Il ruolo del Parlamento nell’applicazione della CEDU. Riflessioni sparse a partire da The Constitutional relevance of the ECHR in Domestic and European Law, a cura di G. Repetto, Intersentia, 2013 (pp. 251)
1. In che misura l’applicazione della CEDU è demandata alle Corti, di Strasburgo e nazionali, di vario ordine e grado, o alle Assemblee parlamentari è questione controversa, ma al contempo cruciale quanto all’effettività delle previsioni della Convenzione e alla legittimità del sistema di controllo, ex ante ed ex post, contro eventuali sue violazioni.
Il tema è affrontato in diversi contributi raccolti nel bel volume curato da Giorgio Repetto su The Constitutional Relevance of the ECHR in Domestic and European Law, a cura di G. Repetto, Intersentia, 2013, presentato anche in occasione del primo seminario annuale di Diritticomparati.it, su “La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nelle relazioni tra ordinamenti. Problemi e prospettive”, il 6 marzo 2014, presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre.
Il ruolo delle Assemblee parlamentari nella protezione dei diritti fondamentali a livello europeo in rapporto alle Corti – è stato evidenziato (cfr. C. Pinelli, The Constitutional Relevance of the ECHR in Domestic and European Law. General Assessments, in G. Repetto (cur.), cit., p. 249) – è probabilmente una questione ancor più problematica nella sua definizione di quella dei rapporti tra Corti nazionali e Corte EDU, le quali, per la loro natura di organi giurisdizionali “condividono, simili, seppur non identiche responsabilità” (v. S. Greer, The European Convention on Human Rights. Achievements, Problems and Prospects, Cambridge University Press, 2006, p. 196, nota 29,traduz. mia).
2. Innanzitutto, il ruolo dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, composta di delegati dei Parlamenti dei 47 Stati Membri e Parti contraenti della CEDU, è molto modesto nel controllo sull’applicazione della CEDU a livello nazionale. In ragione della sua non diretta legittimazione popolare (cfr. A. Di Martino, National Constitutions and the ECHR. Comparative Remarks in the Light of Germany’s Experience, in G. Repetto (cur.), cit., p. 132) e dei poteri di supervisione politica espressamente attribuiti al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (art. 46 CEDU), l’Assemblea parlamentare può solo adottare in tal senso risoluzioni e raccomandazioni non vincolanti indirizzate agli altri organi del Consiglio d’Europa e alle istituzioni nazionali.
Ciononostante, specie negli ultimi anni, da quando è in atto un processo di riforma del sistema della CEDU, l’Assemblea parlamentare ha prestato una considerevole attenzione alle questione dell’applicazione della Convenzione da parte dei Parlamenti, sia in termini di controllo ex ante, durante il procedimento legislativo, sulla conformità dei disegni di legge in esame alla CEDU, sia in termini di seguito parlamentare delle sentenze della Corte di Strasburgo. Per esempio, nella Risoluzione n. 1823/2011, on National parliaments: guarantors of human rights in Europe, l’Assemblea ha invitato i Parlamenti degli Stati Membri a dotarsi di Commissioni permanenti appositamente dedicate al controllo sistematico di conformità dei disegni di legge, di atti aventi forza di legge e di schemi di atti normativi del Governo, alla CEDU. In alcuni Paesi, come il Regno Unito, una tale Commissione – il Joint Committee on Human Rights – opera ormai da diversi anni ed è dotata di poteri assai significativi (cfr. J.L. Hiebert, Parliament and the Human Rights Act: Can the JCHR help facilitate a culture of rights?, in ICON, vol. 4, n. 1, 2006, p. 1-38; A.D. Young, Parliamentary Sovereignty and the Human Rights Act, Portland, Hart Publishing, 2009, p. 22 s.). In altri, come in Italia, un organo permanente dedicato a questo scopo ancora non è stato istituito (non può essere considerata tale, infatti, la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, seppur sistematicamente ricostituita al Senato dalla XIV legislatura) e il controllo ex ante è svolto, a seconda dei Paesi, dalla commissione competente per l’atto normativo in esame oppure da una commissione avente competenza sulle questioni europee o per gli affari costituzionali.
3. L’adeguamento dei Parlamenti, anche per quanto riguarda la loro organizzazione interna e le loro procedure, al sistema della CEDU, è stato parimenti oggetto di dibattito, come si accennava, in occasione del processo di riforma della Convenzione, ad esempio durante la Conferenza di Brighton e poi nella relativa Dichiarazione che ha auspicato un rafforzamento del controllo di convenzionalità ex ante da parte dei parlamenti, migliorando la quantità e la qualità di informazioni a loro disposizione. Inoltre, la stessa Corte EDU ha mostrato una particolare attenzione, in alcune circostanze, alle procedure parlamentari che hanno preceduto l’approvazione di leggi poi da essa giudicate per sospetta violazione della Convenzione.
Così, per esempio, nella valutazione del margine di apprezzamento applicabile ad una certa misura legislativa, la Corte ha tenuto conto di elementi quali la capacità del procedimento legislativo di fondarsi sulla consultazione, attraverso audizioni, di esperti nel settore, di tenere conto dell’opinione delle minoranze, di valutare e soppesare diverse opzioni regolative in relazione al principio di proporzionalità, del grado di approfondimento della relazione al provvedimento legislativo in discussione (cfr., a titolo di esempio, i casi Evans v. The United Kingdom (appl. N. 6339/05) e S.A.S. v. France (appl. n. 43835/11), Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera). In altri termini, anche se la giurisprudenza di Strasburgo non è sempre coerente sul punto, generalmente quanto più la qualità del procedimento legislativo è carente sotto i profili della esaustività della fase istruttoria, delle consultazioni e del dibattito parlamentare, tanto più la Corte applicherà una interpretazione restrittiva del criterio del margine di apprezzamento (v. M. Saul, What type of parliamentary conduct does the European Court on Human Rights promote?, paper presentato in occasione della Conferenza su “Parliaments in the Open Government Era”, Università di Oslo, Dipartimento di diritto pubblico e internazionale, 14 – 15 gennaio 2015). Al contrario, quando dal procedimento in Parlamento risulta che una determinata riforma legislativa su cui la Corte è chiamata ad esprimersi è stata approvata con il supporto trasversale delle forze politiche, e dunque anche delle minoranze parlamentari, la Corte è di solito più incline a dichiararne la conformità alla CEDU (cfr. A. Di Martino, National Constitutions and the ECHR, cit., p. 133).
4. Con questo tipo di nodi problematici relativi alla capacità del Parlamento di controllare preventivamente la compatibilità delle proposte legislative che esamina alla CEDU fa il paio la questione del ruolo delle istituzioni parlamentari nazionali nell’applicazione della CEDU ex post e del giudicato della Corte di Strasburgo. Anche se in certi casi – ad. es. art. 6.1 della CEDU – sono la Convenzione o la stessa Corte EDU a prevedere una “riserva di potere giurisdizionale” a livello nazionale (v. A. Guazzarotti, Strasburg Jurisprudence as an Input for “Cultural Evolution” in Italian Judicial Practice, in G. Repetto (cur.), cit.,p. 60), in generale, come giustamente è stato osservato, “conventional rights are not intended to be judicially enacted because Parliament remains the preferential actor upon which is conferred the function of ‘letting’ conventional rights and liberties ‘into’ domestic law” (v. G. Repetto, Rethinking a Constitutional Role of the ECHR. The Dilemmas of Incorporation into Italian Domestic Law, in Id. (cur.), p. 44). In Italia questo approccio è stato fatto proprio dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 348/2007, par. 4.6) e trova fondamento nel fatto che, anche se i giudici ordinari possono tentare di fornire una interpretazione conforme a Convenzione della normativa nazionale, comunque non possono rimuovere le previsioni con essa incompatibili, compito che spetta eventualmente alla Corte costituzionale. Anche nel caso di coinvolgimento di quest’ultima, la Corte non è in grado di far fronte a tutti i (numerosi) casi di incompatibilità tra la legislazione italiana e la CEDU, in particolare quando la violazione accertata richieda una modifica della legislazione in vigore.
5. Ed è proprio in questa circostanza che si manifestano, nel caso italiano, la debolezza dei rimedi riparatori posti in essere dal Parlamento (cfr. B. Randazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale. La Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano, Giuffrè, 2012, p. 175 ss.) e, soprattutto, la sua inerzia rispetto alle decisioni di condanna della Corte di Strasburgo. Questa inerzia si presenta, da un lato, come sistematica e, dall’altro, come peculiare al caso della CEDU, rispetto alle procedure nazionali di applicazione della Convenzione previste ma non rispettate. Il deficit del Parlamento italiano è sistemico, in quanto il mancato seguito delle decisioni della Corte EDU non è un elemento nuovo nel rapporto tra Parlamento e Corti in Italia: la medesima inerzia si riscontra infatti se si guarda al rapporto tra giudicato della Corte costituzionale e attività parlamentare. Il Parlamento italiano non sembra particolarmente preoccupato di sanare per mezzo dell’attività legislativa le situazioni di incostituzionalità così come quelle di violazione della Convenzione accertate, rispettivamente, dalla Corte Costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. A. Di Martino, National Constitutions and the ECHR, cit., p. 133).
Vi è poi un deficit di rispetto della CEDU da parte del Parlamento italiano che attiene nello specifico alle procedure, previste peraltro dal Parlamento medesimo anni addietro, per dare applicazione alla Convenzione in tutti i procedimenti legislativi in cui può venire in rilievo e per dare attuazione alle decisioni della Corte di Strasburgo. Difatti, preso atto dell’elevatissimo numero di condanne inferte all’Italia, in particolare per la violazione delle norme sul giusto processo – a cui la politica e il Parlamento già avevano cercato di porre freno modificando anche l’art. 111 della Costituzione e dunque costituzionalizzando principi già presenti nel sistema EDU (l. cost. n. 2/1999) – la legge n. 12/2006 ha provato a responsabilizzare il Parlamento rispetto alle sentenze di condanna della Corte di Strasburgo contro l’Italia. La legge prevede, quindi, da parte del Governo la trasmissione tempestiva alle Camere di queste pronunce “ai fini dell’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti” (Doc. CLXXIV) nonché di una Relazione annuale sullo stato della loro esecuzione nell’ordinamento interno (Doc. LXXXIV). Avendo contezza delle sentenze dichiarative di violazioni della CEDU, si pensava che finalmente il Parlamento avrebbe dato loro seguito prontamente.
Inoltre, già prima di questa legge, nel 2005, presso l’Avvocatura della Camera dei deputati era stato creato l’Osservatorio permanente delle sentenze della Corte EDU, composto da funzionari di questo ramo del Parlamento, per la predisposizione delle note e della documentazione informativa sulle decisioni di Strasburgo nonché sui casi pendenti che riguardano l’Italia. Questa attività di supporto documentale poteva (e può) concorrere a sviluppare una sensibilità nuova in Parlamento verso il sistema di protezione dei diritti fondamentali creato dalla CEDU e verso gli obblighi a cui l’Italia è tenuta, nella consapevolezza che la limitatissima attenzione mostrata fino ad allora derivasse da una questione anche culturale, ossia di mancata “confidenza” dei parlamentari nei riguardi del Consiglio d’Europa e della sua principale Convenzione (riscontrabile sebbene una delegazione parlamentare partecipi regolarmente ai lavori dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, di cui sopra). A ciò si aggiunga che durante la XIV (2001-2006) e la XV (2006-2008) legislatura i Presidenti delle due Camere avevano indirizzato una lettera ai Presidenti delle Commissioni permanenti per l’adozione di procedure per la valutazione di compatibilità convenzionale dei progetti di legge (B. Randazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale, cit., p. 175).
Ebbene, nonostante queste iniziative, il controllo parlamentare sull’applicazione della CEDU e della sua giurisprudenza è rimasto assai limitato (per alcune circostanze in cui invece vi e’ stata una reazione tempestiva da parte delle Camere, cfr. M. Montagna, The Strasburg Court’s Influence on the Italian Criminal Trial,in G. Repetto (ed.), cit., pp. 73-81, in materia di processo in absentia e di assenza di udienza pubblica per l’adozione di misure preventive). Anche se l’Osservatorio permanente presso la Camera continua a fornire il supporto informativo e documentale per l’esame dei casi e delle decisioni della Corte di Strasburgo e la Relazione annuale del Governo viene regolarmente trasmessa, le Commissioni parlamentari che di solito si vedono assegnare le sentenze e le Relazioni – le Commissioni Affari costituzionali, Giustizia e Affari e, al Senato, anche la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani –, poi non procedono all’esame delle stesse.
6. Il “caso Lautsi” dinanzi alla Corte di Strasburgo (n. 30814/06), in particolare nel periodo intercorso tra la decisione della Seconda Sezione del 3 novembre 2009 e la decisione della Grande Camera del 18 marzo 2011, e’ stata una delle poche (tra le numerose) controversie riguardanti l’Italia ad aver sollevato un dibattito nelle aule parlamentari (cfr., al Senato, XVI leg., Atto n. 1-00198 e interrogazione n. 4-02273), tenuto conto della delicatezza della questione dibattuta, vale a dire la presunta violazione della CEDU a causa dell’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche.
Piu’ di recente, invece, e’ stato il caso Torreggiani e altri c. Italia (43517/09), dell’8 gennaio 2013, in cui la Corte EDU, in una decisione presa all’unanimita’, ha riscontrato una violazione dell’art. 3 della Convenzione sul trattamento inumano e degradante riservato ai detenuti a causa della condizione di sovraffollamento nelle carceri italiane, ad aver suscitato – finalmente – l’interesse del Parlamento italiano. La violazione accertata da parte della Corte non e’ certo una novita’ e si collega anche all’annoso problema della giusta durata del processo, penale in questo caso, dell’elevato numero di detenuti in attesa di giudizio e del non sufficiente ricorso – a parere della Corte – a rimedi alternativi alla detenzione in carcere.
Il caso ha assunto una tale rilevanza tale, anche a livello nazionale, che era praticamente impossibile per il Parlamento non intervenire. Innanzitutto, la Corte di Strabsurgo ha deciso di adottare una ‘sentenza pilota’, viste le centinaia di casi pendenti dinanzi ad essa contro l’Italia sulla medesima questione e per favorire una rapida e efficace soluzione ad una disfunzione sistemica che si riscontro a livello nazionale. La scelta di accertare la violazione senza ricorrere (per il momento) ad una condanna del Paese, si spiega con il fatto che precedenti condanne inferte dai giudici europei non erano servite a risolvere il problema (cfr., in dettaglio, L. Trucco, Sovraffollamento e politica carceraria europea. Alcune notazioni, Diritticomparati.it, 11 dicembre 2014, spec. parr. 4 ss.). Dunque, la Corte ha dato all’Italia un anno a partire da maggio 2013 per adottare le misure necessarie a rimediare alla violazione, sospendendo in questo arco di tempo il suo giudizio sui numerosi ricorsi di detenuti nelle carcere italiane. Peraltro, oltre ad una riforma di carattere strutturale, la Corte ha richiesto anche di porre in essere rimedi di carattere compensativo, per assicurare un risarcimento a chi ha subito la violazione.
Ebbene, la Corte EDU non e’ stata la sola a sollecitare un intervento riformatore. Quasi in contemporanea il Presidente della Repubblica ha inviato il 7 ottobre 2013 un messaggio alle Camere, ai sensi dell’art. 87, secondo comma della Costituzione, sulla questione cerceraria, e la Corte costituzionale, pur pronunciadosi sull’inammissibilita’ della questione il 9 ottobre 2013 (sentenza n. 279/2013, s cui v. A. Ruggeri, Ancora una decisione d’incostituzionalità accertata ma non dichiarata (nota minima a Corte cost. n. 279 del 2013, in tema di sovraffollamento carcerario, in Diritticomparati.it, 26 novembre 2013), ha sottolineato che “questa Corte deve tuttavia affermare come non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia” (§ 8) (M. Ruotolo, Quale tutela per il diritto a un’esecuzione della pena non disumana? Un’occasione mancata o forse soltanto rinviata, in Dirittopenitenziarioecostituzione.it, 2013, p. 5, parla di decisione di “costituzionalità provvisoria” da parte della Corte costituzionale). In relazione alla questione in esame, ossia l’esecuzione della pena quando essa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità, la Corte ha peraltro richiamato con insistenza proprio la sentenza Torreggiani della Corte EDU.
7. Da allora il Parlamento e’ stato pienamente impegnato nel trovare una soluzione che potesse andare aldila’ del semplice alleggerimento numerico della propolazione carceraria, necessariamente temporaneo. Sia l’Aula che le commissioni parlamentari hanno dibattuto del caso in numerose occasioni, anche alla luce dell’ultimatum di Strasburgo (v., ad esempio, II Commissione Giustizia, Camera dei deputati, Relazione trasmessa alla Presidenza il 29 novembre 2013 sulle tematiche oggetto del messaggio del Presidente della Repubblica trasmesso alle Camere il 7 ottobre 2013, XVII leg., doc. XVI, n. 1).
Dunque, ad alcune misure adottate negli anni addietro, come il c.d. ‘Piano carceri’ e la nomina di un Commissario straordinario del governo per la sua gestione oppure il d.l. n. 211/2011, c.d. ‘svuota carceri’ (convertito in l. n. 9/2012), se ne sono aggiunte altre piu’ direttamente in linea con il tipo di intervento suggerito dalla Corte EDU, tutte mediante decreto-legge, in ragione della tempistica dettata da Strasburgo e sebbene il caso da cui i provvedimenti sono originati fosse tutt’altro che straordinario (cfr., ad esempio, il d.l. 1 n. 78/2013, convertito con modificazioni in l. n. 94/2013; il d.l. n. 146/2013, convertito in l. 10/2014; d.l. n. 92/2014, convertito con modificazioni in l. n. 117/2014). Per esempio, con il d.l. n. 92/2014 si va proprio incontro all’esigenza evidenziata dalla Corte di Strasbrugo di prevedere un risarcimento per i detenuti che abbiano subito un pregiudizio derivante da condizioni detentive contrarie all’art. 3 della CEDU.
Almeno al momento, alla luce di queste riforme, sembra che l’Italia sia “salva” o, meglio, la valutazione e’ rinviata. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, infatti, riunendosi il 5 giugno 2014, ha considerato positivamente le misure poste in essere dallo Stato italiano in esecuzione della sentenza Torreggiani e altri c. Italia, ma ha posticipato di un anno, a giugno 2015, il suo giudizio complessivo sulle riforme attuate. In attesa di questa pronuncia, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il 23 gennaio 2015, il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, ha rivolto un appello al Parlamento affinché intervenga, dopo numerose esortazioni in tal senso, per “snellire” il procedimento dinanzi alla Suprema Corte riducendone gradualmente l’arretrato; al contempo è stato chiamato in causa anzitutto il ruolo dei giudici sul tema del sovraffollamento carcerario e della responsabilizzazione dei magistrati per l’eccesso di carcerazione.
8. Che gli sforzi compiuti dall’Italia per conformarsi a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo alla fine siano considerati o meno conformi allo standard posto dal Consiglio d’Europa in questa precisa circostanza, resta il fatto che dal 1959 al 2013 (e il trend non sembra essere variato nel 2014) l’Italia è stato il secondo Paese, dopo la Turchia, ad aver ricevuto più condanne da parte della Corte europea (1721), sempre per le stesse violazioni della CEDU, relative ai procedimenti giurisdizionali e i diritti ad essi connessi (cfr. ECtHR, Statistics by Article and by State 1959-2013, 2014).
La scarsa attenzione normalmente mostrata dal Parlamento italiano per la giurisprudenza della Corte EDU, persino quando l’Italia ne è direttamente riguardata, è doppiamente pericolosa perché, da un lato, segnala una scarsa sensibilità della politica per il tema della tutela dei diritti umani, aldilà dei casi di intervento emergenziale (v. sopra) proprio in un ambito in cui i soggetti violati si trovano in una condizione di potenziale o attuale limitazione della libertà; dall’altro, perché confina la tutela dei diritti prevalentemente – e in alcuni casi esclusivamente – all’ambito giurisdizionale nazionale e sovranazionale, facendo apparire come tendenzialmente inconciliabile la protezione dei diritti fondamentali per mezzo delle procedure democratico-parlamentari, quando, invece, non è affatto così (R. Bellamy, Political Constitutionalism: A Republican Defence of the Constitutionality of Democracy, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, spec. pp. 15-50; G. Repetto, Rethinking a Constitutional Role of the ECHR. The Dilemmas of Incorporation into Italian Domestic Law, in Id. (cur.), p. 44).