Causa C-176/12 Association de médiation sociale: la Corte di giustizia rompe (…in parte) il silenzio sugli effetti orizzontali della Carta
Dopo aver evitato, non senza qualche acrobazia, di chiarire in Dominguez (sent. 24 gennaio 2012, Causa C-282/10, non ancora pubblicata nella Raccolta) se le disposizioni della Carta possono avere effetti diretti orizzontali, nella sentenza Association de médiation sociale dello scorso 15 gennaio 2014 la Corte di giustizia ha sostanzialmente risposto a questa domanda con un “sì, ma non in questo caso”. Più precisamente, tali effetti non derivano dalla disposizione al centro del caso di specie: l’art. 27 della Carta, rubricato “Diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa”, secondo cui “Ai lavoratori o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati, l’informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal diritto dell’Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali”.
Dinanzi al giudice nazionale, l’Association de médiation sociale (di seguito, AMS) chiedeva l’annullamento della nomina di uno dei suoi dipendenti con contratto a tempo indeterminato quale rappresentante della sezione sindacale istituita dall’Union des Syndicats CGT Quartiers Nord all’interno di AMS. A sostegno della sua richiesta, l’AMS faceva valere che, essendo solo otto i suoi dipendenti a tempo indeterminato, non era raggiunta la soglia di 50 dipendenti alla quale l’art. L. 2312-1 del Code du travail collega l’obbligo designare detto rappresentante. Dal canto suo, il sindacato evidenziava che all’epoca dei fatti l’AMS aveva oltre cento dipendenti, anche se la maggior parte di essi era assunta sulla base di “contratti di accompagnamento al lavoro” (contrats d’accompagnement dans l’emploi), una tipologia di contratto atipico i cui titolari, secondo l’art. L. 1111-3 del Code du travail, non devono essere considerati nel calcolo degli effettivi di impresa. Dopo varie vicende processuali, tra cui la dichiarazione di conformità alla Costituzione dell’art. L. 1111-3 del Code du travail da parte del Conseil Constitutionnel (adito tramite il meccanismo della questione prioritaria di costituzionalità), la causa giungeva dinanzi alla Cour de Cassation. Questa si trovava a confrontarsi con la tesi dei sindacati circa l’incompatibilità dell’art. L-1111-3 con l’art. 3, par. 1, della Direttiva 2002/14/CE (che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori, G.U. L. 80, p. 29 ss.), il quale, da un lato, determina il numero di lavoratori di un’impresa che fa scattare l’applicazione della Direttiva stessa; dall’altro, lascia agli Stati membri la determinazione delle modalità di calcolo delle soglie di lavoratori impiegati.
Dal momento che la Corte di giustizia aveva già chiarito che tale disposizione “osta ad una normativa nazionale la quale esclude, ancorché temporaneamente, una determinata categoria di lavoratori dal calcolo del numero di lavoratori impiegati ai sensi di tale norma” (cfr. la sent. 18 gennaio 2007, Causa C-385/05 Conféderation générale du travail e a., Raccolta I-611, par. 41, resa, peraltro su richiesta del Conseil d’État francese), l’unico (non marginale) dubbio da sciogliere rimaneva quello relativo alla possibilità di invocare, in una controversia tra privati, una disposizione della Carta (nella specie, come anticipato, l’art. 27), “da sol[a] o in combinato disposto” con le norme di una direttiva che la concretizza, “al fine di disapplicare, se del caso, la norma nazionale non conforme alla (…) citata direttiva” (cfr. i paragrafi 23 e 41 della sentenza AMS). Secondo costante giurisprudenza della Corte, infatti, le direttive non possono produrre effetti orizzontali (cfr., ex multis, la sent. 5 ottobre 2004, Cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., Raccolta I-8835, par. 109).
Peraltro, neanche rispetto all’applicabilità della Carta alla fattispecie concreta sussistevano particolari dubbi, dal momento che, come la Corte precisa, la norma francese controversa è stata adottata per recepire la Direttiva 2002/14/CE; pertanto, essa rientra nell’ambito di applicazione della Carta quale definito dal suo art. 51, par. 1 (sul quale si veda l’interpretazione data dalla Corte di giustizia nella sent. 26 febbraio 2013, Causa C-617/10 Åkerberg Fransson [2013], non ancora pubblicata nella Raccolta, in particolare i paragrafi 17-22, nonché, il post di Filippo Fontanelli https://www.diritticomparati.it/2013/03/fransson-and-the-application-of-the-eu-charter-of-fundamental-rights-to-state-measures-nothing-new-u.html).
L’AG Cruz Villalón si era schierato a favore di un effetto orizzontale della Carta che potremmo definire “mediato”. Dopo aver “sgomberato il campo” dalla tesi secondo cui l’efficacia orizzontale della Carta sarebbe de facto esclusa dalla non menzione degli individui nel suo art. 51, par. 1 (ricorrendo, tra l’altro, all’argomento di diritto comparato secondo cui “la menzione espressa dei privati quali possibili destinatari continua ad essere nettamente minoritaria”: cfr. il par. 30 delle conclusioni e la nota 4), l’AG aveva ritenuto di dover qualificare l’art. 27 della Carta come un “principio” ai sensi dell’art. 52, par. 5, di quest’ultima, ossia una disposizione che può essere invocata dinanzi ad un giudice (UE o nazionale) “solo ai fini dell’interpretazione e del controllo di legalità [degli atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell’Unione, nell’esercizio delle loro rispettive competenze, per dare attuazione a tali principi]”. Ad avviso dell’AG, a favore della qualificazione dell’art. 27 della Carta come “principio” deporrebbero la prevalenza dell’elemento del “mandato ai pubblici poteri” (elemento che, secondo Cruz Villalón, costituisce la principale caratteristica distintiva dei “principi”: cfr. i paragrafi 50 e 51), la natura sociale della garanzia oggetto dell’art. 27 (inserito nel Titolo IV sulla “Solidarietà”: cfr. i paragrafi 52 e 55), nonché il rinvio ai “casi e alle condizioni previsti dal diritto dell’Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali” contenuto nell’art. 27 (cfr. par. 54). Nonostante la lettera dell’art. 52(5) CFR chiaramente precluda il riconoscimento di effetti diretti (anche verticali) dei “principi”, secondo l’AG dovrebbe invece ammettersi la possibilità di invocare (anche) orizzontalmente le disposizioni di una direttiva che “concretizzano in modo essenziale ed immediato” il contenuto di un “principio” della Carta (cfr. i paragrafi 63 e 77-80). Tale sarebbe la natura dell’art. 3, paragrafo 1, della Direttiva 2002/14/CE (par. 66), e pertanto il giudice nazionale dovrebbe disapplicare la disposizione contraria del Code du travail.
E’ certamente da apprezzarsi il tentativo dell’Avvocato generale di chiarire il significato e le implicazioni di una disposizione complessa quale l’art. 52, par. 5, della Carta – un vaso di Pandora la cui apertura la Corte di giustizia, senza dubbio deliberatamente, ha deciso di rimandare (si veda anche il post di Steve Peers, che definisce l’art. 52, par. 5, “a dog that didn’t bark in this judgment”: http://eulawanalysis.blogspot.it/2014/01/when-does-eu-charter-of-rights-apply-to.html). Da un lato, la soluzione proposta da Cruz Villalón valorizzerebbe gli effetti delle disposizioni della Carta (inclusi i “principi”), e limiterebbe i casi in cui attualmente, a motivo dell’esclusione degli effetti diretti orizzontali delle direttive, persone (in ipotesi, lavoratori) che si trovano in situazioni comparabili possono o non possono invocare direttamente una disposizione di una direttiva inattuata o non correttamente attuata a seconda che la controparte sia lo Stato (definito, ormai, in termini molto ampi: cfr., ad esempio, la sent. Dominguez, citata sopra, paragrafi 38 e 39) o un altro privato. Dall’altro lato, tuttavia, non si può negare la ricaduta della proposta dell’AG sul principio di certezza del diritto, a discapito di (altri) privati. Il criterio delle norme che “concretizzano in modo essenziale ed immediato” un “principio” potrebbe non essere esente da margini di incertezza nell’applicazione pratica, e, ad ogni modo, il risultato pratico sarebbe quello di consentire al legislatore UE di adottare direttive che, almeno rispetto ad una parte dei loro contenuti, si applicano direttamente nei confronti di privati. Ed invero l’AG stesso proponeva al contempo una sorta di adattamento della giurisprudenza Francovich (sent. 19 novembre 1991, Cause riunite C-6/90 e C-9/90, Raccolta I-5357), ammettendo la possibilità per il privato che “subisce” l’effetto orizzontale di proporre un’azione di responsabilità nei confronti dello Stato membro che non ha attuato (o ha attuato in modo non corretto) la normativa UE di attuazione di un “principio” (par. 79).
La Corte di giustizia, pur riconoscendo che in alcuni casi la Carta può produrre effetti orizzontali, ha tuttavia seguito un approccio diverso da quello suggerito dall’AG, in linea con la sua giurisprudenza precedente. Il fulcro della sentenza è costituito dai paragrafi 45-49, dove la Corte ha affermato che, mentre il principio di non discriminazione in base all’età di cui all’art. 21, par. 1, della Carta, che veniva in rilievo nella sentenza Kücükdeveci (sent. 19 gennaio 2010, Causa C-555/07, Raccolta I-365), “è di per sé sufficiente per conferire ai singoli un diritto soggettivo invocabile in quanto tale”, l’art. 27 della Carta, invece, “per produrre pienamente i suoi effetti, deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale” (par. 45). Pertanto, solo il primo e non anche il secondo può essere invocato in una controversia tra privati.
Opportuno è poi il chiarimento fornito nel par. 49, in cui la Corte, discostandosi nettamente dall’AG, precisa che nessun effetto orizzontale può essere riconosciuto alle disposizioni della Carta che non contengono di per sé un diritto soggettivo invocabile in quanto tale, neanche laddove esistano delle norme di diritto derivato di attuazione con quel contenuto: “non essendo [l’art. 27 della Carta] di per sé sufficiente per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale, a diverso risultato non porterebbe neppure una sua lettura in combinato disposto con le norme della direttiva [2002/14/CE]”. Che i requisiti per la produzione dell’effetto diretto devono essere soddisfatti dalla fonte primaria di tutela del diritto fondamentale (le disposizioni della Carta o i principi generali), senza ricorrere al combinato disposto con una norma di diritto derivato, si poteva invero già ricavare dalle sentenze Mangold (Causa C-144/04, Raccolta I-9981) e Kücükdeveci (sul punto, sia permesso rinviare ai miei scritti: “Effetti diretti orizzontali dei principi generali…ma non delle direttive che li esprimono? La sentenza della Corte di giustizia nel caso Kücükdeveci”, in Rivista di diritto internazionale, 2010, 443-449, e “Gli effetti diretti orizzontali dei diritti fondamentali in materia sociale: la sentenza Dominguez della Corte di giustizia e la strada del silenzio”, in Rivista di diritto internazionale, 2012, 455-461). La funzione della norma di diritto derivato è invece quella di “creare” il campo di applicazione per i diritti fondamentali della Carta, che, allo stesso modo dei principi generali di diritto UE, non sono free-standing rules. Il chiarimento fornito dalla Corte è comunque benvenuto, tenuto conto di quanto rilevato sopra, e soprattutto alla luce del fatto che la tesi che ricollegava l’effetto orizzontale al combinato tra fonte primaria e norma attuativa di diritto derivato aveva avuto un certo riscontro nella dottrina (e, come si è visto, non solo).
Inoltre, in AMS la Corte ha esplicitato il test che nelle pronunce anteriori citate rimaneva implicito: per produrre effetti orizzontali una disposizione della Carta deve contenere, di per sé, un diritto soggettivo invocabile in quanto tale. Dalla sentenza si può ricavare che la sussistenza di tale requisito deve essere valutata sulla base della formulazione letterale della disposizione, anche se non pare escluso un qualche ruolo delle Spiegazioni (cfr. par. 46). L’unica, ma non marginale, certezza è che il principio di non discriminazione in base all’età di cui all’art. 21, par. 1, della Carta può essere invocato in controversie orizzontali che ricadano nell’ambito di applicazione della Carta. Se questo apparentemente non va oltre quanto già emergeva da Mangold e Kücükdeveci, il fatto che la Corte di giustizia si riferisca ora all’art. 21, par. 1, della Carta tout court, e non più anche al principio generale di non discriminazione in base all’età, suggerisce che la stessa conclusione potrà (dovrà?) essere raggiunta rispetto ad (almeno alcuni) altri motivi di non discriminazione previsti dalla stessa disposizione (che, oltre all’età, menziona sesso, razza, colore, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di altro tipo, appartenenza ad una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età o orientamento sessuale). Ciò non sembra marginale, soprattutto quando si tiene conto che, per effetto della ricostruzione ampia dell’ambito di applicazione della Carta da parte della Corte di giustizia (si veda ancora la già citata sent. Åkerberg Fransson), una vasta gamma di rapporti orizzontali può ben ricadere in quell’ambito.