Vittime della storia a mani vuote: è diniego di giustizia?
A partire dagli anni 90 la storia post-bellica (in coda alla seconda guerra mondiale) ha subìto una rilettura all’interno delle aule giudiziarie; ricorrendo all’uso della responsabilità civile e “mettendo alla gogna” gli errori della storia sono stati accordati non pochi risarcimenti alle vittime di crimini di guerra commessi dal Terzo Reich su suolo italiano, negli anni tra il 1943-45.
In aula la Germania ha sempre riproposto lo stesso “copione”: la Repubblica federale tedesca dopo aver ribadito la responsabilità diretta per i crimini di guerra, ha eccepito il difetto di giurisdizione dell’Italia a fronte del principio di diritto consuetudinario internazionale dell’immunità giurisdizionale dello stato estero per i fatti commessi nell’esercizio della sovranità, tra cui rientrano le attività eseguite nel corso di operazioni militari. Alla suddetta replica, a partire dal 2012, le corti tedesche hanno altresì aggiunto il richiamo alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia (Jurisdictional Immunities of the State (Germany v. Italy), 3 febbraio 2012in http://www.icj-cij.org/docket/files/143/16897.pdf), con cui è stato escluso qualsivoglia riconoscimento monetario in capo alle vittime, anche laddove i crimini contestati siano rubricabili sotto la voce “gross violations” dei diritti umani.
L’ordinanza fiorentina che si commenta si muove lungo i binari del conflitto, ribadendolo esistente, tra la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e l’immunità giurisdizionale degli Stati esteri. Mentre la Corte di Cassazione, prima sezione penale n. 32139 del 9 agosto 2012 ha dato esecuzione alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, annullando il verdetto della Corte militare di Appello del 10 maggio 2011 con il quale si riconosceva la responsabilità dei militari tedeschi per l’eccidio di 350 civili in Italia, non ha fatto lo stesso il Tribunale di Firenze, secondo cui le argomentazioni della Corte dell’Aja meritano di essere rivisitate criticamente.
A dire dell’organo giudicante, il punctum dolens della decisione della Corte dell’Aja risiede nella risolutezza con cui il massimo organo giudiziario dell’Onu ha bandito qualsivoglia interpretazione comparativa tra i due principi, prima ancora di eleggerne il prevalente, omettendo considerazioni approfondite in merito ai comportamenti lesivi di quei valori universali di rispetto della dignità umana che hanno ecceduto nella storia gli interessi delle singole comunità statali e addebitabili allo stato tedesco.
Il Tribunale di Firenze ha intravisto nella decisione con cui la Corte dell’Aja, provando ad inchiodare ogni residuo dibattito in materia, ha riconosciuto in maniera assoluta il principio della immunità degli Stati per atti commessi iure imperii, un diniego di giustizia nei confronti delle vittime. Di qui la scelta di sollevare una questione di legittimità costituzionale al fine di accertare se la norma consuetudinaria che sancisce l’immunità dalla giurisdizione, così come “eletta a modello” dalla Corte Internazionale di giustizia sia contraria agli articoli 2 e 24 della Costituzione. Ciò in quanto ”negare il processo civile di accertamento e condanna per le aberranti condotte del Terzo Reich implica sacrificare irrimediabilmente, ancora oggi e a distanza di molti anni, il diritto ai diritti che, come scrive illustre dottrina, ‘connota la dimensione stessa dell’umano e della sua dignità”’. Tanto che se l’immunità “non trova deroghe nell’ordinamento internazionale, ad avviso del giudicante, può invece, rinvenirli nel sistema costituzionale della Repubblica italiana”.
Non è revocabile in dubbio che il principio secondo cui sono sottratti alla giurisdizione civile di uno Stato estero i fatti e gli atti eseguiti dagli individui-organi di un altro Stato nell’esercizio dei compiti e delle funzioni pubbliche ad essi attribuiti, costituisce corollario del diritto internazionale consuetudinario, recepito nell’ordinamento giuridico italiano.
Eppure a voler trasformare le argomentazioni negative del giudice fiorentino in considerazioni affermative, parrebbe di capire che – a dire dell’organo giudicante- sussiste ed è evidente una parallela e antinomica coesistenza nell’ordinamento internazionale dei due principi di portata generale; di talché l’eventuale conflitto dovrebbe piuttosto risolversi in un rassicurante bilanciamento degli interessi, garantendo che determinati crimini, figli di una storia bellica cieca e irrispettosa, non restino impuniti. Come se la violazione di norme di diritto cogente comporterebbe, comparando il rango degli interessi lesi, un’implicita (o esplicita) rinuncia all’immunità giurisdizionale (E. C., Raffiotta, Sovranità ed immunità dello Stato al vaglio della Corte dell‘Aja nel caso Germania vs. Italia, in Consulta online, 2012, 11, pag. 1-12).
Se nell’ordinamento italiano la Corte costituzionale con la sentenza n. 18 del 1992 ha sottolineato come il diritto alla tutela giurisdizionale vada considerato tra “i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intrinsecamente connesso – con lo stesso principio democratico – l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio”, non vale lo stesso discorso per la macchina internazionale. Orbene, nell’ordinanza a firma del giudice toscano sotto la lente del sospetto di incostituzionalità con gli articoli 2 e 24, sono finite più disposizioni legislative a partire dalla legge n. 5 del 14 gennaio 2013 (I. Ciampi, L’Italia Attua la Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel Caso Germania c. Italia, in Rivista di Diritto Internazionale, 2013, p. 146 ss. La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 24 del 29 gennaio), prodotta a seguito del recepimento delle norme internazionali, nella parte in cui dispone l’obbligo di rispettare la pronuncia della Corte dell’Aja chiedendo ai giudici nazionali di applicare il principio dell’immunità e negando la giurisdizione italiana.
L’epicentro dello scossone risiede nella tutela fornita dalla corte agli interessi degli Stati a scapito delle vittime di eventi bellici. Eppure l’obbligo degli Stati di garantire l’accesso alla giustizia a quanti si sono visti feriti nell’anima dalle atrocità della storia umana e dal sistematico annientamento di interi gruppi umani, di classi sociali e di popoli dovrebbe essere la logica conseguenza di una serie di trattati di stampo internazionalistico.
Ammettendo pacificamente che i divieti di gravi violazioni di diritti umani fondamentali e del diritto umanitario sono stabiliti da norme di ius cogens, si potrebbe sostenere che in quanto unite come un monolite alle prime, anche le norme consuetudinarie sul diritto di accesso alla giustizia e sul diritto alla riparazione per le violazioni di tali divieti debbano considerarsi rientranti nella categoria delle norme di ius cogens (Corte europea dei diritti dell’uomo, Beer and Regan v. Germany, sentenza del 18 febbraio 1999, pag. 57-58, in www.echr.coe.int/), lasciando alle Corti il compito di verificare di volta in volta se la concessione dell’immunità sia contraria al diritto di accesso alla giustizia, anche e a maggior ragione quando le vittime dell’illecito non abbiano mezzi alternativi per tutelare i propri diritti.