Pubblico Ministero Europeo: va in scena la lotta sulla sussidiarietà tra Commissione e Parlamenti nazionali
Con una Comunicazione che rappresenta un ampio documento di analisi, la Commissione europea ha replicato alle osservazioni avanzate da un nutrito gruppo di Parlamenti nazionali avverso la Proposta di regolamento che istituisce l’Ufficio del Pubblico Ministero europeo.
Del warning avanzato dai Parlamenti nazionali avevamo dato notizia in un procedente post, notando che si trattava del secondo caso di veto dei Parlamenti nazionali ad una proposta della Commissione, dopo quello che aveva affossato la Proposta di regolamentazione del diritto di sciopero. In quell’occasione, la proposta della Commissione era di fatto decaduta. In questo caso, invece, la Commissione opta per il mantenimento della propria Proposta di regolamento, senza accogliere nemmeno prospettive di parziale modifica della normativa. Sembra chiaro, dalla lettura della Comunicazione, che la Commissione intenda incanalare la misura all’interno di un sistema di cooperazione rafforzata, aggirando le resistenze degli Stati.
La ferma posizione della Commissione va ricondotta alla volontà di procedere verso l’istituzione di un Ufficio che risponde all’esigenza di tutelare anzitutto gli interessi dell’Unione rispetto a reati di frode comunitaria. Ma non c’è dubbio che sul suo fermo convincimento abbia influito anche l’intenzione di non avallare la trasformazione dello strumento del Warning sulla sussidiarietà in un potere di veto assoluto, nelle mani dei Parlamenti nazionali, in grado di ostacolare l’indirizzo della Commissione. Ne è una testimonianza l’enfasi posta dalla Commissione sulla natura dello strumento del Warning, che, ricorda la Commissione, dovrebbe servire soltanto ad evidenziare le violazioni del principio di sussidiarietà, e non anche ad avanzare obiezioni di ordine generale sulle misure contenute nelle Proposte normative.
Ma ovviamente, la stessa Commissione è consapevole che, così come è stato congegnato dal TUE, specie con riferimento al suo affidamento alle istituzioni parlamentari, lo strumento del Warning, lungi dal rappresentare un mero contributo tecnico sul rispetto dei canoni della sussidiarietà (ammesso che sia davvero possibile formalizzarli…), finisce per coinvolgere valutazioni di opportunità circa l’intensità dello strumento normativo, l’opportunità della regolazione, il livello di ingerenza nella struttura interna degli Stati.
Nel caso di specie, se le reazioni dei Parlamenti nazionali dovessero trovare sponde nel Parlamento europeo, la sorte della Proposta di Regolamento non sarà delle migliori anche nella forma della cooperazione rafforzata ristretta a un minor numero di Stati. Ma la battaglia sull’intepretazione e sull’efficacia politica dello strumento del Warning, senz’altro il più innovativo introdotto dal Trattato di Lisbona, appare davvero entusiasmante. Personalmente, resto convinto che il Warning, anche quando rappresenterà, come in questo caso, un strumento di resistenza rispetto a condivisibili avanzamenti dell’integrazione europea, contribuirà comunque alla maturazione di una opinione pubblica europea e di un dialogo politico sui temi reali dell’agenda europea, fino ad ora abbandonati alla retorica populista antieuropea.