La storia infinita e il reato di negazionismo

Ciclicamente ci si riprova. Ancora una volta, il Parlamento italiano si ritrova a discutere dell’opportunità e/o della necessità (pratica o politica) di introdurre all’interno dell’ordinamento giuridico la previsione del reato di negazionismo. Tale fattispecie penale, presente nell’arsenale giuridico di numerosi paesi europei, prevede la punizione, mediante la privazione della libertà personale, della condotta del negare, giustificare, banalizzare determinati eventi criminosi, come il genocidio, altri crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. In questo contesto sanzionatorio, l’Italia sembra quasi una mosca bianca, distinguendosi proprio per l’assenza di qualunque disciplina giuridica di tale condotta (anche se questo non ha impedito alle Corti di condannare i negazionisti per il reato di discriminazione razziale). Nonostante tale assenza, non è mancato un acceso e vivace dibattito sull’opportunità di prevedere tale reato. I contendenti, da un lato, si proclamano a favore della regolamentazione (in questo senso ovviamente il Governo e le associazioni ebraiche), dall’altro, invece, si ergono a difensori della libertà di manifestazione del pensiero, che risulterebbe palesemente violata dalla previsione del reato di negazionismo (così, le associazioni degli storici). Già nel 2007 i media avevano diffuso la notizia che l’allora Ministro della Giustizia Clemente Mastella, per mettere l’Italia alla pari con gli altri ordinamenti europei, intendeva proporre un disegno di legge che avrebbe previsto la condanna alla pena della reclusione, per chi avesse negato l’esistenza storica della Shoah. Il governo Prodi avrebbe dovuto presentare questo progetto di legge al Parlamento proprio il giorno della memoria, scelta questa di indubbio impatto emotivo e simbolico. A tale notizia fece ben presto seguito un accorato appello firmato da un gruppo nutrito di storici italiani poi presentato al Consiglio dei ministri il 26 gennaio 2007. Dall’appello emergeva la – peraltro condivisa da chi scrive – preoccupazione che il negazionismo rappresentasse un problema culturale, sociale e politico di grande rilevanza. Preoccupazione ancora maggiore era manifestata nei confronti del tentativo di trovare una soluzione a tale problematica attraverso lo strumento penale che costituisce l’extrema ratio sanzionatoria all’interno di qualsiasi ordinamento che si proclami democratico.


L’appello degli storici ebbe successo e dal ddl presentato poi al Senato della Repubblica il successivo 5 luglio, era scomparsa qualunque traccia del supposto reato di negazionismo (si veda il disegno di legge recante: “Norme in materia di sensibilizzazione e repressione della discriminazione razziale, per l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654”).

Durante la XVI legislatura è stato presentato al Senato un disegno di legge di iniziativa parlamentare che, ancora una volta, avrebbe modificato l’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654 (ddl S. 3511) aggiungendo la lettera b-bis, secondo la quale sarebbe stato punito con la pena della reclusione fino a tre anni chiunque, con comportamenti idonei a turbare l’ordine pubblico o che costituiscano minaccia, offesa o ingiuria, avesse fatto apologia dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale.

Assegnato in sede deliberante alla Commissione Giustizia, la discussione del ddl incontrò una sorta di stallo che divise sia la sinistra che la destra tanto da determinare la richiesta di rimessione all’Assemblea. L’interruzione della legislatura ne impedì l’esame in sede referente.

Un gruppo di senatori appartenenti a tutte le proprie forze politiche (prima firmataria la senatrice Amati), il 15 marzo 2013 ha presentato al Senato il disegno di legge S 54 riportante “Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”. Tale disegno di legge prevedeva, ancora una volta, l’introduzione del reato di negazionismo, mediante l’inserimento di una lettera b-bis, secondo la quale sarebbe stato punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 10.000 euro chiunque avesse posto in essere attività di apologia, negazione, minimizzazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, o propagandato idee, distribuito, divulgato o pubblicizzato materiale o informazioni, con qualsiasi mezzo, anche telematico, fondati sulla superiorità o sull’odio razziale, etnico o religioso, ovvero, con particolare riferimento alla violenza e al terrorismo, se non punibili come più gravi reati, fatto apologia o incitato a commettere o commesso atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche mediante l’impiego diretto od interconnesso di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili.

Durante la discussione nella Commissione Giustizia sono tornati al pettine tutti i nodi relativi ai limiti della libertà di espressione e ai pericoli legati alla costruzione di fattispecie di reati di opinione, che vanno dal rischio di introdurre una sorta di quantificazione per legge delle vittime della persecuzione antiebraica, che è invece oggetto di discussione storica a seconda dei criteri adottati per il calcolo, all’identificazione dell’oggetto del reato di negazionismo, laddove si consideri che mentre nella maggior parte dei paesi che lo hanno introdotto esso si riferisce unicamente alla Shoah, in tre di questi esso si riferisce alla negazione di qualsiasi fenomeno analogo, con evidenti problemi anche di definizione storica, dall’idea che quella che si intende sanzionare è una fattispecie caratterizzata da scarsa tassatività, essendo difficile cosa si possa intendere per negazione o minimizzazione, al rischio di soffocare, giurisdizionalizzandolo, il dibattito storico rispetto a qualunque evento del tipo di quelli sanzionati.

I toni della discussione si scaldano all’avvicinarsi del 16 ottobre, data in cui ricorre il settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei romani. Il Presidente del Senato, acquisito il consenso dei Gruppi parlamentari, al fine anche di dare un chiaro segnale di sensibilità da parte del Senato in ordine tanto all’importanza di tale ricorrenza, quanto alla gravità delle tensioni verificatesi a seguito della pubblicazione del cosiddetto “testamento spirituale” di Erich Priebke e dei suoi funerali, decide di riassegnare il provvedimento in sede deliberante alla Commissione. Provvedimento, peraltro, la cui nuova formulazione approvata precedentemente dalla Commissione in sede referente è talmente ampia e generica da consentire perfino l’incriminazione per opinioni espresse durante una conversazione “salottiera”: manca infatti qualunque riferimento al fatto che la negazione abbia ad oggetto l’effettiva commissione di crimini di genocidio e contro l’umanità e che sia espressa pubblicamente, ma soprattutto manca la previsione dell’elemento di dolo specifico, da intendersi quale scopo di realizzare in maniera efficace un incitamento all’odio razziale, etnico o religioso.

Immediate le reazioni alla decisione del Presidente del Senato di proseguire la discussione del disegno di legge in sede deliberante, cui ha fatto seguito la richiesta di rimessione all’Assemblea supportata prevalentemente da senatori del Movimento 5 Stelle, richiesta che raggiunge il numero minimo necessario prescritto dal Regolamento del Senato per la rimessione all’Assemblea.

Il disegno di legge è ora all’esame dell’Assemblea, che si ritrova quindi a dover fare i conti con una disciplina profondamente differente da quella originaria (ddl 54 A): è prevista la modifica dell’art. 414 del codice penale mediante l’inserimento di uno specifico comma che incrimina la condotta di chi nega l’esistenza di tali crimini. Inoltre, è prevista una circostanza aggravante che determina l’aumento della pena della metà per chi compie istigazione o apologia dei crimini di genocidio o contro l’umanità.

Nonostante l’apparente tentativo di salvaguardare comunque la libertà di ricerca storica, la previsione di un reato di negazionismo o anche solo di una circostanza aggravante non abbandona l’arena di un dibattito ormai senza via d’uscita. Se secondo Jean Paul Sartre la libertà di espressione non può essere utilizzata come strumento per argomentare l’odio contro le minoranze e la negazione della Shoah, è anche vero che normative antinegazionismo non fanno altro che conferire un’aura di martirio ai gruppi e discorsi razzisti e antisemiti. Ancora una volta, si tratta di una battaglia che non deve essere combattuta sul piano sanzionatorio, ma su quello dell’educazione culturale.