L’istituto della mediazione nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo

Come descritto in un precedente post su questo blog, l’istituto della mediazione recentemente introdotto dalla legislazione italiana è stato recentemente sottoposto al vaglio della Corte di giustizia nell’ambito di due rinvii pregiudiziali. In tale occasione, i giudici italiani hanno richiesto alla Corte l’interpretazione della Direttiva 2008/52 dalla cui attuazione trae origine il neo- introdotto istituto, al fine di verificare la corretta trasposizione da parte del legislatore italiano ed ottenere lumi sulla compatibilità della normativa nazionale con i principi dell’equo processo.

A questo proposito, tuttavia, per comprendere tutti i profili di criticità dell’istituto della mediazione in relazione al diritto di difesa occorre verificare anche la presenza di pronunce in temada parte della Corte di Strasburgo, punto di riferimento imprescindibile per tutti gli Stati europei. Il tema della compatibilità dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie con i principi dell’equo processo non è, infatti, nuovo per la Corte e da tale giurisprudenza possono essere tratti validi spunti per la riflessione sull’istituto della mediazione recentemente introdotto in Italia con il D. Lgs. 28/2010.

In generale, dalla giurisprudenza sul tema, si rileva che quando si tratta di sistemi alternativi o arbitrati scelti volontariamente e consapevolmente dalle parti, la Corte non rileva violazioni dei principi a tutela dell’equo processo. Anche recentemente (sentenza Suda c. Repubblica Ceca, ricorso n. 1643/06, 28 ottobre 2010) la Corte ha affermato che “le droit d’accès à un tribunal – garantie qui découle de l’article 6 § 1 de la Convention – n’impliquepas, en matière civile, l’obligation de saisir une juridiction de typeclassique, intégréeauxstructuresjudiciairesordinairesdupays ; ainsi, un organechargé de trancher un nombrerestreint de litigesdéterminéspeut s’analyser en un tribunal à condition d’offrir lesgarantiesvoulues (Lithgow et autres c. Royaume-Uni, 8 juillet 1986, § 201, série A no 102). L’article 6 ne s’oppose doncpas à la création de tribunauxarbitrauxafin de jugercertainsdifférends de nature patrimoniale opposantdesparticuliers. Rien n’empêchelesjusticiables de renoncer à leurdroit à un tribunal en faveur d’un arbitrage, à conditionqu’unetellerenonciationsoit libre, licite et sans équivoque”. Tuttavia occorre che si verta in materia di diritti disponibili e lo Stato deve vigilare sulle garanzie offerte dai procedimenti di risoluzione alternativi. In tema di arbitrato, in particolare, le corti nazionali devono concedere l’esecutorietà del lodo solo se sono stati rispettati i principi dell’equo processo ed in particolare il contraddittorio (Jacob Boss Sohne KG c. Germania, ricorso n. 18470/91, decisione della Commissione, 2 dicembre 1991).

Parlando di arbitrato (ma i principi possono sicuramente valere anche per la mediazione) la Corte sottolinea che quando è imposto dalla legge, tale metodo di risoluzione delle controversie deve offrire le garanzie previste dalla CEDU (cfr. in particolare Bramelid e Malmström c. Svezia, ricorso n. 8588/79 e 8589/79, decisione della Commissione, 12 ottobre 1989). In particolare, nella sentenza Suda la Corte ha rilevato che l’arbitrato imposto dalle legge nel caso di specie non offriva le garanzie previste dall’articolo 6 per quanto riguarda l’origine legale e la pubblicità delle udienze, perché gli arbitri erano scelti nell’ambito di una lista limitando la libera scelta delle parti e poiché i lavori si svolgevano rigorosamente a porte chiuse e ha concluso per la violazione dell’articolo 6. Da questa sentenza, quindi sembra emergere un severo giudizio della Corte secondo cui ogni procedura alternativa al processo di natura obbligatoria sarebbe incompatibile con i principi dell’equo processo, a meno che non rispetti rigorosamente tutte le garanzie dell’articolo 6.

In una sentenza del 2001, però, la Corte non era stata così netta e anzi aveva sancito che la scelta per un arbitrato obbligatorio (e quindi la compressione dei diritti di difesa dei ricorrenti) poteva essere giustificata dal perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Nel caso di specie si trattava di un arbitrato che aveva impedito uno sciopero nel settore della produzione di gas e petrolio, il quale avrebbe causato gravi ripercussioni sul paese. La Corte aveva aggiunto inoltre che visto il notevole livello degli stipendi nel settore l’imposizione di una procedura arbitrale obbligatoria non poteva essere considerata sproporzionata (Federation of Offshore Workers’ TradeUnions e altri c. Norvegia, ricorso n. 38190/97, 27 giugno 2002).

Del restola Corteancherecentemente ha ricordatoche “The “right to a court”, of which the right of access is one aspect, is not absolute; it is subject to limitations permitted by implication, in particular where the conditions of admissibility of an appeal are concerned, since by its very nature it calls for regulation by the State, which enjoys a certain margin of appreciation in this regard. However, these limitations must not restrict or reduce a person’s access in such a way or to such an extent that the very essence of the right is impaired; specifically, such limitations will not be compatible with Article 6 § 1 if they do not pursue a legitimate aim or if there is not a reasonable relationship of proportionality between the means employed and the aim pursued (see, among other authorities, GarcíaManibardo v.Spain, cited above, § 36)” (Dobric c. Serbia,ricorso n. 2611/07 and 15276/07, 21 giugno 2011).

Di conseguenza, bisogna in ogni caso tenere presente lo spazio del margine di apprezzamento e valutare le esigenze deflattive perseguite dallo Stato in considerazione della compressione dei diritti di difesa, visto soprattutto che nel caso della mediazione l’accesso al tribunale non è eliminato, ma solo posticipato.

Sarà interessante vedere se i principi illustrati saranno presi in considerazione dalla Corte di Lussemburgo nelle pronunce sui rinvii pregiudiziali citati: potrebbe essere un’occasione di convergenza sul livello di tutela del diritto di difesa in Europa.