Da Roper e Graham a Miller: il passo in avanti della Corte suprema. Quanto manca alla quadratura del cerchio?

Con una decisione molto contrastata, che ha assistito ad una spaccatura interna della Corte suprema, gli Stati Uniti hanno messo un altro tassello fondamentale verso una ricostruzione sempre più liberale dell’ VIII Emendamento. Difatti, con la decisione Miller v. Alabama (567 U. S. ____ (2012)), cinque giudici della Corte (Kagan, Kennedy, Ginsburg, Breyer e  Sotomayor) hanno dichiarato l’incostituzionalità, per violazione del divieto di “cruel and unusual punishment”, di quel sistema sanzionatorio contenuto nella legislazione di alcuni Stati che prevedeva l’obbligo per i giudici di comminare la pena dell’ergastolo senza libertà condizionale per il reato di omicidio anche a coloro che all’epoca del fatto erano minorenni. Questo l’esito di due ricorsi, presentati da due giovani, all’epoca dei fatti quattordicenni.
Diversi gli elementi in comune dei ricorsi presentati alla Corte: l’accusa di aver commesso lo stesso reato (omicidio); entrambi i ricorrenti erano stati processati secondo le procedure previste per gli adulti; gli era stata comminata la stessa pena (ergastolo senza possibilità di libertà condizionale). Inoltre, in entrambi i casi, i giudici non avevano alcuna discrezionalità per applicare un differente tipo di sanzione. Le leggi dell’Alabama e dell’Arkansas imponevano automaticamente tale sanzione anche ai minorenni riconosciuti colpevoli di tale reato, senza che l’organo giudicante potesse in alcun modo dare rilevanza ad elementi ulteriori, relativi sia al reato commesso, che alle caratteristiche personali dell’imputato, tra le quali, ad esempio, la giovane età. Tali valutazioni non erano ammesse nemmeno qualora avrebbero potuto condurre all’applicazione di una pena diversa, considerata più appropriata. Di fatto, tale tipo di schema sanzionatorio impediva ai giudici di considerare sia la affievolita colpevolezza dei minori, che la loro potenzialità di cambiamento.
La decisione della Corte rappresenta il punto di congiunzione e di convergenza tra due filoni giurisprudenziali, che ormai rappresentano due punti fermi della giurisprudenza statunitense in materia di VIII Emendamento, e che si intersecano nella necessità di garantire il principio della proporzionalità della pena. Esigenza che si manifesta in tutta la sua forza nel caso di pene comminate ad imputati minorenni.
Tra le altre cose, l’VIII Emendamento garantisce il diritto a non essere sottoposti a sanzioni eccessive, quale corollario di quell’irrinunciabile principio di giustizia secondo il quale la pena deve essere “graduated and proportioned” sia rispetto all’autore del reato, che al reato stesso. Il concetto di proporzionalità che, più che elaborato attraverso un prisma storico, si riferisce agli “evolving standards of decency that mark the progress of a maturing society(cosi in Estelle v. Gamble, 429 U. S. 97, 102 (1976) che riprende Trop v. Dulles, 356 U. S. 86, 101 (1958)) è pertanto punto nevralgico nell’interpretazione dell’VIII Emendamento. Di conseguenza, se da un lato esso rappresenta un limite costituzionale all’imposizione della pena capitale per i minorenni (cosi in Roper v. Simmons, 543 U. S. 551, 560), dall’altro anche l’ergastolo senza libertà condizionale per i minori di 18 anni condannati per reati diversi dall’omicidio violerebbe il disposto costituzionale, essendo quest’ultima sanzione affine alla condanna alla pena capitale (cosi in Graham v. Florida (2010) 560 U.S. ___).
Tale affinità rileva ancor più nel momento in cui le autorità giudicanti non possono prendere in considerazione la personalità del  reo e i dettagli del reato prima di decidere quale pena comminare.
La mancanza di maturità, il minore senso di responsabilità e la maggiore influenzabilità a situazioni e pressioni negative provenienti dall’ambiente che li circonda rendono i minorenni vulnerabili e incapaci di allontanarsi da quei contesti delittuosi, giustificando cosi l’imposizione di pene meno afflittive nei loro confronti anche nel caso in cui abbiano commesso crimini efferati, tra cui anche l’omicidio.
Questo in via generale. Ma vi è di più. Un sistema sanzionatorio (quale quello previsto in Alabama ed Arkansas, ma condiviso anche da altri numerosi Stati) che non prevede la possibilità per i giudici di considerare elementi quali la giovane età del reo o le circostanze del reato viola il principio di base comune sia a Graham che a Roper: lo Stato non può comminare delle pene ai minorenni come se non fossero minorenni. E ciò è ancora più vero in considerazione del parallelismo che si può fare tra la pena di morte e l’ergastolo senza libertà condizionale.
Anche se parte da i due filoni giurisprudenziali ormai consolidati di Roper e Graham, il giudice supremo statunitense si spinge un pochino oltre e pone un altro tassello, senza però completare la quadratura del cerchio.
Come visto, Roper ha riconosciuto che l’VIII Emendamento è violato nel caso di pena capitale comminata ai minorenni; Graham ha esteso il tiro, affermando che tale disposizione vieta una condanna all’ergastolo senza la possibilità di libertà condizionale per un minorenne che ha commesso un reato diverso dall’omicidio, sottolineando come tale sanzione sia paragonabile alla stessa pena capitale.
Il passaggio ulteriore compiuto in questo caso dalla Corte consiste nell’interpretare in modo estensivo quanto già affermato in Graham, rilevando come anche se si riconosce la diversità di gravità tra i vari reati, per quanto riguarda gli imputati minorenni non sarebbe corretto fare distinzione alcuna a seconda del reato commesso, in quanto tutte le condizioni personali legate all’età non sarebbero “crime-specific. Difatti, l’età non sarebbe solo un dato cronologico, ma vi sono studi scientifici e psicologici che mostrano come a quella si accompagni una certa dose di immaturità e di impetuosità che impedisce di valutare attentamente i rischi e le conseguenze delle proprie azioni.
Sulla base di queste argomentazioni, la (risicata) maggioranza della Corte respinge con forza la difesa proposta dagli Stati resistenti, i quali, con argomentazioni analoghe a quelle avanzate dai giudici dissenzienti, hanno sottolineato come l’orientamento della Corte suprema in particolare in Harmelin (Harmelin  v.  Michigan, 501 U. S. 957) era nel senso di non ritenere una pena “cruel and unusual” solo perché imposta automaticamente (Id., at 995). Tale principio generale era stato sfumato con esclusivo riferimento ai casi di applicazione della pena capitale, nei quali si era riconosciuta una regola differente, che imponeva un sistema sanzionatorio individualizzato. La non estensione ai casi diversi dalla pena di morte era stata giustificata proprio in base alle differenze di tipo qualitativo tra la morte e le altre pene.
La Corte non usa mezzi termini e respinge con forza questo approccio definendolo “miope”, in quanto non tiene in considerazione le fondamentali differenze tra adulti e minori. Non si vuole vietare a priori una certa pena per un’intera classe di rei o per un tipo di reato – dice il giudice supremo -: ciò che si vuole è che il giudice, quando pronuncia una sentenza nei confronti di un imputato minorenne, abbia la possibilità di seguire un certo processo mentale che tenga in considerazione, tra le altre cose, anche l’età del reo.
Lo sforzo compiuto dalla Corte suprema nel dare un’interpretazione più liberale dell’VIII Emendamento è sicuramente apprezzabile e condivisibile. Ma manca ancora un elemento per completare la quadratura del cerchio. Nessun dubbio sussiste circa le differenze tra imputati minorenni e adulti: ma il principio di proporzionalità della pena è un principio fondamentale di giustizia che si applica a tutti gli esseri umani, indipendentemente dall’età.
L’imposizione automatica di una sanzione che non lascia al giudice possibilità alcuna di pronunciare una sentenza che si adegui alle circostanze specifiche del caso sarebbe comunque illegittima, almeno secondo un’ottica costituzionale che considera il principio di proporzionalità delle pene, come corollario del più generale principio di eguaglianza, nella sua declinazione di principio di ragionevolezza, che esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso.
Senza poi considerare che, a parere di chi scrive, anche la pena di morte per un adulto rappresenta un “cruel and unusual punishment”. Ma questa è un’altra storia.

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