G.Martinico, Lo spirito polemico del diritto europeo Studio sulle ambizioni costituzionali dell’Unione, Aracne, Roma, 2011
Questo libro è il risultato di una serie di lezioni e conferenze tenute dall’Autore, attualmente García Pelayo Fellow presso il Centro de Estudios Politicos y Constitucionales (CEPC) di Madrid, in varie universitá e centri di ricerca europei (Spagna, Italia, Regno Unito, Olanda).
Questo non deve però far pensare ad un insieme di saggi indipendenti; al contrario, si tratta di un lavoro coerente e monografico, dedicato a quelle che Martinico chiama le ultime stagioni della “mega-constitutonal politics” europea (con questa espressione, l’Autore richiama i lavori di Peter Russell sull’odissea costituzionale canadese, cfr. P.H. Russell, Constitutional Odyssey: Can Canadians Become a Sovereign People?, Toronto, 1992).
Nonostante la letteratura sul punto sia sterminata – e nonostante lo scetticismo di molti circa la possibilità di definire l’UE come polity costituzionale, specie all’indomani del rigetto del Trattato-Costituzionale – il volume non si limita alla ricostruzione del logoro dibattito sulla possibilità di una Costituzione per l’Unione europea, ma adotta un punto di vista innovativo, offrendo una presentazione di quelle che sono le alternative teoriche rintracciabili nel panorama internazionale.
L’ipotesi di ricerca di questo lavoro è rintracciabile nel tentativo di presentare proprio il c.d. fallimento costituzionale come la conferma della già avvenuta (ancorché parziale) costituzionalizzazione dell’Unione: d’altra parte, problemi analoghi e dinamiche comparabili a quel “processo semi-permanente di revisione dei Trattati” (B. de Witte, “Il processo semi-permanente di revisione dei trattati”, Quaderni costituzionali, 2002, 499 ss.) sono emersi anche in Svizzera e Canada. Secondo Martinico, che analizza questi esempi per trarne insegnamento, l’UE starebbe solo scontando gli effetti di una più generale crisi del potere costituente contemporaneo.
Come lo stesso Autore riconosce, si tratta di una tesi apparentemente paradossale ma che viene difesa con dovizia di particolari, con riferimenti al diritto comparato nonché alle teorie che Maduro (M. Poiares Maduro, “The Three Claims of Constitutional Pluralism”, working paper) chiamerebbe “teorie costituzionali” dell’integrazione europea (costituzionalismo multilivello, pluralismo costituzionale etc).
Come suggerisce il titolo, che fa eco al famosissimo articolo di Massimo Luciani (M.Luciani, “Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico”, in Giur. cost., 2006, 1661), il libro mira a dimostrare lo spirito polemico del diritto europeo (inteso come diritto dell’Unione europea). A questo scopo, Martinico sottolinea l’importanza sistemica che i conflitti costituzionali (i.e. conflitti fra il primato del diritto europeo e la supremazia delle costituzioni nazionali) hanno avuto (e avranno) sullo sviluppo dei principi costituzionali del diritto dell’Unione (vedi il IV capitolo e le conclusioni).
Il libro si divide in quattro capitoli: nel primo si cerca innanzitutto di chiarire alcuni concetti-chiave nell’economia del volume (costituzione europea, costituzionalismo europeo, costruttivismo ed evoluzionismo costituzionale) e di evidenziare le linee comuni di quei “movimenti” che fanno capo ai “discontents” del costituzionalismo europeo (essenzialmente, il loro ridurre il costituzionalismo alla sua declinazione costruttivista-rivoluzionaria e la presunzione di esclusività – e di superiorità – del costituzionalismo statale – rectius, nazionale).
Il secondo capitolo è il più teorico: in esso Martinico cerca di affrontare punto per punto gli argomenti utilizzati da Autori come Avbelj, Krisch e Luciani, con il doppio obiettivo di evidenziare la varietà delle posizioni presenti nel dibattito internazionale (e quindi l’impossibilità di appiattire il dibattito teorico al solo costituzionalismo multilivello come accade spesso in Italia) e di porre in questione alcuni dei capisaldi di queste posizioni (in primis la presunzione di esclusività del costituzionalismo nazionale).
L’analisi di altri contesti che conoscono forme di costituzionalismo post-nazionale (Canada e Svizzera) forma l’oggetto del terzo capitolo, teso a dimostrare come quelle che normalmente sono indicate come spie del fallimento costituzionale dell’UE siano, in realtà, elementi tipici di altri contesti, pacificamente definibili come “costituzionali”.
Il quarto capitolo, infine, riguarda i conflitti. Dopo avere definito l’orizzonte teorico in cui si inserisce la sua riflessione (in primis Chantal Mouffe nel suo Sul politico. Democrazia e rappresentazione dei conflitti, Mondadori, Milano, 2007), l’Autore volge la sua attenzione ai conflitti costituzionali, concentrandosi sugli episodi giurisprudenziali di conflitto in cui sono in gioco i “materiali costituzionali” nazionali (Mangold, Michanicki, Filipiak, Winner Wetten, Rodriguez Caballero etc).
Infine, l’Autore introduce l’idea dell’effetto “sistemico” di quei conflitti che, prima facie, sembrano antisistemici. I conflitti hanno un ruolo centrale nello sviluppo del diritto europeo, poiché alimentano il motore dello sviluppo del sistema (il caso classico che viene citato dall’Autore è quello della giurisprudenza c.d. Solange, che invece di determinare una crisi persistente ha favorito la progressiva apertura della giurisprudenza sovranazionale alle istanze costituzionali nazionali).
A questo punto, però, l’Autore cerca di andare oltre, rinvenendo altri possibili esempi di conflitti sistemici (secondo un modello che legge “positivamente” la funzione sociale del conflitto), scorgendo un possibile esempio nella relativamente recente dialettica giurisprudenziale relativa all’autonomia del diritto processuale nazionale (sulla scia di sentenze come Lucchini, Fallimento Olimpiclub, Cartesio), prendendo spunto dalle Conclusioni presentate dall’Avv. Generale Cruz Villalón relativamente al caso Elchinov.
Le conclusioni del volume contengono alcune riflessioni sul “futuro” dei conflitti costituzionali: secondo Martinico, essi avranno ancora un ruolo centrale nello sviluppo del diritto dell’Unione per almeno tre ordini di ragioni: 1) i recenti allargamenti hanno introdotto una notevole dose di eterogeneità costituzionale nella struttura del diritto sovranazionale; 2) la bruciante bocciatura del Trattato-Costituzionale ha scoperto il nervo terminologico, e – come ricordava Bin – ha fatto “esplodere in modo drammatico i conflitti latenti, che sono celati dai silenzi e dalle elusioni delle costituzioni stesse” (R. Bin, “Gli effetti del diritto dell’Unione nell’ordinamento italiano e il principio di entropia”, in AA.VV., Scritti in onore di Franco Modugno, Jovene, Napoli, 363-383, 372-373). Infine, 3) la futura adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti fondamentali, non “placherá” – secondo Martinico – le tensioni passate tra le Corti europee ma, anzi, potrebbe favorire nuove ondate di concorrenza interpretativa, tesa all’acquisizione del monopolio interpretativo sulla “materia” dei diritti fondamentali.
Un limite di questo lavoro è la scelta di ricorrere a delle conclusioni aperte, in cui l’Autore ammette di non avere una risposta completa a quelle che in apertura del I capitolo erano indicate come le “domande di ricerca”, il che dimostra che il percorso di ricerca è a una tappa intermedia e, come pare capire dall’ultimo capitolo, potrebbe svilupparsi esplorando nuovi temi. Tra questi, spicca quello relativo alla relazione fra la teoria dei conflitti e la complessità costituzionale dell’UE (a cui l’Autore aveva dedicato molte pagine nella sua prima monografia, G.Martinico, L’integrazione silente. La funzione interpretativa della Corte di giustizia e il diritto costituzionale europeo, Jovene, Napoli, 2009).
Un altro punto critico è l’assenza di una distinzione fra i conflitti dotati di effetto sistemico (che, per le ragioni esposte, hanno una valenza positiva) e quelli che ne sono sprovvisti: dalle pagine dell’ultimo capitolo, infatti, si evince come un criterio a priori non esista. Ciò, dice l’Autore nelle conclusioni, è coerente con il non-riduzionismo proprio della teoria dei conflitti, ma indubbiamente il punto meriterebbe un approfondimento.
Questi appunti non pregiudicano il valore innegabile del lavoro, che di certo contribuirà alla maturazione di un dibattito, soprattutto in Italia, sul destino costituzionale dell’Unione, in virtù dello stile di scrittura diretto e chiaro, ma soprattutto grazie ad un approccio che, come si è detto, è originale e sostiene con efficacia la teoria dell’Autore.
Innanzitutto, credo che vada dato merito a Martinico di aver scritto un libro “pensato”. Si tratta, infatti, di un lavoro che dà una cornice e una sistematizzazione a una serie di riflessioni che l’autore aveva, invero, già iniziato altrove e che qui trovano compimento.
E’ un volume di cui, sinceramente, si sentiva il bisogno. Rappresenta, infatti, il tentativo di spostare definitivamente il dibattito italiano dalla dialettica tra sostenitori e oppositori dell’esistenza stessa di un c. d. diritto costituzionale europeo a riflessioni compiute sulla natura e sui problemi interpretativi dello stesso.
Personalmente ho molto apprezzato il libro.
Se una critica si può fare, credo che Fontanelli abbia ragione quando parla delle conclusioni aperte come limite del lavoro. Mi chiedo se ciò non derivi anche dalla natura intimamente “progressiva” (vale a dire “a successive stratificazioni”) dell’idea costituzionale legata all’ordinamento europeo.
Detto limite (se così si può definire) non inficia minimamente la qualità di un libro di altissimo livello.
Carlo Cantore (EUI, Firenze)
Concordo sul fatto che il libro fosse molto atteso.
Un po’ paradossalmente, data la vastità della dottrina in materia, ricostruzioni così compiute delle più moderne teorie costituzionali dell’Unione, quelle che l’Autore definirebbe “post-fallimento”, sono scarseggiate.
Materiale per una discussione ed una revisione critica ce n’è a iosa. Pur presentate in maniera problematica e ben circostanziata nel contesto dell’opera, tanto le teorie multilivello e le teorie pluralistiche, quanto la stessa comparabilità dell’Unione con altre realtà di “integrazione” costituzionale, quanto infine le (post-moderne?) teorie del conflitto, si prestano ad obiezioni metodologiche potenti, e dubbi sulla fruttuosità scientifica. Di questo in Italia siamo tutti consapevoli, grazie all’opera di maestri che spesso si criticava, ma con cui mai si tentava di dialogare.
Tuttavia in molti – per quel che conta, anche il sottoscritto – ritengono che questa sia la strada da intraprendere per una compiuta ricerca in materia, nonostante le difficoltà che si pongono.
E Giuseppe Martinico, per preparazione fondamentale e assoluta attenzione all’evoluzione del dibattito, é tra i giovani studiosi che meglio può assolvere il compito, che non può che essere work-in progress.
Il libro è insomma da consigliare: food for thought.
Trovo molto interessante l’idea dei conflitti costituzionali come motore del costituzionalismo europeo, che dimostra una visione generale del costituzionalismo come fenomeno dinamico e fluido.
Il “non finito” nell’esito del lavoro si può spiegare con le stesse conclusioni a cui giunge l’Autore: i conflitti costituzionali continueranno a causa dell’allargamento dell’UE, del rifiuto della Costituzione europea e dell’adesione dell’UE alla Convenzione europea.
Forse sarebbe stato auspicabile precisare maggiormente la nozione di conflitti costituzionali, ma mi pare che ben se ne riescano a comprendere bene gli effetti. E non era forse questa la finalità dell’Autore?
Nel leggere questo pregevolissimo libro si rimane colpiti dalla chiarezza cartesiana e dal rigore del procedimento logico che parte dalla definizione dei concetti e dall’analisi dei problemi aperti e si concentra su una rilettura critica dell’esperienza recente dell’Unione europea.
Il giurista avvertito scorge nel caso Solange non già la pretesa unicità della realtà costituzionale nazionale, ma bensì l’occasione offerta alla corte lussemburghese di accogliere all’interno della propria giurisprudenza le istanze provenienti dalle diverse sfere costituzionali dei Paesi membri, riassorbendole in un discorso complesso che è, o perlomeno ipso facto diventa, a sua volta costituzionale.
Allo stesso modo, il “fallimento costituzionale” dei referenda del 2005, lungi dal confermare l’impossibilità delle ambizioni comunitarie, viene inteso da Martinico come un ennesimo esempio che connota il carattere polemico del costituzionalismo europeo.
I riferimenti al Canada e alla Confederazione elvetica consentono poi all’Autore di istituire proficui paralleli, che gettano luce nuova sul percorso europeo.
Riguardo alle conclusioni aperte, a mio modesto parere sono una conseguenza pressoché necessaria dell’impianto complessivo dell’opera, “a seminal work” per dirla con gli anglosassoni, uno studio originale che Martinico offre al dibattito in seno alla dottrina italiana, uno spunto per riconsiderare posizioni a lungo immutate e riaprire discussioni giudicate forse prematuramente concluse.
Il libro di Giuseppe Martinico è senz’altro di particolare valore. Forse sarebbe il caso di dire che l’indubbia qualità del lavoro non sorprende chi già conosce i pregevoli ed innumerevoli scritti dell’Autore.
Viene proposta una ricostruzione critica ampia, minuziosa e dotta della copiosa dottrina esistente. E questo è già di per sé un notevole pregio. Inoltre, trovo che lo scritto sia davvero molto originale nell’impostazione. La pars destruens del lavoro in cui le posizioni scettiche del costituzionalismo europeo vengono vivisezionate è talvolta un po’ “macchinosa”, ma si accompagna ad una pars costruens di particolare qualità: prima si utilizza sapientemente il metodo comparato per dimostrare la natura costituzionale dell’ordinamento europeo e poi la si ricostruisce sulla base della teoria del conflitto. Per il giurista europeo il percorso giurisprudenziale che mostra i diversi “conflitti” che si sovrappongono è la parte di gran lunga più interessante, e forse avrebbe meritato maggiore spazio.
Certamente ci si aspetterebbe che nelle conclusioni l’A. desse in modo più netto quelle risposte agli interrogativi offerti all’inizio del testo, e non tracciasse delle conclusioni aperte. Può essere questo, come sottolineato da altri, un punto debole del libro. Ma l’ordinamento europeo è in continua evoluzione, e il fatto che le conclusioni siano “interlocutorie” è in linea con lo spirito del libro e ne rappresenta, visto da diversa angolazione, anche un merito. Non è in fondo ogni fine un nuovo inizio? L’inizio di nuove riflessioni, di un nuovo dialogo tra gli studiosi della materia?
Un possibile difetto del libro è già stato messo in evidenza dal recensore, ed è la sua conclusione “aperta”.
Segnalo due pregi indiscutibili. Si tratta, in primo luogo, di una monografia in cui è sempre riconoscibile una tesi e che non si limita alla ricostruzione dei dati. Ricostruzione che pure è presente e procede con vivacità e rigore analitico. La brillantezza stilistica è un indubbio elemento di chiarezza di una esposizione altrimenti estremamente densa. Proprio la costante presenza di un’idea-guida, inoltre, consente di non ritenere affrettate le conclusioni del libro.
L’altro aspetto positivo è l’apertura comparatistica negli European Studies, su cui l’autore da tempo riflette (in questo blog, ad es., v. https://www.diritticomparati.it/2011/01/federalismo-e-comparazione-negli-studi-europei-a-proposito-del-libro-di-r-sch%C3%BCtze-from-dual-to-cooperative-federali.html) e di cui in questo libro offre un eccellente saggio.
Il nuovo libro di Giuseppe Martinico rappresenta oggi uno strumento utilissimo per chiunque intenda davvero approfondire le tematiche costituzionalistiche, non solo a carattere sovranazionale.
Il merito principale di questo testo è forse proprio questo, fornire chiavi di lettura del tutto nuove al binomio costituzione/costituzionalizzazione: il tutto, destreggiandosi abilmente fra “essere” e “dover essere”, con i primi due capitoli attenti a ricostruire il dibattito (teorico) attuale, mentre il terzo e il quarto puntellano la riflessione con numerosi e sistematici riferimenti ad esperienze pratiche di diversa natura.
L’argomentare del libro è quindi completo, e – ripeto – fornisce spunti di assoluta novità, riuscendo ad introdurre il lettore nello “spazio di frontiera” più avanzato del dibattito costituzionalistico: se il punto di vista peculiare del libro è quello del processo d’integrazione europea, la portata delle riflessioni investe il concetto stesso di costituzione (e di costituzionalismo), troppo spesso ingabbiato in schemi concettuali vetusti anche per eccessivo amore verso i “grandi classici”.
Ecco, Martinico – che su quei “grandi classici” molto ha riflettuto, come testimonia del resto la sua produzione scientifica – riesce ad andare oltre, analizzando la realtà con lo sguardo “laico” che gli è proprio, pur senza fare mistero della passione con la quale affronta le tematiche europee.
Le conclusioni “aperte” – anche se, va detto, con diversi punti fermi – sono coerenti proprio con questo approccio metodologico, rappresentandone il naturale sviluppo.
Ringrazio chi è intervenuto per i commenti, con cui concordo per la gran parte, che testimoniano l’interesse suscitato dal volume di Giuseppe. Mi auguro che adesso le riflessioni contenute in questo libro, aggiustate e arricchite anche alla luce dei commenti ricevuti, possano essere proposte sul mercato delle idee europeo, visto il successo ottenuto in quello nostrano.
Inoltre, stimolo Giuseppe a raccogliere la sfida riguardo l’appunto – ricorrente – sulle conclusioni “aperte”. Sarebbe bello che Martinico ne approfittasse per segnalarci quali lavori – suoi o di altri – possono mostrare una strada verosimile per uno studio aggiornato della costituzione europea (absint iniuria verbis). In alternativa, potrebbe condividere con i lettori di questo blog il suo punto di vista sul futuro del monstrum constituzionale europeo.
Come notato in altri post, l’idea di fare dei conflitti costituzionali il motore del costituzionalismo europeo e’ promettente e l’autore riesce in questo modo’ a provare che si tratta di costituzionalismo polemico e non irenico. Allo stesso modo, la confutazione della teoria di Krisch e’ altrettanto convincente. I conflitti si inseriscono in una cornice pluralista che non rinuncia ai principi del costituzionalismo.
Un altro punto di forza del volume e’ rappresentato dal terzo capitolo, dove si trovano sviluppate avvincenti considerazioni comparatistiche sul federalismo canadese e su quello meno esplorato dagli studi europei della Svizzera.
Il capitolo finale e’ centrale per la tesi dell’autore e la ricostruzione della tipologia dei conflitti costituzioanali e del loro sviluppo conferma l’ipotesi di ricerca. Rimangono aperte alcune questioni che riguardano, come richiamato da altri post, i criteri di definizione del “buon” conflitto e quelli per identificare gli attori legittimati a praticare il conflitto stesso. Si possono immaginare, come l’autore sembra suggerire, altri conflitti fra attori diversi (e forse si potrebbe estendere l’idea anche a soggetti non istituzionali). QUi pero’ emerge anche un altro possibile dubbio. Nel primo capitolo, l’autore prende posizione a favore dell’appartenenza del costituzionalismo europeo al genus costituzionalismo evolutivo. Di quest’ultimo genere, l’autore propone di accogliere la versione meno organicistica, dove l’azione e il ruolo dell’agente contano, ma non devono essere intesi come volontariamente tesi al cambiamento giuridico. Non e’ chiaro se la nozione di conflitto costituzionale presente nel capitolo 4 possa realmente fare a meno della volonta’ di ottenere un cambiamento costituzionale, anche quando il conflitto verte sull’interpretazione di un principio. Quale potrebbe essere la motivazione di un agente che si impegna in un conflitto costituzionale se non quella di ottenere un cambiamento giuridico?
Nel complesso, un libro denso e necessario per la teoria costituzionale contemporanea.
Innanzitutto vorrei ringraziare Filippo, Carlo, Leonardo, Giuseppe, Marta, Delia, Fabio, Giacomo e Marco per avere trovato il tempo per discutere del mio libro.
Soprattutto Filippo merita un riconoscimento particolare per la bella recensione e il successivo commento.
Vengo brevemente ai due punti che giustamente vengono sollevanti nel post, consistenti nella natura aperta del lavoro e nella mancata risposta ad alcuni dei quesiti di ricerca posti nelle primissime pagine del volume.
Quella della natura aperta delle conclusioni, come anche Carlo e Delia hanno notato, è stata una scelta legata alla natura “incrementale” del diritto europeo, dovuta, a sua volta, all’evoluzionismo che sta alla base della costituzionalizzazione del diritto sovranazionale.
Molti di quei fenomeni descritti sono ancora, appunto, in “evoluzione” e non era certo possibile cercare di definirli in maniera compiuta in uno dei tanti libri dedicati a questo tema.
Per il resto, mi pare di avere cercato di rispondere alle domande poste in apertura, evidenziando i caratteri che, ad esempio, permettono di comparare l’UE con altri contesti caratterizzati da alto tasso di pluralismo culturale e dilaniati da “odissee costituzionali”, anche se, ovviamente, come ricordo nelle conclusioni, Canada e Svizzera sono soltanto due dei possibili termini di paragone analizzabili in questo caso.
Allo stesso tempo, con una punta di soddisfazione segnalo che alcune delle cose richiamate nelle conclusioni aperte stanno trovando conferma nei fatti più recenti.
Un esempio per tutti è dato da una recentissima decisone adottata dal Tribunale costituzionale ceco (No. Pl. US 5/12)- in risposta alla sentenza Landtová della Corte di giustizia (C-399/09, http://www.curia.europa.eu)- con cui i giudici cechi hanno applicato il controllo ultra vires già minacciato dal Tribunale Costituzionale tedesco nella sentenza Lisbona.
Rinviando, per i contenuti della decisione, all’esaustivo post pubblicato da Jan Komárek su verfassungsblog (http://verfassungsblog.de/playing-matches-czech-constitutional-courts-ultra-vires-revolution/), è possibile dire che questa pronuncia del giudice ceco ci conferma almeno tre degli elementi segnati in chiusura del libro:
1. l’allargamento e le ferite causate dalla fase delle Convenzioni produrrà nuovi conflitti costituzionali;
2. i conflitti (o il rischio dei conflitti) non vengono più soltanto dalla giurisprudenza dei tribunali costituzionali dell’Europa occidentale (come con le famose sentenze Solange o Frontini): oggi la nuova “frontiera” dei conflitti è rappresentata dall’Est. Le tensioni scatenate dai nuovi contenuti della Costituzione ungherese sono un altro esempio di questo trend;
3. persino quelle Corti costituzionali che, nelle sentenze sul Trattato di Lisbona, avevano dato segnali rassicuranti, dimostrano di essere pronte ad “attaccare” la Corte di giustizia.
Circa il nesso fra complessità (oggetto del mio primo lavoro monografico e non di questo secondo volume) e teoria dei conflitti: come scritto, l’elemento comune che per adesso scorgo è il non riduzionismo (e il non apriorismo, che mi ha condotto anche a sostenere l’impossibilità di un criterio a priori relativamente alla distinzione fra conflitti dalla portata sistemica e conflitti privi di tale caratteristica). Del resto, solo per sviluppare questo tema ci sarebbe voluto un altro volume e provare a sviscerare il rapporto in poche battute nel capitolo conclusivo mi sembrava troppo perfino per il lettore più generoso!
Un altro punto molto interessante è quello sollevato da Marco Goldoni con riferimento alla possibile incompatibilità fra teoria dei conflitti ed evoluzionismo: credo di poter, almeno da un punto di vista teorico, rispondere distinguendo fra la mera volontà dell’agente di scatenare il conflitto e la sua (assente, spesso) intenzione di produrre, con tale conflitto, un cambiamento sistemico che vada oltre il fine perseguito con il singolo atto.
Una distinzione simile è già nota agli studiosi delle fonti-fatto, distinzione che fa della consuetudine, ad esempio, un misto di “voluto-non voluto” come scriveva anche Bobbio ed è coerente con l’approccio case by case delle corti.
Sono tuttavia consapevole della necessità di tornare sulle questioni sollevate ed in questo senso raccolgo la “sfida” lanciata da Filippo.
L’idea, come ha notato da Marta, ad esempio, sarebbe quella di dedicare al nesso fra conflitti e complessità un altro volume; in questo senso, magari valorizzando ancora quell’approccio à la Schütze che ricordava Giacomo, la soluzione potrebbe venire dalla letteratura (anche politologica) che ha studiato il rapporto fra “crisis” e “constitutional change” (gli studi di Arthur Benz, ad esempio, http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/13597566.2011.578886#preview; https://www.dvpw.de/fileadmin/docs/2008WS5Benz.pdf), salvo poi interrogarsi su cosa definire con “constitutional change” in un contesto come quello europeo che rende, ad esempio, solo parzialmente applicabili le riflessioni dei comparatisti americani (http://www.cambridge.org/gb/knowledge/isbn/item2427594/?site_locale=en_GB) .
Grazie davvero a tutti,
Giuseppe Martinico, CEPC, Madrid
scusate se intervengo in ritardo, ovvero dopo la replica dell’autore, ma mi sono domandato questo: il costituzionalismo europeo è silente o polemico? Non è un gioco di parole, è che il precedente libro di Martinico si intitolava proprio l’integrazione silente, e si raccontava una storia molto nota, quella della creazione giurisprudenziale, non politica, dell’integrazione europea. libro ben fatto, preciso, che ha riscosso consensi. Ora questo nuovo libro, che mi è parso ben fatto, muove da un’idea di costituzionalismo polemico, di integrazione attraverso i conflitti, e questi conflitti non sono odierni, ma risalgono in realtà agli anni ’90, se ho capito bene. Allora, come si spiega questa apparente contraddizione? sono, come io sarei propenso a ritenere, due integrazioni concorrenti che si sono sovrapposte? Ma allora questo non consiglierebbe tesi meno radicali e unilaterali, e titoli meno diretti? O mi sono perso qualcosa io?
Nessuna contraddizione, silente non vuol dire “pacifico”. In entrambi i casi il nesso è giocato dal ruolo costituzionale giocato da attori in teoria non politici che scatenano conflitti, conflitti che possono essere eclatanti (come e’ stato dopo il 1992, con i tentativi di “hijack” il processo comunitario) o meno (grazie alla benevola non curanza descritta da Stein).
Circa i titoli, è nella facoltà dell’autore scegliere!
Grazie per i commenti .Giuseppe