I diritti degli omosessuali e la comparazione giuridica (riflettendo su La tutela della vita familiare delle coppie omosessuali nel diritto comparato, europeo e italiano, di Raffaele Torino)
Il volume di Raffaele Torino su La tutela della vita familiare delle coppie omosessuali nel diritto comparato, europeo e italiano (Torino, Giappichelli 2012) rappresenta una lettura obbligata per chiunque voglia affrontare le complesse questioni legate al riconoscimento dei diritti degli omosessuali nel nostro ordinamento.
Il libro, peraltro, si inserisce nel quadro della riflessione che l’autore conduce, ormai da anni, sul tema delle trasformazioni dei modelli familiari e che ha già prodotto scritti di rilievo (dalla monografia su Nuovi modelli familiari. Il diritto di essere genitori, Roma, Aracne 2003 fino al più recente volume, che raccoglie gli atti di un seminario animato nel giugno 2012 dallo stesso autore, su Le coppie dello stesso sesso: la prima volta in Cassazione, RomaTrE-Press, 2013).
In particolare, il volume qui recensito offre un quadro completo del dato normativo (e giurisprudenziale) offerto dall’esperienza comparata, con un panorama che spazia dalle esperienze degli stati europei che già riconoscono diritti alle coppie formate da persone dello stesso sesso, alle principali esperienze extraeuropee, per giungere all’ordinamento dell’Unione europea, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed infine alla problematica situazione italiana.
La prima riflessione suscitata dal volume riguarda, pertanto, le virtualità dispiegate, anche in questo ambito, dal ricorso alla comparazione giuridica, che non rappresenta soltanto un mero ausilio di carattere “preparatorio” (o de jure condendo) all’operatore giuridico interno, come pure è nella tradizione del metodo comparativo.
Se, infatti, la comparazione mantiene, almeno in parte, una importante funzione “ancillare” rispetto allo studio delle risposte a nuove istanze di giustizia, non può negarsi che, quando ad essere coinvolti siano aspetti legati alla protezione dei diritti fondamentali e, dunque, in ultima analisi, all’allargamento di spazi di libertà, il ricorso al metodo comparativo contribuisca ad arricchire in maniera decisiva i percorsi di riconoscimento di differenti itinerari di esperienza e vita e, con essi, la costruzione dei processi di integrazione della comunità politica che ruotano attorno alla Costituzione. Peraltro, quando ad essere investiti dallo sforzo comparativo sono temi di questo genere, finisce per assottigliarsi – e proprio il volume di Torino lo dimostra – gli stessi tradizionali confini tra la comparazione pubblicistica e quella privatistica, per fare spazio al gesto comparativo interpretato e vissuto, in tutta la sua complessità, come movimento di apertura all’esperienza.
Come riconosciuto dallo stesso autore in un passo del volume, infatti, uno degli aspetti fondamentali di ogni ricerca sul tema dei diritti degli omosessuali – in particolare, quando si tratti dei diritti in ambito familiare – resta la valorizzazione della “effettiva esperienza di vita” personale e familiare degli omosessuali (p. 17): solo attraverso simile valorizzazione, possiamo aggiungere, è infatti possibile ammorbidire, sulla via del riconoscimento, la rigidità di consolidati modelli di analisi degli istituti di diritto familiare, che spesso risentono di precomprensioni particolarmente sensibili agli assetti sociali tradizionali, e molto meno al rilievo di pratiche di autodeterminazione affettiva che tentano di imprimere una diversa direzione al tempo della convivenza civile e sociale. Se questo è l’obiettivo, la comparazione rappresenta un’occasione per percorrere più in profondità gli itinerari del riconoscimento: in altre parole, allargare lo sguardo verso altre esperienze giuridiche aiuta ad illuminare, su molteplici livelli, la coscienza di sé attraverso il confronto con l’altro e, soprattutto, conduce, nel nostro caso, ad una revisione critica del livello di integrazione raggiunto dall’ordinamento italiano con riferimento al tema dei diritti degli omosessuali.
Il quadro restituito dall’analisi comparativa condotta da Torino è ricco e complesso, e mostra plasticamente l’estrema varietà di soluzioni e aggiustamenti raggiunti, nel mondo, con riguardo al riconoscimento della pluralizzazione dei modelli familiari: con l’effetto, anzitutto, di sdrammatizzare e relativizzare molti dei luoghi comuni che soffocano, in Italia, il dibattito pubblico su questi temi (come, ad esempio, il presunto effetto nocivo del riconoscimento delle “altre” famiglie sulla tenuta dei modelli familiari tradizionali).
Inoltre, l’analisi condotta nel volume contribuisce ad alleggerire molte delle preoccupazioni legate alla capacità dei testi costituzionali di riconoscere ed offrire copertura a nuovi modelli familiari. In particolare, merita di essere sottolineata la lucidità con la quale l’autore afferma, in apertura del volume, che la nozione giuridica di famiglia “non è, né deve rappresentare, un dogma intoccabile, ma una formazione sociale al servizio dell’individuo”, ancorando poi tale (solidissima e pienamente condivisibile) posizione al rilievo centrale del riconoscimento giuridico dell’affettività come perno dei percorsi di libero svolgimento della personalità che fanno capo all’istituto familiare (p. 23).
Mi sembra, questo, un passaggio davvero decisivo, al momento di riflettere sulle diverse interpretazioni della garanzia costituzionale dell’istituto matrimoniale, che si lega a doppio filo alla già sottolineata rilevanza del metodo comparativo: di nuovo, la comparazione tra esperienze giuridiche si allarga alla comparazione tra i diversi approcci degli ordinamenti al riconoscimento dei percorsi di vita ed affettività degli omosessuali, invitando l’osservatore a riflettere sulla necessità di ripensare il processo di integrazione della comunità politica articolato attorno alla Costituzione a partire dalla capacità di immaginare – secondo il fondamentale insegnamento di Martha Nussbaum – la concreta situazione di vita degli omosessuali che chiedono il riconoscimento delle proprie scelte in materia affettiva e familiare. Ad uscire profondamente arricchita da questo viaggio attraverso le “altre” declinazioni del riconoscimento è, in definitiva, la stessa immagine della persona umana accolta dalla Costituzione, che può e deve allargarsi a ricomprendere – ormai senza infingimenti – anche la dimensione di esistenza rappresentata dall’orientamento omosessuale.
Attenzione alla concreta situazione di vita e interpretazione dell’istituto familiare a partire dalla persona (e non dal dogma) rappresentano dunque, come ben dimostra l’analisi di Torino, il punto di partenza irrinunciabile per riflettere sulla portata della discriminazione che continua a realizzarsi, nel nostro ordinamento, in ragione del mancato riconoscimento di diritti in ambito familiare agli omosessuali. È infatti indubbio che, una volta raggiunto l’obiettivo della libertà sessuale (almeno in ambito strettamente giuridico), la questione del riconoscimento dei diritti in ambito familiare si sposta dal piano della libertà al piano dell’eguaglianza (p. 24); ma è altrettanto vero, e non può essere dimenticato, che per la nostra Costituzione l’eguaglianza si declina anzitutto come pari dignità sociale e, di conseguenza, il principio di non discriminazione va inteso anzitutto come eguale diritto all’affermazione della propria differenza. Con riferimento al matrimonio, in particolare, la prospettiva di analisi deve rimanere salda sulla pari dignità del desiderio di famiglia e sulla conseguente portata discriminatoria della restrizione dell’accesso al matrimonio alle sole coppie formate da persone dello stesso sesso (p. 35).
Nel volume di Torino, tale prospettiva resta salda (cfr. pp. 270-271), pur nella coscienza della pluralità di soluzioni e di esperienze, così come delle questioni ancora aperte (su tutte, il rapporto tra giudice e legislatore) e dei molteplici aggiustamenti che possono eventualmente rendersi necessari, nel divenire storico e secondo la concreta articolazione del dibattito pubblico in materia, al fine di garantire l’obiettivo finale del pieno riconoscimento dell’uguale dignità dei percorsi di vita: in questa coerenza, forse, il miglior insegnamento del volume, e senz’altro la sfida che il costituzionalista è chiamato a raccogliere.