Marta Simoncini, La regolazione del rischio e il sistema degli standard. Elementi per una teoria dell’azione amministrativa attraverso i casi del terrorismo e dell’ambiente, Editoriale Scientifica, Napoli, 2010
Negli ultimi anni la prospettiva della regolamentazione del rischio ha cominciato a trovare spazio anche in Europa, dopo avere fatto proseliti negli Stati Uniti a partire dagli anni settanta.
Gli studi giuridici non hanno rappresentato un’eccezione a questo trend, come testimonia anche la recente nascita di una rivista come lo European Journal of Risk Regulation.
Il libro di Marta Simoncini può essere ascritto a questa nuova tendenza. L’Autrice ricostruisce nella prospettiva del rischio la regolamentazione di due specifici settori- l’ambiente e la sicurezza antiterrorismo- indagando le soluzioni offerte da alcuni ordinamenti giuridici in materia di gestione amministrativa dei rischi catastrofici.
Il diritto pubblico “classico” non conosce la nozione di “rischio” ma quella di “emergenza”, nozione problematica, specie se applicata all’ambito della legislazione antiterrorismo.
L’introduzione di una regolazione dell’emergenza per gestire situazioni fattualmente di rischio si dimostra non soltanto più restrittiva delle libertà individuali ma anche meno efficace. Proprio partendo da queste premesse Marta Simoncini auspica una maggior aderenza della regolamentazione alle condizioni di fatto, sostenendo un “cambiamento di paradigma” con il passaggio dalla prospettiva dell’emergenza a quella della risk regulation. La tesi centrale del volume è quella per cui sottoponendo la regolazione amministrativa al linguaggio del rischio (e sottraendola, quindi, a quello dell’emergenza) si riesca a meglio disciplinare le modalità di esercizio delle funzioni amministrative.
Ovviamente, anche l’applicazione della prospettiva del “rischio” non è esente da inconvenienti e proprio per questo i teorici del rischio fondano la gestione del rischio (risk management) sulla previa valutazione scientifica dei fatti (o meglio, dei rischi) (risk assessment), per capire quale rischio “meriti” effettivamente di essere regolato, onde evitare di incorrere in un eccesso di regulation che finirebbe per ridurre la tutela, anziché ampliare le garanzie di protezione. Da questo punto di vista, la regolazione deve fondarsi sul concetto di “rischio ritenuto accettabile dalla società”, fissando la soglia del rischio tollerabile nella predisposizione di un sistema di standard di tutela contro eventi di portata catastrofica.
Ecco perché l’amministrazione del rischio rappresenta una via mediana, auspicabile non sempre e ad ogni modo complementare agli approcci classici seguiti dall’amministrazione: “Per seguire una metafora cromatica, se l’emergenza rappresentasse la luce rossa di un semaforo ed il verde costituisse l’ordinarietà dei rapporti amministrativi, il colore giallo sarebbe senza dubbio da attribuire al sistema dell’amministrazione del rischio, essendo suscettibile – alternativamente – di annunciare il verde, ovvero il ritorno alla normalità, o di far scattare il rosso, cioè l’intensificazione delle misure amministrative in funzione del superamento di una crisi dell’ordinamento. Ciò che cambia sono i vincoli cui l’amministrazione deve sottostare per adottare legittimamente la propria decisione…” (p. 91).
“L’attività amministrativa di risk management, infatti, sembra configurarsi come un modello mediano tra quelli (opposti) dell’ordinarietà e dell’emergenza. Più precisamente, con la gestione ordinaria degli affari amministrativi ha in comune le modalità di esercizio del potere, che derivano dall’assenza di situazioni di fatto eccezionali, mentre con quella straordinaria alcuni principi di merito, ovvero la valutazione di elementi anomali nocivi ai rapporti giuridici” (p. 91).
Il lavoro si divide in sei capitoli (a cui si aggiungono le conclusioni e l’introduzione). Il primo si sofferma sulla progressiva estensione della nozione di emergenza (e del riconoscimento dei poteri concessi alla pubblica amministrazione nel fronteggiare situazioni di emergenza) di fronte a situazioni di crisi.
Il secondo capitolo introduce il concetto di “rischio”, concependone la regolazione come “metodologia” alternativa al ricorso agli strumenti emergenziali.
Il terzo capitolo passa poi ad analizzare la regolazione per mezzo di standard- definiti come “strumenti preposti alla soddisfazione di obiettivi della regolazione”- che “rappresentano il livello di tutela che un determinato ordinamento intende darsi rispetto ad uno specifico rischio, esprimendosi nella qualificazione, sia quantitativa che qualitativa, del rischio tollerabile” (p. 113). Il capitolo è incentrato sulla modalità di formulazione degli standard stessi: tale processo è il prodotto di un costante dialogo tra scienza e diritto, dialogo volto a “dominare” l’incertezza delle situazioni regolative, nelle parole dell’Autrice: “La regolazione del rischio è frutto di un incessante dialogo tra scienze e diritto in relazione ai pericoli che si presentano alla collettività. Più precisamente, le decisioni pubbliche sul se e come mitigare i rischi rappresentano il risultato di valutazioni giuridiche su studi e fatti estranei al diritto” (p. 95).
Se per tali ragioni metodologiche il capitolo III ha un taglio sicuramente interdisciplinare, il quarto capitolo, invece, torna ad un argomento “classico” del diritto amministrativo: il procedimento come “veicolo” procedurale finalizzato alla determinazione del contenuto prescrittivo della regolazione. Nella stessa ottica, il quinto capitolo analizza gli strumenti attuativi degli standard: la prospettiva è quella del rapporto fra diritto pubblico e privato, ovvero tra il modello del command and control ed il ricorso al mercato.
Nel capitolo VI, l’Autrice si concentra sul momento “giurisdizionale”, della “tutela” dei diritti rispetto alla regolazione tramite standard, cercando di studiare il ruolo che il giudice può avere nella risoluzione di conflitti ad alto tasso di tecnicità: che ruolo per il giudice- e diremmo anche per il giurista- di fronte alla tecnologia? Fino a che punto il giudice può sindacare la ricostruzione scientifica degli standard?
Diritto e scienza vengono concepite come “forze” dotate di competenza autonoma ma che possono operare “in staffetta”, spettando apparentemente all’analisi scientifica di dare il là alla valutazione giuridica: “In particolare, ai fini dell’indagine scientifica del rischio rileva, in primo luogo, l’identificazione dello stesso e, quindi, la sua stima; entrambe queste fasi non sono esenti da giudizi di valore epistemici e pragmatici che gli scienziati si trovano a dover formulare proprio per poter condurre l’analisi scientifica” (pp. 110-111).
Il volume è caratterizzato da una notevole fiducia nei meccanismi procedimentali: come tutte le ricostruzioni che enfatizzano il ruolo del procedimento come luogo neutrale (perché appunto procedimentale) di composizione dei conflitti o di predisposizione di garanzie, questa ricostruzione si scontra con note obiezioni che contestano la reale neutralità dei principi procedurali. Si tratta di un punto cruciale che, del resto, divide ancora oggi amministrativisti e costituzionalisti, si pensi anche ai dibattiti sul c.d. “diritto globale”, dove pluralismo, pluralismo costituzionale e costituzionalismo tout court, ancora oggi, si dividono sulle strategie da adottare nella strada dell’integrazione postnazionale.
È curioso segnalare come proprio gli studiosi dell’amministrazione siano cosi sensibili alle dinamiche reticolari (si veda anche il volume di Frediani, recensito in questo blog , e gli scritti di Arena), mentre (certi) costituzionalisti appaiano legati all’idea di gerarchia (si vedano le critiche- a loro volta criticabili- di Nico Krisch nel suo “Beyond Constitutionalism: The Pluralist Structure of Postnational Law”, OUP, 2010).
Come si è cercato di evidenziare, il volume di Marta Simoncini presenta notevolissimi spunti che vanno al di là di quelli che sono gli specifici casi selezionati nella monografia, risultando di straordinario fascino anche per i costituzionalisti e comparatisti (si vedano le pagine sugli ordinamenti inglese, americano ed europeo).
Il risultato è un volume piacevole da leggere che, partendo dagli studi classici del diritto pubblico come diritto del rapporto fra libertà e potere (si vedano gli scritti di Giannini richiamati), mira ad evidenziare i benefici apportati delle nuove tendenze emergenti all’estero: una chimica “rischiosa” (!) ma sicuramente ben riuscita.