L’ULTRA-VIRES-KONTROLLE VISTO DALL’EST: L’ATTUAZIONE “DEGENERATIVA” DELLA DOTTRINA TEDESCA

Con la sentenza Pl.ÚS 5/12 la Corte Costituzionale Ceca ha dichiarato ultra vires la sentenza della Corte di Giustizia sentenza C-399/09 Landtová, sostenendo che tale pronuncia si spingesse ben oltre le competenze cedute dalla Repubblica Ceca all’Unione Europea. In particolare, il Giudice delle leggi lamentava una violazione delle competenze relative alla materia previdenziale, le quali, secondo la Corte, non erano mai state cedute all’Unione. Tuttavia, il controllo ultra vires degli atti comunitari non nasce con questa pronuncia e (probabilmente) non trova neanche la sua corretta attuazione, atteso che la genesi di tale dottrina trae le proprie origini dalla giurisprudenza tedesca, senza dubbio molto più “aperta” al diritto dell’Unione Europea e, sicuramente, più attenta alle conseguenze di un siffatto controllo.
La pratica dell’Ultra-vires-Kontrolle è stata elaborata, per la prima volta, dal Tribunale costituzionale tedesco, nella sentenza del 6 luglio 2010, con la quale è stato operato un il controllo sugli atti dell’Unione sospettati di essere stati adottati ultra vires. La richiesta all’origine della pronuncia chiamava il supremo giudice tedesco a verificare se la sentenza della Corte di giustizia nel caso Mangold (causa C-144/04, 22 novembre 2005) fosse stata resa ultra vires. I fatti che precedono tale pronuncia vedono una società concludere contratti di lavoro a tempo determinato con soggetti di età superiore ai 52 anni di età, possibilità espressamente prevista dalla legge tedesca relativa al lavoro a tempo determinato. Tale disposizione, tuttavia, giunta dinanzi al giudizio della Corte di Giustizia, veniva dichiarata in aperto contrasto con il diritto UE, in particolare, con il principio di non discriminazione in base all’età. Il giudizio della Corte di Giustizia, tuttavia, appariva essere stato emesso in violazione delle competenze cedute dallo Stato all’UE, ovvero ritenendo che l’attività della Corte avesse ecceduto le proprie competenze. Partendo da tale presupposto, il Tribunale costituzionale tedesco adotta la sentenza in esame, attraverso la quale non solo si preoccupa di mettere in pratica il controllo sugli atti ultra vires, ma chiarisce, altresì, le modalità del controllo stesso. In primo luogo, il Tribunale ribadisce che la possibilità di effettuare il controllo ultra vires si fonda sul principio delle competenze di attribuzione. In altri termini, l’Unione è una Comunità di diritto, le cui competenze sono quelle attribuite dai Trattati, quindi dagli Stati membri; l’estensione di tali competenze può derivare solo dalla revisione dei Trattati da parte degli Stati membri. Il Tribunale, sapientemente, ammette che se ogni Stato membro si arrogasse il diritto di decidere sulla validità degli atti dell’Unione, il principio del primato del diritto UE  e la sua uniforme applicazione verrebbero meno; ma, al contempo, ribadisce che ciò non determina affatto la rinuncia degli Stati membri a presidiare il rispetto, da parte dell’Unione, delle proprie competenze, atteso che ciò si concretizzerebbe nell’affidare ai soli organi dell’Unione il controllo sul rispetto della competenze cedute, correndo il rischio di trovarsi di fronte ad una modifica tacita dei Trattati. Viste tali precisazioni, il Tribunale tedesco, ribadisce la propria fedeltà al principio del primato del diritto dell’Unione, precisando che l’Ultra-vires-kontrolle deve essere effettuato in modo deferente e secondo un criterio di favor per il diritto dell’Unione europea. In effetti, il Tribunale precisa che, nell’effettuare il controllo, il giudice supremo deve considerare vincolanti le decisioni della Corte di Giustizia. In altre parole, non si potrà procedere al controllo ultra-vires su un atto dell’Unione se alla Corte di Giustizia non è stata concessa  la possibilità di pronunciarsi sull’atto in questione. Il Tribunale tedesco ha, poi, precisato che il controllo ultra-vires può essere esercitato solo laddove sia evidente il rischio che l’atto ecceda le competenze attribuite agli organi dell’Unione. Secondo il Tribunale, dunque, l’atto dell’Unione è ultra vires quando ha come effetto quello di determinare una significativa modifica relativamente alla ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri.
Tale competenza, affermata per la prima volta nella pronuncia Maastricht Urteil, è stata successivamente ribadita nella Lissabon Urteil del 2009. Tuttavia, il Tribunale costituzionale tedesco è tornato sulla questione nel 2010, con la sentenza Honeywell; una pronuncia particolarmente attesa, poiché avrebbe potuto aprire conflitti insanabili tra la Germania e l’UE, viste le premesse della sentenza Lisbona, ma il Tribunale costituzionale tedesco ha preferito riprendere e precisare la dottrina già espressa nella precedente sentenza Mangold. La pronuncia Honeywell, in effetti, mette in luce la volontà del Tribunale di Karlsruhe di non alimentare i conflitti con l’Unione Europea; ciò emerge, in particolare, dalla riaffermazione di come la prevalenza del diritto dell’Unione sia fondata sulla necessità che esso operi in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, e come questo elemento di supremazia sia compatibile con l’art. 23 LFB. Tale supremazia, peraltro, non è assoluta e, come chiarito nella sentenza Lissabon-Urteil, il Tribunale costituzionale ha il  diritto-dovere di vigilare sugli atti dell’Unione che appaiano adottati in eccesso dei poteri conferiti dai trattati.
L’opera di controllo, tuttavia, deve svolgersi in accordo con la Corte di Giustizia, nell’intento di preservare la coerenza e l’uniformità del diritto dell’Unione. Ciò, di conseguenza comporta che il Tribunale tedesco non possa dichiarare  ultra vires un atto dell’Unione prima di aver sollevato una questione pregiudiziale ex art. 267 TUE, così da dare alla Corte di Giustizia un’ultima possibilità di interpretare in maniera corretta l’atto in esame. Peraltro, le dichiarazioni ultra vires devono limitarsi alle sole situazioni in cui la lesione del riparto delle competenze pattuito sia sufficientemente grave, concedendo all’UE un margine di tolleranza, ovvero escludendo la possibilità di intervenire in situazioni de minimis.
Ciò detto, è difficile non notare le differenze nette tra la dottrina Mangold, che pure ammette la dichiarazione ultra vires degli atti UE, e la pratica messa in atto nella Repubblica ceca. In effetti, ciò che differenzia i due punti di vista risiede nella mancanza, per la Corte di Brno, della fase della conciliazione, ovvero quella che precede la dichiarazione ultra vires dell’atto dell’Unione e che dovrebbe vedere il dialogo entro la Corte di Giustizia e la Corte costituzionale che si accinge a sottoporre l’atto comunitario a controllo.
La fase della conciliazione, nel caso della Repubblica ceca, viene sopperita da una lettera della Corte costituzionale alla Corte di Lussemburgo, che non ha mai ricevuto risposta, atteso che la questione riguardava un caso sottoposto al Giudice comunitario e che il Giudice delle leggi ceco era, nel caso di specie, innegabilmente un soggetto non rientrante nella controversia, con il quale non era, dunque, ammissibile alcun dialogo.
Invero, appaiono necessarie talune specificazioni, poiché i controlimiti e la dichiarazione ultra vires non coincidono affatto, ma, nel caso di specie, tale distinzione tende a sfumare. In effetti, come si accennava, la Corte ceca aveva già avuto modo di specificare che per controlimite si intende, fra l’altro, il limite delle competenze cedute all’Unione; di conseguenza, l’eccesso di tali competenze avrebbe provocato un controllo dell’atto (o della sentenza) da parte della Corte costituzionale, la quale si era già riservata il potere di decidere in merito. Appare evidente che, nel caso specifico, la dichiarazione relativa all’eccesso di competenze è, senza dubbio, una specificazione (se non l’attuazione stessa) della dottrina Solange, atteso che la Corte ceca ha inteso la pronuncia della Corte di Giustizia come una ingiustificata ingerenza in competenze interne allo Stato che per nessuna ragione potrebbero essere cedute. Peraltro, il richiamo alla giurisprudenza tedesca non è null’altro che un appiglio, considerato che, come si diceva, il Tribunale costituzionale di Karlsruhe richiama la possibilità di dichiarare ultra vires una sentenza o un atto dell’Unione a talune condizioni, talmente stringenti da rendere pressoché impossibile tale possibilità. La Corte ceca, dunque, si rifà (sommariamente) alla giurisprudenza tedesca al solo scopo di trovare una giustificazione della sua posizione, richiamando la più autorevole voce degli Stati membri dell’Unione.
Vi è, quindi, da domandarsi quali saranno le reazioni dell’Unione Europea a siffatte argomentazioni, le quali, come si accennava, non sono improprie di per se stesse, dal momento che la Repubblica Ceca non è l’unica a sostenere la necessità che l’Unione non ecceda le proprie competenze, ma sono, senza dubbio, errate, quanto meno nella misura in cui vengono rese in violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale per le giurisdizioni di ultima istanza, ex art. 267 TUE, e perché non tengono conto delle competenze dell’Unione in materia di divieto di discriminazione in ragione della cittadinanza, invertendo bruscamente il cammino intrapreso dalla Corte di Brno.
In effetti, potrebbe (e dovrebbe) ipotizzarsi l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Ceca, atteso che questa ha volontariamente ammesso che non darà attuazione alcuna alla sentenza della Corte di Giustizia, violando, palesemente, l’obbligo di conformarsi al diritto dell’Unione. Tuttavia, c’è da domandarsi se l’Unione Europea non deciderà di sacrificare sull’altare dell’art. 4 del Trattato di Lisbona siffatte argomentazioni, facendo un passo indietro, che, innegabilmente, palesa connotati nuovi, i quali inducono a domandarci quanta Europa c’è nella eventuale decisione di non aprire, nel caso de qua, una procedura di infrazione.