A proposito dell’ordine giusto col quale vanno esaminate le questioni di costituzionalità e le questioni di “comunitarietà” congiuntamente proposte in via d’azione (a prima lettura di Corte cost. n. 245 del 2013)

Sommario: 1. La soluzione fatta propria dal giudice delle leggi, il carattere perentorio dell’affermazione che la sostiene, il suo non tener conto dell’attitudine delle norme dell’Unione a derogare allo stesso riparto costituzionale delle competenze tra le leggi di Stato e Regione. – 2. La distinzione tra i ricorsi presentati dallo Stato e quelli delle Regioni e i riflessi che possono aversene in merito all’esame delle questioni “complesse”. – 3. Certezza del diritto, a salvaguardia della primauté del diritto sovranazionale, ed opportunità che si faccia comunque luogo all’esame delle questioni di “comunitarietà”. – 4. Una duplice notazione finale, con riguardo alle peculiari movenze della tecnica dell’assorbimento dei vizi nelle sue possibili applicazioni alle questioni “complesse” ed all’uso discontinuo e scarsamente motivato degli strumenti processuali.

 

 1.La soluzione fatta propria dal giudice delle leggi, il carattere perentorio dell’affermazione che la sostiene, il suo non tener conto dell’attitudine delle norme dell’Unione a derogare allo stesso riparto costituzionale delle competenze tra le leggi di Stato e Regione

Non nuova l’affermazione di sfuggita fatta nella decisione che ora rapidamente si annota, ripresa da anteriori decisioni espressamente richiamate (e, segnatamente, dalle sentt. nn. 120 e 127 del 2010), secondo cui in caso di questioni di costituzionalità “complesse”, nelle quali sia a un tempo denunziata la violazione del riparto costituzionale delle competenze tra le leggi di Stato e Regione e quella del diritto “comunitario” (o, piace a me dire, “eurounitario”), alla prima lagnanza debba essere comunque data la precedenza rispetto alla seconda. Trattasi di un indirizzo relativamente recente, che ha la sua prima e più decisa affermazione nella sent. n. 368 del 2008[1], in rottura rispetto a precedenti pronunzie (tra le quali, la n. 406 del 2005[2]) nelle quali siffatto ordine di priorità non era rigidamente fissato e si era piuttosto fatto più volte luogo all’esame della questione di “comunitarietà” con precedenza rispetto a quella concernente l’osservanza dell’ordine interno delle competenze[3].
Colpisce il carattere perentorio dell’affermazione fatta dalla Corte nella sentenza cui si dirige questo breve commento, tanto più se la si pone a raffronto con quanto è detto in altre pronunzie, relative ai campi più varî di esperienza, nelle quali il giudice delle leggi ha lasciato chiaramente ad intendere di volersi tenere le mani libere circa l’ordine con cui far luogo all’esame delle plurime questioni presentate in uno stesso atto di ricorso.
Ma, qual è la ratio del nuovo indirizzo e cosa esso non dice e però potrebbe far capire di voler dire?
Comincio da quest’ultimo punto. Si potrebbe invero pensare che il presupposto non esplicitato dell’ordine di priorità sopra indicato sia dato dalla inidoneità del diritto sovranazionale ad alterare l’assetto costituzionale delle competenze, al punto che la verifica circa la effettiva osservanza di quest’ultimo richieda comunque di esser fatta, e di esser fatta appunto con precedenza su ogni altra. Se, di contro, si ammette – così come, invero, usualmente si ammette (anche da parte della Consulta…) – che il diritto “eurounitario” sia in grado di esprimere una forza normativa “paracostituzionale” (o costituzionale tout court), tale da potersi, se del caso, dirigere avverso lo stesso riparto costituzionale delle competenze[4], la conclusione parrebbe dover essere esattamente rovesciata rispetto a quella cui la Corte oggi perviene, il riscontro della osservanza del diritto dell’Unione dovendo precedere quello della osservanza del riparto medesimo.
Ora, quanto al presupposto sopra indicato, ammesso pure (ma non concesso) che esso si abbia, ugualmente non si vede perché mai debba in ogni caso tenersi fermo l’ordine di priorità voluto dalla Corte. Il rispetto della Costituzione (in ogni norma diversa da quelle degli artt. 11 e 117, I c.) sarebbe infatti da tenere separato dal rispetto del diritto “eurounitario”, così come – ma il punto ora non è di specifico interesse per questo studio – dal rispetto del diritto internazionale in genere[5]. E, trattandosi in tesi di parametri – per dir così – “indipendenti” l’uno dall’altro, non si vede perché mai debba comunque darsi per sistema la precedenza all’uno in rapporto agli altri.
Se ci si pensa, poi, anche poi a stare al secondo ordine di idee, quello ormai affermatosi, secondo cui il diritto sovranazionale può far luogo a legittime alterazioni del quadro costituzionale, ugualmente l’esame delle questioni riguardanti l’osservanza del diritto stesso non dovrebbe in ogni caso precedere quello della osservanza del riparto costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni. E ciò, per la ovvia considerazione che le alterazioni suddette restano pur sempre un fatto assolutamente eccezionale, di cui si ha – come si sa – riscontro unicamente laddove la disciplina dell’Unione individui il livello istituzionale al quale deve aver luogo l’attuazione della disciplina stessa. Una evenienza, come si sa, già verificatasi ma, appunto, in via eccezionale[6].
Sta, insomma, al giudice delle leggi decidere di volta in volta quale sia il modo più conveniente di risolvere questioni “complesse”, nel senso qui indicato. Avendo sentore della possibile deroga al quadro costituzionale delle competenze da parte del diritto “eurounitario”, gli converrà far subito luogo all’esame della questione di “comunitarietà” con precedenza rispetto ad ogni altra; in caso contrario, potrà, volendo, ugualmente far luogo all’esame di tale questione in via prioritaria, così come, però, regolarsi diversamente.

 

2.La distinzione tra i ricorsi presentati dallo Stato e quelli delle Regioni e i riflessi che possono aversene in merito all’esame delle questioni “complesse”

A ben vedere, tuttavia, non è che il giudice delle leggi abbia davvero sempre – come a prima impressione parrebbe – le mani totalmente libere circa la scelta dell’ordine giusto col quale far luogo allo scrutinio della costituzionalità (in senso largo, comprensivo della “comunitarietà”) delle norme oggetto di ricorso.
Va infatti distinto il caso di ricorso presentato dallo Stato da quello presentato dalla Regione[7]. Dal momento che quest’ultima, a stare alla giurisprudenza ormai invalsa[8], è abilitata a rivolgersi alla Corte unicamente a presidio della propria sfera di competenze e può dunque far riferimento a parametri costituzionali diversi da quelli relativi al riparto delle competenze stesse alla sola condizione che se ne abbia comunque l’incidenza a carico di quest’ultimo[9], se ne ha che, in caso di questioni “complesse” (nel senso sopra detto) proposte dalla Regione, l’esame non può che riguardare, a un tempo, la questione di “comunitarietà” e quella di costituzionalità (stricto sensu).
Quanto poi ai ricorsi presentati dallo Stato, possono darsi due evenienze. La prima è sostanzialmente coincidente rispetto a quella da ultimo presa in considerazione (e coincidente è dunque la relativa soluzione), l’invasione della competenza statale risultando per il fatto stesso della violazione del diritto dell’Unione. La seconda è che la violazione dell’un parametro costituzionale sia un fatto del tutto indipendente da quella dell’altro[10]; ed allora, come si faceva poc’anzi osservare, il giudice potrebbe scegliere a quale delle due questioni dare la precedenza rispetto all’altra, segnatamente in applicazione del criterio della maggiore aspettativa di possibile caducazione[11].
Questa, in via di principio, parrebbe essere la soluzione giuridicamente più lineare; ma, è anche la più conveniente?

 

3.Certezza del diritto, a salvaguardia della primauté del diritto sovranazionale, ed opportunità che si faccia comunque luogo all’esame delle questioni di “comunitarietà”

E, invero, se si riconsidera la vicenda ora fatta oggetto di rapido studio in prospettiva assiologicamente orientata, parrebbero aversi ulteriori argomenti a sostegno dell’idea che giovi comunque prendere in esame le questioni di “comunitarietà”, non importa se con precedenza rispetto a quelle di costituzionalità (in ristretta accezione) ovvero congiuntamente e persino posteriormente ad esse.
Mi riferisco, in particolare, al rilievo assegnato dalla stessa giurisprudenza al valore della certezza del diritto, nelle sue peculiari espressioni al piano dei rapporti tra diritto sovranazionale e diritto interno.
Come si sa, è proprio in ragione del valore suddetto che il giudice delle leggi ha ritenuto, ormai quasi vent’anni addietro, di spianare la via ai ricorsi in via principale avverso leggi sospette di contraddire norme (ieri comunitarie ed oggi) “eurounitarie”, persino laddove queste ultime dovessero apparire suscettibili d’immediata applicazione. E l’ha fatto espressamente rammentando l’impegno assunto in sede “comunitaria” a rimuovere alla radice e con effetti erga omnes ogni norma interna lesiva del diritto sovranazionale. Il giudice costituzionale ha, insomma, mostrato di condividere la preoccupazione nutrita in ambiente “eurounitario” circa possibili, ancorché circoscritte, violazioni del diritto sovranazionale, suscettibili di sfuggire al pur oculato controllo svolto dagli operatori nazionali (e, segnatamente, dai giudici comuni).
Ora, non è di qui ragionare dell’interna coerenza di un siffatto modo di vedere le cose che – come si vede – parrebbe portare diritto ad ammettere che il meccanismo di ripianamento delle antinomie tra diritto interno e diritto sovranazionale imperniato sulla “non applicazione” del primo accompagnata dalla contestuale applicazione del secondo risulti essere pur sempre carente o, diciamo pure, “rischioso” e – a ragionare in quest’ordine di idee – presenti, a quanto pare, minori vantaggi del sindacato accentrato svolto dal giudice costituzionale, il solo abilitato ad estirpare le norme interne “malate” sin dalle radici, una volta per tutte e con effetti generali[12].
Sta di fatto che – come si diceva – la sola giustificazione possibile a sostegno della impugnazione in via principale delle leggi sospette d’incompatibilità con norme sovranazionali self-executing è quella che fa appunto appello al valore della certezza, nel suo porsi al servizio della primauté del diritto dell’Unione.
Così stando le cose, a me pare che della verifica della compatibilità delle leggi rispetto ai parametri “comunitari” convenga non fare comunque a meno; e ciò persino nel caso che l’esame della questione di “costituzionalità” (nella ristretta accezione sopra indicata) dovesse essere accolta e si possa perciò – volendo – far luogo alla tecnica di assorbimento dei vizi, della quale nondimeno – come si sa – non si ha sempre utilizzo, pur in presenza di vizi già accertati in capo alla norma oggetto di sindacato[13].
La ragione è presto spiegata; ed è che non può escludersi in partenza l’eventualità che la medesima norma risulti prodotta tanto da una legge statale quanto da una regionale e – ciò che, forse, ancora più importa – da più leggi regionali, alle quali il Governo non di rado (e sia pure discutibilmente) riserva un diverso trattamento in sede di controllo; ed allora se – com’è ovvio – non è indifferente il fatto che la produzione stessa avvenga nel rispetto del riparto costituzionale delle competenze (da parte, cioè, della sola legge a ciò abilitata), resta pur sempre di cruciale rilievo accertare che la norma stessa (non la fonte[14]) sia appieno rispettosa del diritto sovranazionale[15]. La Corte, in tal modo, renderebbe un servizio prezioso agli operatori (e, segnatamente, ai giudici comuni), in sede di eventuale, ulteriore vaglio della medesima questione di “comunitarietà” che, a seguito del giudizio conclusosi presso la Consulta, dovesse essere posta agli operatori stessi[16].

 

4.Una duplice notazione finale, con riguardo alle peculiari movenze della tecnica dell’assorbimento dei vizi nelle sue possibili applicazioni alle questioni “complesse” ed all’uso discontinuo e scarsamente motivato degli strumenti processuali

Una duplice, succinta notazione finale.
La prima. Le questioni di costituzionalità (in larga accezione) sono pur sempre – come si sa “tagliate” in un certo modo, in ragione del parametro evocato in campo, dell’oggetto del giudizio, dei vizi denunziati e di quant’altro ne dà la conformazione complessiva. Se viene lamentata la mera invasione della sfera di competenze del ricorrente, nulla – com’è chiaro – è richiesto alla Corte di dire sulla medesima norma di legge in relazione a parametri diversi da quello che ha riguardo al riparto costituzionale delle competenze stesse. Se però viene contemporaneamente denunziata anche la violazione del diritto sovranazionale è quanto meno opportuno, laddove pure non si reputi giuridicamente imposto, estendere il sindacato alla questione di “comunitarietà”. È vero che – come si è venuti dicendo – la tecnica dell’assorbimento dei vizi ha qui pure modo di spiegarsi con ampiezza di raggio ed incisività d’intervento; forse, però, nello specifico ambito di esperienza al quale prendono corpo le relazioni interordinamentali (e, segnatamente, col diritto dell’Unione), è doveroso ammettere che essa si esprima con peculiarità di movenze e risulti pertanto sollecitata a non trascurare in ogni caso l’esame delle questioni di “comunitarietà”. È così, infatti, che il giudice delle leggi può, a un tempo, offrire al meglio un servizio agli operatori di diritto interno e prestare il suo fattivo concorso all’integrazione sovranazionale ormai avanzata, tanto più nella presente stagione in cui, recependo una sollecitazione vigorosamente avanzata da numerosa dottrina, ha finalmente dato mostra di voler “dialogare” in prima persona col giudice dell’Unione avvalendosi dello strumento del rinvio pregiudiziale anche in giudizi diversi da quelli promossi in via d’azione[17].
Il secondo rilievo, che riguarda anche (ma non solo) questo caso, si riferisce alla sensazione di disagio che, ad esser franco, avverto ogni volta che assisto a bruschi cambiamenti di rotta nella giurisprudenza costituzionale su questioni relative a norme sulla normazione e a strumenti processuali.
Nel caso, appena richiamato, del ricorso in via pregiudiziale al giudice dell’Unione bene ha fatto, ad opinione mia e di molti altri studiosi, il giudice costituzionale ad innovare al proprio precedente orientamento; proprio però perché si era al riguardo in precedenza manifestata una secca chiusura al “dialogo” con la Corte dell’Unione, perlomeno un supplemento di ulteriore argomentazione a sostegno del nuovo ed opposto avviso sarebbe stato assolutamente necessario[18].
Così pure nel caso che ha dato lo spunto per questa succinta riflessione, laddove il mutamento d’indirizzo registratosi nel 2008 e qui risolutamente confermato non appare sorretto da un adeguato apparato di argomenti che ne diano la giustificazione.
Non si sta ora a dire a quali condizioni ed entro quali limiti possa aversi un mutamento d’indirizzo giurisprudenziale; è tuttavia fin troppo evidente e in modo insistito fatto notare dalla più sensibile dottrina che la Corte non può farvi luogo senza enunciare le ragioni che la inducano ad innovare rispetto a se stessa. Come potrà altrimenti sottrarsi alla critica di fare un uso autoritativo dei poteri di cui dispone al servizio della legalità costituzionale?

[1] In Giur. cost., 6/2008, con nota di M.P. Iadicicco, Violazione del riparto costituzionale delle competenze e rispetto degli obblighi comunitari: questioni processuali e possibile contrasto tra parametri del giudizio di legittimità costituzionale in via principale, 4397 ss.

[2] In Giur. cost., 6/2005, con nota di R. Calvano, La Corte costituzionale “fa i conti” per la prima volta con il nuovo art. 117 comma 1 Cost. Una svista o svolta monista della giurisprudenza costituzionale sulle “questioni comunitarie”?, 4436 ss., nonché A. Celotto, La Corte costituzionale finalmente applica il 1° comma dell’art. 117 Cost. (in margine alla sent. n. 406 del 2005), in Giur. it., 2006, 1123 ss., e C. Napoli, La Corte dinanzi ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”: tra applicazione dell’art. 117, primo comma e rispetto dei poteri interpretativi della Corte di Giustizia, in Le Regioni, 2-3/2006, 483 ss.

[3] Riferimenti in A.O. Cozzi, La legge “salva Tocai” davanti alla Corte costituzionale: “i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” non scattano, ma i parametri si integrano, in Le Regioni, 1/2009, 149 ss.

[4] … sempre che – secondo dottrina e giurisprudenza corrente – non risultino incisi i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale (i c.d. “controlimiti”). La qual cosa, in relazione all’ambito materiale qui rilevante, dovrebbe richiedere accertamenti assai disagevoli e problematici negli esiti, ove si assuma in partenza che il riparto in parola realizza per tabulas la sintesi ottimale tra i valori fondamentali di unità-indivisibilità e di autonomia o, ad essere ancora più precisi, una sintesi interna ad un solo valore nelle sue varie proiezioni nell’esperienza, quello della promozione dell’autonomia – la massima possibile alle condizioni oggettive di contesto – nella unità ovvero, rovesciando i termini della relazione (ma lasciando immutato l’esito dell’operazione condotta), quello della salvaguardia dell’unità attraverso la promozione dell’autonomia.

[5] Possono tuttavia darsi, come si sa, casi di reciproca interferenza tra gli obblighi “comunitari” – se vogliamo seguitarli a chiamarli (impropriamente) così – e gli obblighi internazionali, avuto specifico riguardo alla non remota eventualità di sostanziale coincidenza delle norme da cui gli uni e gli altri discendono; la qual cosa è di speciale interesse al piano della salvaguardia dei diritti fondamentali (ma, di ciò, in altra sede).

[6] Indicazioni nello scritto di M.P. Iadicicco dietro cit., 4404.

[7] È interessante notare che in tutti i casi decisi con le pronunzie sopra richiamate, compreso dunque quello definito dalla pronunzia che si va annotando, ricorrente era lo Stato.

[8] … per discussa (e discutibile) che sia (riferimenti su questa annosa questione, di recente, in AA.VV., I ricorsi in via principale, Giuffrè, Milano 2011).

[9] Fa storia a sé il riconoscimento della facoltà di ricorso, operato a beneficio delle Regioni, in vista della salvaguardia dell’autonomia degli enti infraregionali, laddove il filo che lega l’autonomia stessa a quella della Regione parrebbe ormai essersi fatto talmente sottile da potersi dubitare della sua capacità di tenuta (ma di ciò in altri luoghi).

[10] Ovviamente, potrebbe darsi altresì il caso che si abbia la sola violazione del diritto sovranazionale. Si sarebbe, perciò, in presenza di una questione “semplice” (non “complessa”), come tale ai nostri fini irrilevante.

[11] Come si accennava poc’anzi, non si ha tuttavia al riguardo una regola fissa, sistematicamente osservata. Molti sono, infatti, come si sa, i casi in cui dopo aver rilevato l’infondatezza di una questione, passando ad altra, la Corte decide per l’accoglimento, e viceversa.

[12] Ho più volte (e sotto diversi angoli visuali) ragionato attorno a talune aporie di costruzione a mia opinione riscontrabili nel complessivo modo d’intendere e risolvere le antinomie tra diritto sovranazionale e diritto interno [con specifica attenzione ai profili ora in rilievo, v., volendo, il mio Le leggi regionali contrarie a norme comunitarie autoapplicative al bivio fra “non applicazione” e “incostituzionalità” (a margine di Corte cost. n. 384/1994), in Riv. it. dir. pubbl. com., 1995, 469 ss.].

[13] In merito alle applicazioni, assai varie (e non sempre concordanti), fatte della tecnica in parola, v., ora, lo studio monografico di A. Bonomi, L’assorbimento dei vizi nei giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale, Jovene, Napoli 2013.

[14] … salvo il caso, cui si è fatto dietro cenno, che lo stesso diritto dell’Unione indichi qual è il livello istituzionale congruo alla sua attuazione in ambito interno.

[15] È appena il caso di rilevare che, in presenza di norme che si ripetano con identità di tratti complessivi in più atti, la Corte potrebbe far luogo alla dichiarazione d’illegittimità “conseguenziale”, per quanto anche di siffatto strumento si sia fatto (e si seguiti a fare) un uso alquanto discontinuo ed oscillante (riferimenti, per tutti, in A. Morelli, L’illegittimità conseguenziale delle leggi. Certezza delle regole ed effettività della tutela, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008).

[16] La qual cosa non equivale a dire che l’eventuale verdetto di rigetto della questione di “comunitarietà” esprima un vincolo insuperabile per gli operatori (perlomeno a stare alla tesi ormai invalsa, nella quale nondimeno non mi riconosco, secondo cui le sentenze della specie in parola sarebbero inidonee a produrre effetti generali). Nulla, pertanto, osta a che i giudici comuni (e gli operatori in genere) possano determinarsi diversamente rispetto alla Corte, assumendo essere la norma interna incompatibile rispetto al diritto sovranazionale. È nondimeno indubbia l’efficacia (quanto meno…) persuasiva di cui sono dotati i verdetti in parola. Dal mio canto, consiglierei ad un giudice che ritenga di doversi discostare dall’avviso manifestato dal giudice costituzionale (nel caso, ovviamente, che sia ospitato da una decisione di rigetto), prima di sollevare nuovamente la medesima questione di “comunitarietà” dapprima respinta (per violazione di norme sovranazionali non self-executing) ovvero di far luogo alla “non applicazione” della norma nazionale, di adire la Corte di giustizia in via pregiudiziale. Tanto più giustificata appare questa soluzione sol che appunto si consideri che qui si tratta, in tesi, di non tener conto dell’autorevole orientamento manifestato in ordine all’antinomia dal giudice delle leggi.

[17] … e, segnatamente, in quelli in via incidentale, come s’è fatto con Corte cost. n. 207 del 2013 (e, su di essa, tra gli altri, i commenti di U. Adamo, Nel dialogo con la Corte di giustizia la Corte costituzionale è un organo giurisdizionale nazionale anche nel giudicio in via incidentale. Note a caldo sull’ord. n. 207/2013, in www.forumcostituzionale.it, 24 luglio 2013, pure ivi, B. Guastaferro, La Corte costituzionale ed il primo rinvio pregiudiziale in un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale: riflessioni sull’ordinanza n. 207 del 2013, 21 ottobre 2013, nonché V. De Michele, L’ordinanza “Napolitano” di rinvio pregiudiziale Ue della Corte costituzionale sui precari della scuola: la rivoluzione copernicana del dialogo diretto tra i Giudici delle leggi nazionali ed europee, in www.europeanrights.eu, e G. Repetto, La Corte costituzionale effettua il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE anche in sede di giudizio incidentale: non c’è mai fine ai nuovi inizi, in www.diritticomparati.it, 28 ottobre 2013).

Resta, poi, da chiarire se l’apertura possa considerarsi estesa a tutto campo, in relazione cioè ad ogni competenza della Corte, ovvero se possano darsi casi in cui lo strumento del rinvio si riveli inutilizzabile (ma, di ciò in altro luogo).

[18] Torna qui in rilievo la somma questione concernente la sufficienza della motivazione delle decisioni della Corte, quale condizione della loro stessa esistenza e, perciò, della possibile attivazione della “copertura” di cui all’art. 137, ult. c., cost. Anche di ciò, tuttavia, non è possibile dir nulla in questa sede.