Gianluigi Palombella, È possibile una legalità globale? Il Rule of law e la governance del mondo. Collana “Studi e Ricerche”.

Il nuovo libro di Gianluigi Palombella nasce da un interrogativo, che rappresenta anche il titolo del libro: “È possibile una legalità globale?”.

Con un titolo del genere il volume qui recensito non poteva non dare una visione problematica e affascinante di tutta una serie di temi- affrontanti e legati con grande cura ma potenzialmente oggetto di separati saggi- che oggi sono al centro della riflessione giuridica, economica e politica.

Il primo grande merito del libro di Gianluigi Palombella è proprio quello di riuscire ad emergere con una tesi chiara ed originale da questo groviglio di prospettive, dominando una letteratura che, nella sola “area” giuridica, ha visto confrontarsi studiosi del diritto amministrativo, internazionale- pubblico e privato- costituzionale, teorici e filosofi del diritto.

Il libro si divide in cinque capitoli principali, a cui vanno aggiunti un’Introduzione generale e un’Appendice dedicata al tema del diritto pubblico europeo oggi.

Gli obiettivi del lavoro sono descritti nelle primissime pagine, in cui l’Autore afferma di volersi interrogare sul senso della legalità in un contesto, come quello contemporaneo, caratterizzato da un diritto sempre meno statale e gerarchico, sempre più frammentato e “sconfinato” (per ricordare il titolo di un famoso libro di M.R.Ferrarese, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Laterza, Roma-Bari, 2006). Nel farlo, Gianluigi Palombella prende con chiarezza posizione sostenendo che “la questione della legalità (posta nelle carte internazionali attraverso l’invocazione del Rule of law, accanto alla democrazia e ai diritti umani) attenga non solo agli stati e ai loro ordinamenti, e si riproponga in quello spazio che loro sfugge e che, in assenza di un ordine universale, ne ospita una multiforme pluralità” (p. 10).

Una legalità globale esiste ma non passa necessariamente per l’affermazione di una costituzione globale. È una legalità che non si alimenta dell’idea di unità e sistema del diritto ma che si declina nella possibilità di articolare la esistente pluralità di ordini, costituzioni e normatività, scorgendo in essi una fonte di arricchimento reciproco.

Nel tentativo di trarre il senso della legalità dal “principio del Rule of law”, l’Autore ricostruisce, nel primo capitolo (“L’ideale della legalità e il ‘Rule of law’”), il suo significato, distinguendolo da quelli solo parzialmente affini di “governo delle leggi”, “stato di diritto” e “principio di legalità”. L’obiettivo di questo capitolo è quello di trarre “una definizione filosofico-giuridica e indicando in che modo essa sia estensibile alle trasformazioni istituzionali contemporanee” (p.18).

Dopo avere individuato gli elementi di continuità che caratterizzano il Rule of law ovvero “la disposizione del diritto a impedire che l’esercizio della volontà di governo assorba completamente la normativà sociale” (p. 65), Palombella si interroga sui contorni che questo concetto assume oltre lo Stato (proprio il “Rule of Law oltre lo stato” è il titolo del secondo capitolo).

Giocando ancora una volta sulla distinzione fra Rule of law e stato di diritto, Palombella cerca di identificare “quale diritto venga in gioco al di là dello stato, e in quale relazione esso si ponga con il modello del Rule of law” (p. 67) e, nel farlo, si concentra dapprima sulle relazioni fra stati e, quindi, primariamente sul diritto internazionale- nel capitolo II- per spostare l’attenzione, in un secondo momento, su quello globale, nel capitolo III (intitolato: “Una mappa del globo: legalità al plurale”).

L’idea che emerge da queste pagine è quella di un ideale normativo (il Rule of law appunto) alle prese con fenomeni vari e multiformi (i processi della governance mondiale), che difficilmente possono essere ricondotti alle categorie classiche del diritto, un diritto spesso in passato concepito come pervaso tensione olistica e chiusa.

I livelli di legalità (diritto internazionale, diritto dell’UE, diritto globale) di cui scrive Palombella non vengono infatti “assorbiti” da un’autorità unica ma interagiscono, mantenendo la propria (le proprie) autonomia(e).

Le dinamiche in cui si sviluppa questa interazione fra livelli di legalità è al centro del libro. Come lo stesso Autore ammette: “Uno fra i principali propositi di questo volume è indicare come questi livelli di legalità entrino in rapporto e quale sia il ruolo che il Rule of law può assumere non solo nel diritto internazionale, come ordinamento separato, ma nell’insieme dei diritti (in senso oggettivo) concorrenti sulla scena del globo” (p. 106).

Il capitolo quarto (intitolato “Com’è possibile un ‘Rule of law’ globale?”) evidenzia come il Rule of law giochi un ruolo essenziale oltre lo stato, rendendo possibile “la sopravvivenza di legalità diverse” e la sostenibilità della governance, regolando la “qualità giuridica dell’interdipendenza” (p. 151). Sempre nel capitolo quarto, l’Autore si sofferma sugli aspetti centrali del c.d. “Global Administrative Law” (d’ora in poi GAL) e sul noto dibattito relativo al concetto di diritto nel GAL (a partire dal noto articolo di B.Kingsbury, “The Concept of ‘Law’ in Global Administrative Law”, European Journal of International Law, 2009, 23-57) e su altre ricostruzioni cercando di chiarire la funzione che il Rule of law può dispiegare nel contesto globale.

Come viene sostenuto con chiarezza a p. 162: “Certamente il Rule of law non può contribuire a generare una più o o meno realistica autorità mondiale: questo sarebbe un compito di attribuzione (costituzionale) di potere, di creazione e autorizzazione, di legittimazione, che non ha molto a che vedere con l’appello all’ideale del Rule of law come tale. Nondimeno il Rule of law può compiere un lavoro diverso ma ugualmente importante perché nel porre condizioni di equilibrio giuridico tra gli interlocutori, senza alcun progetto o fede perfezionista, può attivare un processo che porta oltre la qualità dei singoli separati ordini a confronto”.

Il Rule of law quindi non mira ad annullare la pluralità di ordinamenti (il GAL è solo uno di questi) ma a far interagire (“l’onere della comunicazione”), secondo dinamiche che vengono ricondotte ai modelli del discorso razionale e del discorso giuridico pubblico (da qui l’attenzione ad Autori come Habermas e Gadamer, citati a p. 173 ss.), i diversi attori e le diverse legalità presenti nella dimensione ultra-statale.

I giudici svolgono una funzione essenziale nel permettere la comunicazione fra ordinamenti, fornendo “ponti” fra legalità anche in assenza di disposizioni formali che colleghino ordinamenti diversi. In questo senso il Rule of Law richiede vincoli di mutuo riconoscimento, simmetria, razionalità e universabilità degli argomenti fra gli interlocutori presenti nell’arena globale.

L’ultimo capitolo (“la (Ri-)costituzione del pubblico) è teso a ridefinire (e ricostituire) il ruolo del pubblico in un diritto sempre meno statale. L’itinerario proposto da Gianluigi Palombella analizza in primo luogo le basi del moderno diritto pubblico per ricercarne, in un secondo momento, le proprie tracce nell’arena della governance mondiale.

Nel fare ciò l’Autore dapprima introduce i lettori alla dualità del pubblico (nelle sue strutturazioni giuridica e politica) del concetto di pubblico, quindi evidenzia il “de-coupling” della dualità giuridico e politica del pubblico e, infine, affronta in chiave critica una serie di modelli applicabili al tentativo di ricostituzione del pubblico nello scenario globale (fra questi, ad esempio, quello del conflict of laws di Joerges e Neyer, “‘Deliberative Supranationalism’ Revisited”, 2006, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=963334), sottolineando come anche la ricostituzione del pubblico debba passare per quella interdipendenza nell’indipendenza che riconduce, ancora una volta, alla principale rivendicazione del Rule of law.

L’Appendice finale (intitolata “Il diritto pubblico dell’Europa: un’impresa incompiuta”) offre una ricostruzione dello stato attuale dell’Unione europea, all’indomani del c.d. fallimento costituzionale, sulla base di una rilettura affascinante del noto saggio di Weiler “The Transformation of Europe”, (Yale Law Journal, 1991, 1991, 2403-2483).

Se, attraverso la rilettura, a più di venti anni di distanza dalla sua pubblicazione, del ‘classico’ di Weiler, Gianluigi Palombella deduce i “parametri” che saranno utilizzati nel corso del capitolo, i “tre ambiti da cui è possibile osservare la composita realtà della costruzione europea” (p. 242) sono rappresentati dalla costituzione di un diritto pubblico europeo, dalla trasformazione dei diritti e dal dominio della governance.

Facendo perno su queste tre aree, Palombella giunge a dimostrare il distacco dell’attuale fase di integrazione europea dagli ideali fondativi, i cambiamenti occorsi e i tentativi falliti di definire il processo di integrazione.

Il quadro che risulta dall’Appendice è quella di un’Europa afflitta da un male grave ma non incurabile.

Da questa breve rassegna appare chiaro come il volume di Gianluigi Palombella si presenti di sicuro interesse anche per costituzionalisti e comparatisti (i principali, ma non unici, fruitori di questo blog), anche per la sua capacità di spaziare dalla teoria del diritto all’arena dei leading cases con la stessa sicurezza ed esaustività.

Questo è solo di uno dei molteplici pregi di un libro che non mancherà di suscitare dibattito, come è stato per un altro recente volume (N.Krisch, Beyond constitutionalism. The pluralist structure of postnational law, Oxford, Oxford University Press, 2010 ), con cui l’Opera qui recensita sembra condividere una certa diffidenza verso l’opzione di un diritto costituzionale globale e, soprattutto, la premessa secondo cui l’esistenza di una costituzione o di un diritto costituzionale globale debba necessariamente tendere alla creazione di un sistema olistico chiuso e verticistico. Si tratta di una ricostruzione abbastanza diffusa fra gli studiosi in questi anni ma che, come segnalato altrove (G.Martinico, Lo spirito polemico del diritto europeo Studio sulle ambizioni costituzionali dell’Unione, Aracne, Roma, 2011), sembra dimenticare l’apertura che è propria delle costituzioni del dopoguerra (A.Saiz Arnaiz, La apertura constitucional al derecho internacional y europeo de los derechos humanos. El articulo 10.2 de la Constitución española, Madrid: CEPC, 1999) e quel grado di pluralismo presente in contesti sicuramente leggibili attraverso le categorie del diritto costituzionale (A.Stone Sweet, “Constitutionalism, Legal Pluralism, and International Regimes”, Indiana Journal of Global Legal Studies, 2009, 621-645).

Si tratta solo uno dei mille spunti offerti dal lavoro, un esempio della molteplicità delle prospettive presenti: il nostro augurio è che, a partire dalla sue pagine, si apra, anche in Italia, un dibattito altrettanto interdisciplinare e aperto sulle nuove dimensioni e ragioni della legalità e del pubblico (del resto, siamo sicuri, questo era uno degli intenti dell’Autore).

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