostituire un’istruzione completa della causa nell’ambito di un procedimento amministrativo (cfr., in tal senso, sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, causa C‑205/00 P, causa C‑211/00 P, causa C‑213/00 P, causa C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, in Racc. p. I‑123, punto 103). Tuttavia ha altresì affermato che il Tribunale nella sentenza oggetto di revisione si è limitato ad analizzare il metod
o utilizzato dalla Commissione nella decisione sotto il profilo dell’art. 87, 1° comma, TCE, al fine specifico di verificare se i trasferimenti di cui DP AG ha beneficiato da parte di DB‑Telekom avessero potuto costituire un vantaggio ai sensi di detta disposizione e della pertinente giurisprudenza.
Conseguentemente la Corte, motivando che il Tribunale non ha sostituito il proprio metodo a quello della Commissione, eccedendo così rispetto ai propri poteri, ma che il suo esame si è invece solamente limitato ad un controllo giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento, ha respinto anche il secondo motivo di impugnazione.
Se da un lato dunque quello degli aiuti di Stato è un ambito sicuramente molto sensibile ai condizionamenti politici, pare in questo caso doversi condividere pienamente il giudizio della Corte, sostanzialmente ineccepibile in punto di diritto. D’altra parte la sentenza sembra comunque manifestare chiaramente anche la volontà dei giudici del Lussemburgo di richiamare la Commissione ad una prassi istruttoria più prudente ed allo stesso tempo puntuale.