La responsabilità civile dei magistrati: verso una soluzione?

Presso la Commissione per le Politiche comunitarie della Camera si trova attualmente, in sede referente, il disegno di legge relativo alla legge europea 2103-bis (A.C. 1864), nella quale il Governo ha reintrodotto una norma sulla responsabilità civile dei magistrati. Il tema, come si sa, ha toccato nel nostro paese un nodo scoperto del rapporto tra sistema politico e magistratura.

Non potendo ripercorrere in questa sede la complessa vicenda che ha interessato la disciplina italiana sulla responsabilità civile dei magistrati, mi limito a ricordare che l’esigenza di una riforma si è posta con urgenza dopo le sentenze della Corte di Giustizia Köbler (2003) e Traghetti del Mediterraneo (2006). Nella prima, la Corte ha esteso la responsabilità degli stati membri per violazione “manifesta” del diritto comunitario anche all’attività degli organi giurisdizionali di ultima istanza, individuando contestualmente una serie di parametri sulla base dei quali valutare la sussistenza della violazione. Nella seconda, la Corte si è occupata specificamente delle norme della legge italiana che delimitano la responsabilità del giudice: da un lato, escludendola per “l’attività di interpretazione di norme di diritto [e per quella] di valutazione del fatto e delle prove” (art. 2, comma 2, l. n. 117/1988) e, dall’altro, richiedendo per la risarcibilità del danno gli elementi soggettivi del dolo o della colpa grave (art. 2, commi 1 e 3, l. n. 117/1988). Per la Corte di Giustizia, tali norme, insieme a un’interpretazione di esse fortemente restrittiva da parte della Corte di Cassazione, sono incompatibili con il diritto europeo, poiché, rendendo oltremodo gravosa la risarcibilità del danno, pregiudicano l’effettività delle norme europee che attribuiscono determinati diritti ai singoli.


In dottrina, le proposte di riforma si sono mosse tendenzialmente lungo due direttive: un primo orientamento è stato favorevole a una puntuale integrazione della disciplina vigente, con l’introduzione della responsabilità civile per violazione manifesta solo del diritto comunitario e solo da parte dei giudici di ultima istanza. Un secondo orientamento ha propeso invece per una riforma integrale, sostenendo che la giurisprudenza della Corte di Giustizia avesse colpito i pilastri della disciplina vigente.

Il ricorso a un intervento legislativo è diventato ineludibile dopo una nuova sentenza della Corte di Giustizia (Commissione c. Italia, del 24 novembre 2011), pronunciata in seguito a un procedimento di infrazione, con cui l’Italia è stata condannata per non aver provato che le norme in questione – insieme alla relativa giurisprudenza della Cassazione – costituiscono una limitazione e non una forma di esclusione della responsabilità.

Poco dopo quella sentenza, in sede di approvazione della legge comunitaria 2011, il leghista Pini ha avanzato strumentalmente la proposta di un emendamento per introdurre una forma di responsabilità diretta (anziché indiretta) del magistrato, ricollegata alla violazione manifesta del diritto, senza differenziare tra il diritto europeo e il diritto interno. L’emendamento fu allora approvato dal Senato, ma la legge comunitaria 2011 non vide la luce per lo scioglimento anticipato delle Camere. Nel frattempo, il legislatore ha modificato nuovamente la normativa sull’attuazione del diritto dell’Unione europea (l. 234/2012), stabilendo, per evitare gli eccessivi ritardi nell’approvazione della legge comunitaria annuale, la duplice adozione di una legge di delegazione europea e di una legge europea.

È in attuazione di tali norme che il Governo ha presentato il disegno di legge europea 2013 bis. Delle due soluzioni prospettate in dottrina e sopra brevemente descritte, si è data prevalenza alla prima. L’art. 23 del d.d.l. prevede infatti, al comma 1, l’obbligo dello stato di risarcire il danno per violazione “grave e manifesta” del diritto dell’Unione europea (e non anche del diritto interno), soltanto qualora tale violazione sia stata commessa da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado. Quasi a proteggere lo stato da richieste di risarcimento eccessivamente numerose, il comma 1 specifica inoltre che, qualora ne ricorrano i presupposti, devono essere stati esperiti “anche i mezzi straordinari di impugnazione”, come – così specifica la relazione al d.d.l. – la revocazione straordinaria o il ricorso straordinario per errore materiale (in Commissione Giustizia, l’emendamento soppressivo di tale disposizione è stato rigettato). Ancora, il comma 1 stabiliva originariamente il periodo di prescrizione della domanda risarcitoria in tre anni, termine prolungato a cinque anni da un emendamento modificativo, contenuto nel parere favorevole della Commissione Giustizia.

Il comma 2 dell’art. 23 recepisce integralmente i criteri elaborati dalla Corte di Giustizia europea, relativamente alla determinazione della violazione, e cioè il “grado di chiarezza e di precisione della norma violata, [il] carattere intenzionale della violazione, [la] scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, [la] posizione adottata eventualmente da un’istituzione dell’Unione europea, [la] mancata osservanza … dell’obbligo di rinvio pregiudiziale”.

Inutile dire che, prima di pronunciare una parola definitiva su questo argomento, si dovrà attendere l’ulteriore svolgimento dell’iter parlamentare.

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