Laura Cappuccio- Andrea Lollini- Palmina Tanzarella, Le corti regionali tra stati e diritti. I sistemi di protezione dei diritti fondamentali europeo, americano e africano a confronto, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012
Raramente un volume collettaneo raggiunge coerenza e sistematicità anzi, spesso accade il contrario: il mercato è davvero pieno di opere “a cura di” che raccolgono contributi del tutto sganciati e indipendenti, se non a volte ripetitivi, caratterizzati solo da un generico rinvio al titolo prescelto per la raccolta dei saggi.
Non è un caso che, prima all’estero e, poi finalmente, a quanto pare, anche in Italia, ci si sia accorti in fase di valutazione della pochezza di molte opere appartenenti a questo “genere”.
I collettanei dovrebbero essere un’eccezione, frutto di lavori davvero di gruppo, che condividono un’impostazione e delle domande di ricerca comuni.
Il libro a cura di Cappuccio, Lollini e Tanzarella rappresenta una di queste felici eccezioni.
Il volume si apre con una Prefazione scritta dalla Prof.ssa Cartabia e si divide in quattro capitoli. Nel primo capitolo (intitolato “Europa, America e Africa: i tre sistemi regionali di protezione dei diritti fondamentali a confronto”), scritto da tutti e tre i curatori/autori, vengono ricostruiti il senso e le traiettorie dell’itinerario di ricerca.
Il secondo (intitolato “I diritti della Corte europea dei diritti”) è firmato da Palmina Tanzarella, che analizza in un lungo saggio le caratteristiche del sistema regionale di protezione dei diritti più avanzato, il suo rapporto con gli ordinamenti nazionali, le “tecniche” tradizionalmente utilizzate dalla Corte di Strasburgo e le evoluzioni della giurisprudenza sul diritto alla vita.
Il terzo capitolo (“La Corte interamericana e la protezione dei diritti fondamentali: una bussola per gli Stati”) è scritto da Laura Cappuccio: analogamente a quanto accaduto nel saggio di Tanzarella, l’Autrice affronta la genesi e le difficoltà del sistema interamericano, i suoi sviluppi (il ruolo iniziale svolto dalla Commissione e poi la giurisprudenza della Corte), le principali differenze rispetto al sistema europeo ed il rapporto fra giudici nazionali e corte interamericana, attraverso l’origine del c.d. controllo di convenzionalità, all’indomani della “richiesta” della Corte interamericana nella pronuncia Almonacid Arellano.
Infine, il quarto, dedicato alla “Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli e il ‘nuovo’ sistema regionale di protezione dei diritti fondamentali”, è stato scritto da Andrea Lollini.
Essendo il sistema africano quello di più recente attuazione, l’analisi della giurisprudenza, per ovvie ragioni, non rappresenta il punto forte di questa sezione che, però, si contraddistingue per una rigorosa introduzione, storica, giuridica e culturale in senso ampio, al ruolo e alle potenzialità del sistema della Carta africana dei diritti.
I risultati dello studio, anticipati nel primo capitolo, sono davvero interessanti: i tre sistemi vengono comparati tenendo conto del grado di enforcement (concepito come natura vincolante delle sentenze della Corti e non come insieme di strumenti utilizzabili per ottenere l’esecuzione delle pronunce), diretto (con riferimento allo sviluppo dei meccanismi di acceso) ed indiretto (legato per esempio, alla percezione che i giudici nazionali hanno maturato degli strumenti regionali), il rapporto fra sistemi regionali e ordinamenti interni, il numero di attori coinvolti, la previsione o meno di un ricorso individuale, l’orizzonte temporale preso in considerazione- la “vita” delle Corti- ed il contesto culturale in cui esse operano.
I sistemi in questione si presentano come caratterizzati da una certa asimmetria nel funzionamento e nell’efficacia del funzionamento, dovuto a fenomeni diversi – tutti richiamati e ricostruiti con dovizia di particolari – ma sono anche comparabili alla luce di alcuni fattori strutturali e organizzativi.
Il sistema europeo è chiaramente quello più maturo e caratterizzato da maggiore consenso statale, dovuto ad una cultura dei diritti tutto sommato condivisa, alla stabilità politica interna degli Stati membri e agli alti standard di protezione già presenti a livello nazionale. Un ruolo indirettamente importante è stato giocato anche dalla presenza del diritto dell’Unione europea che, negli anni, come dimostrano anche altre ricerche (Keller-Stone Sweet eds, A Europe of Rights: The Impact of the ECHR on National Legal Systems, 2008), ha dato nuovi argomenti ai giudici nazionali per riconsiderare l’autorità della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il caso interamericano si caratterizza per un consenso crescente degli Stati (ma sconta l’assenza di Stati Uniti e Canada), per l’instabilità politica in molti degli Stati membri e per fenomeni che contribuiscono ad uno standard di tutela non comparabile a quello riscontrabile a livello interno nel contesto europeo.
Un’altra importante differenza è data dal numero di casi annualmente decisi dalla Corte interamericana, che è di gran lunga inferiore a quello delle decisioni emesse della Corte EDU.
Infine, dato il suo carattere embrionale, il sistema africano si presenta come quello più inefficiente dal punto di vista dell’enforcement, dato comprensibile in ragione dello scarso consenso di cui gode a livello statale e dell’alta instabilità politica interna di molti dei Paesi membri.
Per meglio comparare i differenti sistemi, gli Autori scelgono di fare del diritto alla vita (e delle relative giurisprudenze) il “prisma d’analisi transistemico”, esplorando le declinazioni che di tale diritto vengono date nei tre contesti: si passa dal caso europeo – caratterizzato da una declinazione intensa del diritto (inteso anche come diritto alla “realizzazione dei propri desideri di vita personale”) – ad un concetto più limitato (diritto alla vita come diritto all’integrità fisica), emerso soprattutto dall’analisi della giurisprudenza interamericana.
Dato le difficoltà di contesto presenti nel caso africano, risulta più difficile apprezzare l’emersione di una doctrine della Corte africana in questo ambito.
La struttura dei contributi del volume si presenta omogenea, solida e dettagliata ed il filo conduttore della ricerca viene efficacemente anticipato dai tre curatori/autori in un robusto capitolo introduttivo, dove non solo viene spiegato il senso dell’opera (la necessità di comparare sul serio tre sistemi regionali di protezione dei diritti umani) ma anche presentati una serie gli elementi che vengono poi puntualmente ripresi nei singoli capitoli.
Vi è un altro merito che va riconosciuto agli Autori: i tre capitoli principali dialogano realmente, non limitandosi ad una mera descrizione della struttura, genesi e funzionamento di ogni corte regionale; non mancano infatti riferimenti incrociati a giurisprudenze di altre corti, per sottolineare somiglianze e differenze esistenti fra questi sistemi di protezione di diritti.
In Europa non mancano opere simili, anche monografie (per esempio il bel libro di Amaya Ubeda de Torres “Democracia y Derechos Humanos En Europa y En América: Estudio Comparado de Los Sistemas Europeo e Interamericano de Protección de Los Derechos Humanos”, 2007) ma raramente studi di questo tipo si estendono anche al continente africano (anche per la breve storia che ha la Corte africana), se non per introdurre il lettore ai contenuti della Carta africana che viene spesso richiamata come potenziale caso di studio nell’analisi della dialettica fra universalismo e particolarismo dei diritti umani.
Gli Autori del volume recensito, invece, muovono proprio dalla necessità di andare oltre questo tipo di dibattito. In conclusione, si tratta di un volume davvero prezioso, assolutamente da acquistare e leggere, dove i tre sistemi regionali di protezione dei diritti vengono realmente comparati, nella speranza di aprire una nuova stagione di studi.