Recensione a “Víctor Ferreres Comella, Justicia constitucional y democracia, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid, 2012”

Il libro qui recensito rappresenta la seconda edizione del fortunato volume scritto da Víctor Ferreres Comella e pubblicato dal Centro de Estudios Políticos y Constitucionales di Madrid per la prima volta nel 1997.

La prima edizione dell’opera fu pubblicata dopo essere stata insignita, nel 1996, del premio “Francisco Tomás y Valiente” (http://www.cepc.gob.es/investigacion/premiosalainvestigacion/premio-francisco-tomas-y-valiente). Il libro suscitò molta attenzione, avendo, per certi versi, ‘esportato’ parte del dibattito statunitense sulle corti supreme (o da noi costituzionali) come attori caratterizzati da un ruolo “contro-maggioritario”.

Senza richiamare la sconfinata letteratura sulla funzione giudiziale negli Stati Uniti (un’ottima sintesi si può ritrovare in questo contributo di Dyevre http://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/8510/MWP_2008_09.pdf;jsessionid=2946F1323F0FD916739663CB7F8A02EC?sequence=1), mi limiterò in questa sede a presentare brevemente le caratteristiche principali di questo pregevole- e già molto conosciuto- volume.

Una prima precisazione: come è esplicitato nella “Nota dell’Autore alla seconda edizione” (p. 13 ss), questa seconda edizione non differisce quasi in nulla rispetto alla prima (salvo per alcuni aggiornamenti giurisprudenziali o normativi; per esempio, nelle ultime pagine del volume Ferreres Comella fa riferimento alla questione relativa al matrimonio fra persone appartenenti allo stesso sesso- questione su cui recentemente è intervenuto il Tribunale Costituzionale con la decisione n. 198/2012 http://www.boe.es/diario_boe/txt.php?id=BOE-A-2012-14602). Si tratta di una scelta coraggiosa che, per certi versi, può apparire coerente con l’intento del lavoro (aprire- e non esaurire- il dibattito in Spagna, utilizzando le categorie concettuali che lo avevano caratterizzato negli Stati Uniti), ma che indubbiamente rischia di far apparire oggi il testo come una mera ristampa, non tenendo conto degli sviluppi e delle critiche emersi già all’indomani della sua pubblicazione.

Come si vedrà in chiusura, però, questa critica risulta parzialmente controbattuta da argomentazioni di tipo “sistemico”, che leggono l’opera segnalata come un “pezzo” del pensiero di Ferreres Comella sul ruolo della giustizia costituzionale.

La domanda fondamentale a cui l’Autore cerca di rispondere riguarda la giustificazione del controllo di costituzionalità da un punto di vista democratico e per tentare di rispondere a questo quesito Ferreres Comella ha inteso strutturare il libro in sei capitoli (più un’introduzione). Nel primo capitolo l’Autore analizza quelle caratteristiche che rendono il giudizio di costituzionalità particolare rispetto all’operato del giudice comune e lo fa puntando sull’indeterminazione del testo costituzionale (dato dal suo carattere vago e ambiguo e dalla natura controversa delle previsioni costituzionali) e su quella che chiama la “dignità democratica” della legge. Su questa premessa si reggono due principi chiave nell’attività interpretativa del giudice: il principio dell’interpretazione conforme (che deve caratterizzare l’interpretazione della legge) e il principio di deferenza verso il legislatore democratico (che deve caratterizzare l’interpretazione della Costituzione).

Sempre nel primo capitolo l’Autore affronta gli argomenti normalmente presi in considerazione per sostenere la problematica compatibilità della giustizia costituzionale con il principio democratico (la minore legittimità dei giudici costituzionali di fronte ai parlamenti; la rigidità costituzionale, che rende più difficile- per il parlamento- “neutralizzare” la decisione di incostituzionalità della legge; la controvertibilità interpretativa della Costituzione) e gli argomenti normalmente richiamati per sostenere la presunta irrilevanza dell’obiezione democratica alla giustizia costituzionale (il fatto che il controllo di costituzionalità sarebbe previsto nelle costituzioni approvate democraticamente- ma questo argomento varrebbe anche nel caso statunitense?- e la necessità di contemperare il principio democratico con quello relativo alla protezione dei diritti fondamentali).

Dopo avere analizzato punti di forza e debolezza degli argomenti sopra richiamati, Ferreres Comella affronta due ricostruzioni che hanno cercato di rispondere al problema della giustificazione democratica della giustizia costituzionale: la teoria della “Costituzione procedurale” (a cui è dedicato il secondo capitolo, in cui l’Autore riprende -e in parte confuta- le teorie di Ely) e quella della “Costituzione di dettaglio” (a cui è dedicato il terzo capitolo).

Brevemente la prima ricostruzione vede nella giustizia costituzionale un baluardo contro le possibili derive della maggioranza parlamentare, garantendo così quei diritti di partecipazione e accesso che dovrebbero caratterizzare il testo costituzionale (l’argomento che vede nella garanzia dei diritti di partecipazione politica l’unico limite per il legislatore democratico, p. 53 ss). La seconda ricostruzione mira a ridurre quell’ineludibile margine di controvertibilità e ampiezza che normalmente caratterizza il testo costituzionale, auspicando una costituzione di dettaglio che finirebbe non solo per ridurre il margine di manovra del giudice, ma anche per vincolare in maniera evidente quello del legislatore e, potendo, dei parlamenti futuri alle scelte del passato.

Entrambe queste posizioni presentano ambiguità e non convincono a pieno Ferreres Comella che, nei capitoli successivi presenta la sua preferenza per una Costituzione sostanziale (non procedurale) e di principio (non di dettaglio). I principi che caratterizzano questo tipo di Costituzione permetteranno di superare i limiti testuali relativi all’inevitabile “invecchiamento” del testo costituzionale, favorendo la protezione di nuovi diritti ed alimentando i processi di integrazione.

Ecco che qui Ferreres Comella sviluppa la sua teoria, secondo cui la giustificazione principale della judicial review consiste nella “contribución que puede hacer el juez al mantenimiento de una cultura de deliberación pública” (p. 130); a questo punto però, l’Autore, presenta anche una serie di caveat: “ese control debe llevarse a cabo bajo la presunción de que la ley a enjuiciar es constitucional. En virtud de esta presunción que protege a la ley, el juez debe actuar con deferencia hacia el legislador y, por tanto, debe escuchar desde una actitud de confianza las razones que éste aduce para justificar la ley cuestionada” (p.130).

Nei capitoli IV, V e VI l’Autore si concentra sulla presunzione di costituzionalità della legge, introducendone i caratteri, giustificandola da un punto di vista teorico e analizzandone le “gradazioni”. Tale presunzione si fonda su tre ordini di argomenti che dovrebbero guidare il giudice costituzionale in caso di dubbio sulla validità della legge: quello epistemico (secondo cui la decisione adottata dal legislatore ha maggiore probabilità di essere corretta rispetto a quella adottabile dal giudice costituzionale), quello dell’uguale dignità politica (secondo cui la dichiarazione di incostituzionalità di una legge approvata dall’organo rappresentativo della volontà popolare rappresenta potenzialmente un’offesa all’eguale dignità delle persone) e, infine, l’argomento della correggibilità degli errori (secondo cui è meno difficile correggere l’errore consistente nell’avere dichiarato valida una legge invalida che l’errore opposto, ovvero quello di avere dichiarato invalida una legge in realtà valida).

Se il giudice costituzionale deve seguire questa presunzione di costituzionalità della legge, ci sono casi in cui tale a presunzione si deve potere rinunciare. Il giudice, infatti, dovrà tenere in considerazione, di volta in volta, numerosi fattori che potranno rafforzare (nel caso in cui la legge in questione benefici di un vasto consenso parlamentare o extraparlamentare, cosa che, peraltro, non esclude la possibilità di superare la presunzione di costituzionalità) oppure ribaltare tale presunzione (quando, per esempio, la legge minacci gli interessi dei gruppi socialmente più vulnerabili- p. 220 ss.- oppure in caso di restrizione dei diritti di partecipazione politica, p. 244 ss.).

La natura pregevole dell’opera non esclude -ovviamente- la possibilità di sollevare rilievi critici: anche qui, però, conviene concentrarsi su ciò che è presente nel lavoro (per questo si è cercato di richiamarne la struttura in maniera dettagliata seppur sintetica), piuttosto che puntare su ciò che nell’opera manca. Non si tratta di essere generosi con l’Autore, quanto di leggere il libro per quello che è: una parte di un ragionamento più ampio che ha fatto di Ferreres Comella un punto di riferimento, non solo in Spagna (o nell’Europa continentale) ma anche negli Stati Uniti, dove la Yale University Press ha pubblicato nel 2009 il suo “Courts and Democratic Values. A European Perspective”, http://yalepress.yale.edu/yupbooks/book.asp?isbn=9780300148671(poi tradotto in castigliano nel 2011 con il titolo “Una defensa del modelo europeo de control de constitucionalidad” (Marcial Pons) http://www.marcialpons.es/static/pdf/100895039.pdf).

Quello che si vuole dire è che molte delle critiche avanzate all’indomani della pubblicazione della prima edizione del volume qui recensito non trovano replica nella seconda edizione per una precisa scelta dell’Autore, che ha inteso distinguere, nei suoi lavori, i molteplici approcci possibili al tema del rapporto fra giustizia costituzionale e democrazia.

In parte quanto appena scritto potrebbe essere richiamato anche per contrastare un’altra critica spesso fatta e che lo stesso Autore riconosce come fondata, ovvero la necessità di precisare meglio la connessione fra protezione dei diritti fondamentali ed effettivo arricchimento de la “calidad deliberativa del proceso politico”, un punto che Ferreres Comella affronta nella Nota alla seconda edizione (p. 14-15). Si tratta, in altre parole, di chiarire il tipo di contributo che ci si può aspettare dalle corti costituzionali al processo politico alla luce della loro peculiare natura, ovvero il maggior peso che diritti fondamentali e principi costituzionali hanno nel ragionamento e nell’azione dei corti costituzionali (rispetto ad un Parlamento che “está abierto a un abanico de intereses más amplio, en detrimento del mayor peso que deben tener esos derechos y principios” (p. 15).

Un altro elemento che ci aiuta a comprendere che tipo di contributo possa essere lecito aspettarsi dai corti costituzionali deriva dalla loro tendenziale imparzialità (frutto del fatto che essi decidono tenendo in considerazione “una serie de criterios generales que deben aplicar de manera coherente en los diversos casos, lo que asegura una cierta tendencia a la imparcialidad” (p.15). Si tratta di due concetti ripresi nel corpo principale del testo- e in parte sviluppati negli altri volumi menzionati- ma che sarebbe stato interessante approfondire.

Ad ogni modo, “Justicia constitucional y democracia”, nonostante il passare degli anni, rimane uno dei migliori volumi in Europa sul tema, caratterizzato come è dal merito di combinare pregevolmente le categorie sviluppate nel dibattito statunitense sul counter-majoritarian activism delle corti con la migliore tradizione della filosofia politica e del diritto (Carlos Nino, soprattutto, ma anche Habermas).