Recensione a: A.M. Russo, Pluralismo territoriale e integrazione europea. Asimmetria e relazionalità nello stato autonomico spagnolo. Profili comparati (Belgio e Italia), Napoli, 2010
L’autonomia regionale spagnola risalta, nel contesto europeo, quale case study di assoluto rilievo per almeno due ordini di ragioni.
In primo luogo, il modello di partecipazione delle Comunidades Autónomas (CC.AA.) alla normazione e, più in generale, alle politiche dell’Unione europea rappresenta un utile prospettiva attraverso cui analizzare le ‘frizioni’ e i limiti, oltre che i ‘punti di connessione’, tra le varie parti del ordinamento europeo multilivello. Ciò soprattutto con riferimento al “segundo proceso de descentralización”, ovvero l’intensa stagione di riforme statutarie regionali che se pur ‘problematica’ da un punto di vista ‘sistemico’ – è inevitabile il riferimento alla pronuncia sullo Statuto catalano (Sentenza Tribunal Const. 31/2010), sentenza ‘creativa’ e a tratti ‘manipolativa’, come evidenzia l’A. – risulta visibilmente orientata ad una europeizzazione dell’autonomia regionale. Aspetto che emerge in maniera chiara dall’analisi comparata della “seconda” o “terza regionalizzazione” italiana (riforma Titolo V), modello avanzato ma “distratto” sul piano della relazionalità e della sussidiarietà (europea, ma non solo) soprattutto a livello statutario.
in secondo luogo, in prospettiva generale, il rapporto conflittuale tra l’autorità centrale e quelle “periferiche” nell’agone delle politiche, delle risorse e – in definitiva – della sovranità, fornisce strumenti di lavoro empirici e concettuali al giurista che si accosti al “rompicapo” della compresenza di entità sovrane nel disegno costituzionale dell’UE.
Entrambe queste linee di ricerca sono ampiamente sviluppate nel libro di Anna Margherita Russo. Fin dall’introduzione, mappa concettuale dell’intero testo, risulta chiaro il filo conduttore dell’opera: la ferma convinzione dell’importanza del ruolo del livello regionale – optimal size di politiche sociali tra le più rilevanti e livello di governo maggiormente coinvolto nell’applicazione concreta del diritto europeo– e l’attenzione costante al dispiegarsi concreto della dinamica interistituzionale.
Nel primo capitolo, l’A. analizza sinteticamente (con dichiarato “sguardo” spagnolo) il dibattito circa la costituzionalizzazione dinamica dell’UE, ponendo in particolare l’accento sulle teorie “reticolari” della sovranità. Il caso della Spagna, che al suo interno la riflette e – forse – in parte la precorre, viene colto nella sua infinita “transizione costituzionale”, ovvero nella sua continua costituzionalizzazione attraverso l’assetto strutturalmente mobile dei rapporti centro-periferia.
Nel secondo capitolo, lo Stato autonómico spagnolo viene analizzato dal punto di vista specifico delle relazioni tra Stato e CC.AA. oltreché, per quanto possibile, delle CC.AA. tra di loro; si ribadisce, peraltro, la concezione della dinamicità costituzionale non quale mera composizione dei conflitti, quanto piuttosto come la principale via di partecipazione delle Autonomie al concreto dispiegarsi dell’azione dello Stato centrale.
Nella dettagliata analisi dell’A. colpiscono in particolare le riflessioni circa la «debolezza “endemica” del piano organico-multilaterale» (p. 81), aggravato dallo scetticismo dimostrato dalla Costituzione del 1978 per patti e accordi tra CC.AA. (p. 88).
Colpiscono perché l’incapacità delle autonomie regionali di fare sistema davanti e “contro” lo Stato, optando regolarmente per la via bilaterale, indebolisce notevolmente la loro posizione nella trattativa. Questo è ancor più vero laddove, come in Spagna, non sia fissato un sistema unico di relazioni multilaterali: in questi casi, infatti, la questione del peso politico delle parti in gioco appare determinante. L’A. sottolinea questi aspetti, e argomenta circa la spinta verso il multilateralismo dovuta alla partecipazione alle politiche europee: in primo luogo, una “palestra” di questo tipo di relazioni è rappresentata dalla CARCE, Conferencia para Asuntos Relacionados con las Comunidades Autónomas (oggi CARUE), investita di un ruolo di raccordo Stato – CC.AA. sia in fase ascendente che discendente.
Coerentemente con l’impianto complessivo del libro, il terzo capitolo è dedicato alla riflessione sull’asimmetria spagnola, anche tramite una serrata comparazione col modello belga.
L’A. si concentra, in particolare, sull’analisi di un tema spesso trascurato dagli studiosi dell’autonomia regionale: le differenziazioni giuridiche tra le comunità in rapporto alle differenze – per così dire – “naturali”, quegli hechos diferenciales dovuti a fattori economici, linguistici, storici o quant’altro. Dovendosi muovere all’interno di questa inevitabile dicotomia, si dimostra sempre attenta all’equilibrio dell’analisi tra il dato positivo (costituzionale e non) e l’atteggiarsi concreto dei rapporti interorganici, fornendo al lettore un filo conduttore nel complesso disegno dell’asimmetria spagnola.
Come accennato, l’analisi del modello asimmetrico spagnolo è condotta in parallelo con quella del modello belga, dove alle autonomie su base territoriale si aggiungono (e in parte sovrappongono) quelle fondate sul fattore linguistico. Destreggiandosi in quello che lei stessa definisce il «“rompicapo” ordinamentale» belga, l’A. riesce, peraltro, a fornire due concetti forti che lo accomunano a quello spagnolo: l’asimmetria dinamica come condizione “naturale” e, alla base di questo incessante divenire, l’“apertura” del modello costituzionale, ovvero la flessibilità del testo costituzionale rispetto alla forma che il sistema può assumere in pratica.
In questo contesto dinamico, il processo europeo d’integrazione accentua l’asimmetria, o quantomeno innesca nuove “lotte” tra livelli di governo per accreditarsi quali interlocutori dell’Unione, oltre che – aspetto non secondario! – percettori di finanziamenti diretti.
Nel quarto capitolo, anche il sistema regionale italiano viene sottoposto all’analisi sul doppio binario dell’asimmetria e della relazionalità. Oltre ai problemi “classici” della Conferenza Stato-Regioni, si sottolineano i limiti di tale sede con riferimento alla rappresentazione degli interessi differenziati di ciascuna Regione nei confronti dello Stato. In senso, per molti aspetti, antitetico rispetto a quanto avviene in Spagna, il sistema italiano – incentrato sulla Conferenza – produce una sostanziale omogeneizzazione degli interessi regionali, a discapito del formarsi di una cultura veramente “autonomistica”, che nella (condivisibile) visione dell’A. non sembra poter prescindere da un certo livello di asimmetria.
Del resto, come debitamente segnalato nel libro, i cleavages presenti in Conferenza sono solitamente trasversali rispetto agli interessi strettamente qualificabili come regionali, fino al criterio (del tutto improprio, in ottica di autonomia locale) della vicinanza o lontananza politica di ciascuna Giunta rispetto al Governo nazionale in carica (p. 165).
Dopo aver trattato la Conferenza Stato-Regioni quale sede principale della relazionalità italiana, il capitolo in oggetto passa ad analizzare il versante differenziale; tuttavia, anziché analizzare l’asimmetria “storica” tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale, l’A. sceglie di concentrarsi sul tema – assai meno studiato – dell’asimmetria “promessa” dall’(ancora) inattuato art. 116, comma 3 Cost.
Tale “clausola di differenziazione” viene sottoposta ad una critica serrata, risultando macchinoso e, tendenzialmente, irreversibile: privo cioè di quel carattere di “dinamicità” che ha costituito la forza del sistema delle autonomie spagnole (p. 176).
Il quinto ed ultimo capitolo è dedicato alla sussidiarietà, vista come l’indispensabile tessuto connettivo delle articolazioni di una governance a rete.
Nelle sue diverse accezioni, la sussidiarietà risulta in grado di inserire nella “rete”, democratizzandola, gli attori privati; inoltre, in prospettiva multilivello, rappresenta per l’A. il modo più soddisfacente per mettere in relazione i diversi centri decisionali (p. 190).
Segue poi un’attenta analisi dei meccanismi predisposti dai trattati europei a presidio dell’effettività del principio di sussidiarietà. In particolare, si pone l’accento sui rapporti tra Parlamenti nazionali e regionali nella partecipazione alla normazione europea, comparando l’esperienza spagnola e quella italiana.
L’A. si confronta in maniera critica con il Lissabon Urteil, lasciando trasparire la possibilità che la stessa sussidiarietà, interpretata – per così dire – “maliziosamente”, possa prestarsi a letture ‘frenanti’ ovvero unilateralmente orientate a preservare l’ ‘identità nazionale’, da un lato, o il tendenziale accentramento competenziale europeo, dall’altro, non assolvendo alla ‘missione integratrice’ per cui nasce.
Non manca, peraltro, la presa d’atto di come, al di là dei meccanismi sovranazionali, per certi aspetti «il destino delle Regioni riman[ga] ancora una volta strettamente legato alla “sensibilità” interna dei propri ordinamenti statali» (p. 227): un “bagno di realtà” che dà la cifra della libertà di analisi dell’Autice.
Riprendendo la metafora del viaggio, più volte utilizzata dalla stessa Autrice, il testo rappresenta un prezioso kit metodologico e concettuale non solo per chi si “addentri” nell’autonomia regionale spagnola, ma per chiunque intenda spingersi fino alle frontiere più avanzate del costituzionalismo attuale.