Il rapporto tra bicameralismo e Regioni ridefinito dal controllo di sussidiarietà. Spunti dal diritto comparato e riflessioni sulla riforma costituzionale in itinere

Sommario: 1. Introduzione: il controllo di sussidiarietà come strumento di ridefinizione dei rapporti tra livelli di governo negli Stati membri? – 2. L’attuazione del controllo di sussidiarietà in Italia, in particolare da parte del Senato e dei Consigli regionali – 3. Le iniziative assunte dal Senato nel 2014 per rafforzare la cooperazione con i Consigli regionali negli affari europei – 4. La riforma costituzionale e la dimensione europea del Senato – 5. La riforma costituzionale e il collegamento del Senato ai Consigli regionali – 6. Conclusioni: sul collegamento tra la riforma del Senato e il controllo di sussidiarietà

1. Fino a qualche tempo fa in pochi avrebbero scommesso che sarebbero state proprio delle previsioni di diritto dell’Unione europea a fornire l’input per creare forme e procedure stabili di collegamento tra le Camere italiane e i Consigli regionali, tema oggetto di un dibattito decennale sulle riforme costituzionali e sulla questione della rappresentanza regionale in Parlamento. Eppure, a dispetto di quanto può derivarsi da un’interpretazione rigida dell’art. 4.2 TUE, per cui l’Unione europea non può interferire con la struttura fondamentale, politica e costituzionale, degli Stati membri compreso il sistema delle autonomie locali e regionali (fatta propria, ad esempio dal Tribunale costituzionale federale tedesco sui diritti di partecipazione del Bundesrat agli affari europei), essa, a partire dai suoi Trattati, incide in modo sostanziale sulle dinamiche istituzionali (e costituzionali) nazionali.

Ne è un esempio il protocollo n. 2, annesso al Trattato di Lisbona, che disciplina una articolata procedura di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà (art. 5.3 TUE) da parte delle proposte legislative europee ad opera dei parlamenti nazionali e, “all’occorrenza”, dei parlamenti regionali dotati di poteri legislativi, consultati dai primi. La chiamata in causa di parlamenti nazionali, direttamente partecipanti alla procedura, e di parlamenti regionali, indirettamente coinvolti nel controllo di sussidiarietà, ha indotto uno degli Stati Membri, il Belgio, a richiedere, in ragione della sua struttura costituzionale fondamentale, che fosse aggiunta una Dichiarazione (n. 51) al Trattato. In base a questa Dichiarazione, infatti, “in virtù del suo diritto costituzionale”, in Belgio la distinzione tra Parlamenti nazionali e “altri parlamenti” non può applicarsi e “sia la Camera dei rappresentanti e il Senato del Parlamento federale sia le assemblee parlamentari delle Comunità e delle Regioni agiscono, relativamente alle competenze esercitate dall’Unione, come componenti del sistema parlamentare nazionale o camere del Parlamento nazionale”. Dunque, a seconda delle rispettive competenze, anche i Parlamenti delle Regioni e delle Comunità belghe hanno diritto di partecipare al controllo di sussidiarietà su di un piano di parità con il Parlamento federale, in aggiunta o in sostituzione a questo.

2. In Italia, il protocollo n. 2, oltre ad aver dato origine a qualche legittimo dubbio sull’appropriatezza delle scelte lessicali operate, parlandosi anche nella traduzione nostrana del protocollo di “parlamenti” regionali – quando invece la Corte costituzionale italiana ha escluso che il nomen “Parlamento” possa usarsi per assemblee legislative diverse rispetto a quella che rappresenta la Nazione (cfr. sentenze nn. 106 e 306 del 2002) –, ha anche costituito il grimaldello per il coinvolgimento stabile di istituzioni regionali, in particolare i Consigli, alle procedure parlamentari di partecipazione all’Unione europea. Dunque, in attesa che si compia la riforma del bicameralismo e del Senato che verrà (su cui si tornerà tra breve), l’Unione europea e il Trattato di Lisbona hanno stimolato il superamento dell’impasse verificatasi sulla definizione di una nuova identità per il Senato; impasse ben visibile sin dalla riforma del Titolo V, Parte II Cost., e dall’inattuazione dell’art. 11, l. cost. 3/2001 nonché dal fallimento della riforma costituzionale nel 2006.

Se si considera la prassi del controllo di sussidiarietà, questa nuova identità del Senato sembra muoversi in due direzioni. La prima è quella europea, considerando la circostanza che il Senato italiano, come molte altre seconde Camere europee – il Bundesrat tedesco, il Senato ceco, la Camera dei Lord e il Senato francese – è particolarmente attivo sul fronte del controllo delle proposte legislative europee, sebbene solo in una manciata di casi, che si contano sulle dita di una mano, abbia riscontrato violazioni del principio di sussidiarietà. Basti pensare che, secondo le relazioni della Commissione europea sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea, fino al 2012 – nel 2013, si è riscontrata una flessione, invece – il Senato italiano è stata la Camera che ha inviato più pareri sulle proposte legislative europee alla Commissione, seconda solo al Parlamento monocamerale portoghese.

La seconda direzione di sviluppo, a Costituzione invariata, ha riguardato il rapporto con i Consigli regionali. In principio, la legge italiana di attuazione delle previsioni del Trattato di Lisbona, l. n. 234/2012, in ossequio al bicameralismo perfetto e simmetrico, prevede un uguale coinvolgimento della Camera dei deputati e del Senato nel controllo di sussidiarietà e, nell’ambito di questo, dei loro rapporti con i Consigli regionali (artt. 8 e 25). Inoltre, la legge, con una previsione che non ha eguali nel panorama comparato, introduce a livello nazionale la procedura del c.d. “dialogo politico” – replicando la dinamica Commissione-parlamenti nazionali stabilita a livello europeo – consentendo sia ai Consigli regionali che agli esecutivi regionali di trasmettere al Parlamento osservazioni sulle proposte legislative europee, anche su profili non inerenti alla sussidiarietà e una volta decorso il termine delle otto settimane fissato dal protocollo n. 2; osservazioni regionali che, stando alla lettera della legge, devono essere tenute in conto nei pareri trasmessi dalle Camere alle Istituzioni europee e, nello specifico, alla Commissione (art. 9, comma 2).

La legge in questione, naturalmente, si presta anche ad alcune critiche per quanto concerne l’indeterminatezza delle previsioni relative ai Consigli regionali, dei quali non si dispone una consultazione obbligatoria, per esempio per le proposte che ricadono nelle competenze concorrenti o residuali regionali, e si rimette alla loro iniziativa la trasmissione di osservazioni, “in tempo utile” per lo svolgimento del controllo di sussidiarietà da parte del Parlamento. Il mancato adeguamento dei regolamenti parlamentari alla l. n. 234/2012 – regolamenti adeguati solo attraverso “procedure sperimentali” al Trattato di Lisbona e la cui disciplina dei procedimenti europei risale al 1999 alla Camera e al 2003 al Senato – non ha poi aiutato a chiarire quali effetti procedurali e sostanziali dovrebbero scaturire dalle osservazioni inviate dai Consigli regionali.

Nonostante ciò la prassi ha mostrato una crescente attenzione, in particolare da parte del Senato, per i pareri trasmessi dai Consigli regionali nell’ambito del controllo di sussidiarietà e del “dialogo politico nazionale”, con un’evoluzione che è andata di pari passo con l’acquisizione di consapevolezza da parte dei Consigli stessi circa l’opportunità di usare uno strumento strategico fornito dal protocollo n. 2 per un loro inserimento nelle procedure proprie del circuito rappresentativo nazionale. Il controllo di sussidiarietà ha fatto quindi la sua apparizione nei nuovi Statuti regionali, nelle leggi regionali di procedura per la partecipazione agli affari europei e, in alcuni casi, nei regolamenti consiliari.

Le due Camere del Parlamento italiano svolgono il controllo di sussidiarietà in modo autonomo l’una dall’altra, anche per quanto riguarda il raccordo con i Consigli regionali. Non sono prevalse, pertanto, soluzioni organizzative come quella delle Cortes spagnole in cui la Comisión Mixta para la Unión Europea, organo bicamerale, vede centralizzata nelle sue mani la gestione del controllo di sussidiarietà e, di conseguenza, dei rapporti con i Parlamenti autonomici per la ricezione e l’esame delle loro osservazioni sulle proposte europee. In Italia, a dispetto del bicameralismo perfetto e simmetrico, la Camera e il Senato hanno introdotto, seppur in via “sperimentale” come si diceva, procedure ben diversificate e comunque non espressamente coordinate tra loro per il controllo di sussidiarietà e dunque i Consigli regionali, al momento, trasmettono i loro pareri ad entrambi i rami del Parlamento e con ciascuno di essi definiscono i rispettivi rapporti.

Sarà forse per il modo in cui il procedimento di controllo sulla sussidiarietà è disegnato nelle due Camere – accentrato nella XIV Commissione Politiche dell’Unione europea alla Camera e decentrato nelle Commissioni di merito, con un ruolo di supplenza della 14ª Commissione solo in caso di inerzia di quella competente, al Senato – o per una naturale predisposizione del Senato, in virtù dell’art. 57 Cost., ad assicurare un raccordo con la dimensione regionale della rappresentanza, ma il Senato italiano ha dimostrato nella prassi un evidente attivismo nell’esame delle proposte europee e nel coordinamento con i Consigli regionali a tal fine, aldilà della perfetta simmetria di prerogative con la Camera confermata anche dalla l. n. 234/2012.

A dispetto della riforma del bicameralismo ancora di là da venire e dell’assenza, anche dopo il 2001, di raccordi interparlamentari tra livello nazionale e regionale, con un’assoluta predominanza dei rapporti intergovernativi, anzitutto nella Conferenza Stato-Regioni, il Trattato di Lisbona è riuscito nell’attivare un canale procedurale stabile tra Senato e Consigli regionali, laddove finora tutte le riforme nazionali avevano fallito. Eppure è opinione prevalente che l’art. 6, protocollo n. 2, anche in ossequio all’art. 4.2 TUE poc’anzi menzionato, non introduce un obbligo per i parlamenti nazionali di consultare i “parlamenti” regionali dotati di poteri legislativi, ove esistenti, nel controllo di sussidiarietà. Vi è da rilevare, inoltre, che il raccordo interparlamentare ha potuto stabilirsi perché anche i Consigli si sono attivati: sebbene già la legge n. 11/2005 – abrogata dalla l. n. 234/2012 – consentisse loro di esprimere osservazioni al Governo sui progetti di atti legislativi dell’Unione, è solo con il Trattato di Lisbona e con la definizione del canale parlamentare di partecipazione che i Consigli regionali hanno effettivamente iniziato ad esercitare questa prerogativa.

Il Senato ha potuto sfruttare una previsione già contenuta nel suo regolamento (art. 138), sui voti regionali, per l’esame dei pareri dei Consigli sulla sussidiarietà o espressi nell’ambito del dialogo politico. I voti regionali-pareri sulla sussidiarietà, assimilabili alle petizioni quanto a formulazione e ad oggetto, sono annunciati in Assemblea e poi esaminati dalla Commissione competente per il merito, proprio come le proposte legislative europee. Inoltre, proprio come per queste ultime, l’esame in Commissione “può concludersi con una relazione al Senato o con una risoluzione che inviti il Governo a provvedere”.

Il numero di voti regionali è aumentato in modo esponenziale dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e poi della l. n. 234/2012 ad oggi, in particolare da parte delle Assemblee legislative dell’Emilia-Romagna e delle Marche (già attive su questo fronte dal 2008), dei Consigli regionali dell’Abruzzo, della Calabria, del Friuli-Venezia Giulia, della Lombardia, della Sardegna, dell’Umbria e del Veneto e, di conseguenza, il loro riconoscimento nei pareri parlamentari adottati. Come è stato osservato (C. Odone, La collaborazione in fase ascendente tra il Parlamento e le Assemblee legislative regionali: cinque casi pratici ed alcune riflessioni, in Federalismi.it, 13 aprile 2013, spec. p.13 ss.) due sono stati finora i casi particolarmente significativi di raccordo tra Consigli regionali e Parlamento italiano, entrambi su materie di competenza concorrente regionale.

Il primo caso ha riguardato il pacchetto di sette proposte di Regolamento per la riforma della Politica Agricola Comune (COM (2011) 625, 626, 627, 628, 629, 630, 631), su cui cinque Consigli regionali avevano inviato i loro pareri alle Camere (Calabria, Emilia-Romagna, Marche, Sardegna e Veneto). Mentre, però, la 14ª Commissione del Senato nella sua risoluzione del 18 gennaio 2012, non solo ha citato ad uno ad uno i pareri regionali, ma ne ha anche ripresi e fatti propri i contenuti; alla Camera nel parere della XIV Commissione del 17 luglio 2012 e nel documento finale approvato dalla XIII Commissione Agricoltura del 2 agosto 2012 si fa un generico riferimento alla trasmissione di osservazioni da parte dei Consigli, ma non se ne dà conto puntualmente.

Nel secondo caso, l’asse che si è costruito tra Consigli e Senato è stato ancora più evidente, anche per via del coordinamento posto in essere tra le Assemblee legislative regionali. Queste ultime (sempre i cinque Consigli di cui sopra), infatti, a seguito dell’esame del pacchetto di proposte legislative per la riforma della politica di coesione – nove proposte di Regolamento (COM (2011) 607, 608, 609, 610, 611, 612, 613, 614, 615) – hanno trasmesso alle Camere sia le loro osservazioni individualmente, sia un documento condiviso in seno e per il tramite della Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali, loro sede di cooperazione istituzionale, riconosciuta dalla l. n. 11/2005 e ora dalla l. n. 234/2012 (sebbene la legge del 2012, che allora non era ancora in vigore, formalmente consente solo la trasmissione individuale di pareri regionali, informandone anche la Conferenza). Mentre la Camera dei deputati nel documento approvato dalla XIV Commissione il 14 dicembre 2011 non ha fatto alcuna menzione dei pareri dei Consigli regionali e della loro Conferenza, come se non fossero stati mai inviati, esprimendo peraltro un parere motivato rispetto ad un articolo di una delle proposte di regolamento in esame (art. 21, COM (2011) 615) perché si riteneva che il sistema di condizionalità connesse al coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri previsto nel regolamento violasse il principio di sussidiarietà; la 14ª Commissione del Senato, nella sua risoluzione dell’8 maggio 2012 ha non solo richiamato i pareri dei singoli Consigli regionali, ma ha anche citato stralci del documento trasmesso dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee regionali, confermando espressamente la condivisione dei rilievi regionali formulati, nessuno dei quali contestava la proposta sotto il profilo della sussidiarietà.

Da questi casi si evince non solo una maggiore apertura del Senato ai Consigli regionali e alla loro Conferenza rispetto alla Camera dei deputati, ma anche che vi sono significativi margini di miglioramento, nonostante lo zelo mostrato dal Senato nel raccordo con le Assemblee regionali. Per esempio, nell’ambito dei pareri regionali sul pacchetto di riforma della Politica Agricola Comune, la risoluzione del Consiglio del Veneto del 30 novembre 2011 appariva come un invito alle Camere ad esprimere un parere motivato. Si usa il termine “appariva”, perché sebbene tale Risoluzione contenga un parere definito come contrario non è affatto agevole nel testo collegare tale contrarietà a presunte violazioni del principio di sussidiarietà. Sta di fatto, però, che anche nel parere della 14ª Commissione del Senato non si dà conto precisamente del parere contrario del Consiglio regionale Veneto.

Inoltre, in entrambi i casi, sebbene i pareri regionali siano stati trasmessi entro i termini previsti dal protocollo n. 2 per lo svolgimento del controllo di sussidiarietà, il Senato si è espresso sistematicamente in ritardo – si era espressa invece in tempo la Camera, quando ha adottato il parere motivato ­ così vanificando gli effetti del concorso dei Consigli regionali sul piano europeo, degradando la procedura al mero dialogo politico.

3. Proprio per porre rimedio a questi e ad altri punti di debolezza nel raccordo tra Senato e Consigli regionali sugli affari europei, il Senato, in collegamento con la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali, ha adottato nel 2014 due importanti iniziative, tra loro collegate.

La prima, su input del Presidente della 14ª Commissione, Vannino Chiti, è consistita nella costituzione il 12 marzo 2014 di una nuova sottocommissione, accanto a quelle per la fase ascendente e discendente, per i rapporti con le regioni in tema di politiche dell’Unione europea. La sottocommissione, composta di un rappresentante per gruppo e presieduta da un esponente dell’opposizione, Emilio Floris, ha il compito di esaminare in funzione istruttoria tutti i pareri regionali (anche quelli delle Giunte) sulle proposte legislative europee trasmessi al Senato e di darne conto alla Commissione in seduta plenaria per l’adozione dei suoi pareri ed atti di indirizzo. Creando un organo dedicato all’esame delle osservazioni regionali composto da senatori che sono al contempo membri sia della 14ª Commissione, sia – vista la regole della doppia appartenenza a quest’ultima – delle altre Commissioni, si è inteso anzitutto dare autonoma visibilità ai rilievi delle Regioni sulle proposte legislative europee. In secondo luogo, l’istituzione della nuova sottocommissione risponde all’esigenza di gestire la crescita del flusso di pareri regionali verso il Senato e alla necessità di darne conto nei pareri parlamentari, per quanto possibile tempestivamente nell’ambito del controllo di sussidiarietà, anche in funzione di legittimazione della posizione espressa dalle Camere. Infine, un’ultima prospettiva emersa, nella risoluzione della 14ª Commissione del 18 novembre 2014 (Doc. XVIII, n. 79) sulle relazioni della Commissione europea per il 2013 sull’applicazione di principi di sussidiarietà e di proporzionalità (COM (2014) 506) e sul ruolo dei parlamenti nazionali (COM (2014) 507), riguarda la collaborazione tra tale Commissione e la Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali per il tramite della nuova sottocommissione sulle valutazioni di impatto delle proposte europee, in cui la dimensione regionale e locale è stata spesso trascurata dalle istituzioni nazionali finora.

La seconda iniziativa concerne invece l’accordo stipulato (Doc. XXIV, n. 35) e reso noto il 24 settembre 2014 tra la 14ª Commissione del Senato e la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali e delle Province autonome sul coinvolgimento dei Consigli regionali nei processi di partecipazione alla fase ascendente di formazione del diritto europeo (v., in dettaglio, L. Bartolucci, In attesa del ‘nuovo’ Senato, un canale di collegamento più fluido con i Consigli regionali negli affari dell’Unione europea, in Osservatoriosullefonti online, n. 3/2014, spec. p. 10 ss.).

Non è certo questo il primo accordo interistituzionale tra la Conferenza e le Camere. Sempre in carenza di un Senato rappresentativo delle Regioni e per la mancata integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali era stato siglato nel 2007, poi rinnovato e rivisto nel 2009, un Protocollo di intesa fra il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati e la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle Province autonome per la creazione di un Comitato paritetico, in cui le tre componenti erano ugualmente rappresentate, eventualmente anche con la partecipazione di parlamentari europei eletti in Italia, per rafforzare la collaborazione tra Assemblee legislative prevalentemente – ma non solo – sugli affari europei. Tuttavia, quello del 2014 è il primo accordo con la Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali a cui solo il Senato partecipa e, in particolare, all’interno di questo, la sua Commissione per le Politiche dell’Unione europea, vero motore del controllo di sussidiarietà in questo ramo del Parlamento.

Nell’accordo si prevede, in via sperimentale: 1) che rappresentanti della Conferenza siano auditi regolarmente presso la 14ª Commissione su dossier europei di carattere generale, come il Programma legislativo e di lavoro annuale della Commissione europea, e informalmente prima delle riunioni in cui la Commissione Politiche dell’Unione europea discute di questioni di comune interesse con i Consigli regionali; 2) che la 14ª Commissione e la Conferenza organizzano all’inizio dell’anno un incontro con i rispettivi componenti per una programmazione congiunta delle attività sui temi di principale interesse; 3) che sia definita una procedura standard con le Assemblee legislative regionali affinchè queste siano informate preventivamente del calendario delle sedute della 14ª Commissione in modo da organizzarsi di conseguenza per l’esame delle proposte europee e da far prevenire le loro osservazioni entro i termini fissati a livello di Unione; 4) infine, che la 14ª Commissione si impegna a “dare evidenza, nelle proprie deliberazioni sulle singole proposte europee, dei punti qualificanti sollevati dalle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome”.

È precisamente quest’ultimo punto, dell’autovincolo che la Commissione per le Politiche dell’Unione europea del Senato si è imposta di dar seguito ai pareri dei Consigli regionali nei propri, che sembra, in prospettiva, l’elemento più qualificante dell’accordo interistituzionale in termini di effetti delle osservazioni regionali nel controllo di sussidiarietà e di raccordo con il Senato, da accogliersi senz’altro con favore.

Tuttavia, da un lato, non si chiarisce nel nuovo accordo quale è il ruolo delle Commissioni di merito – le quali pure partecipano al controllo di sussidiarietà con un ruolo di primo piano al Senato – nei rapporti con i Consigli regionali: sembra piuttosto che le altre Commissioni ne restino escluse. Dall’altro, rimane il fatto che la partecipazione dei Consigli regionali, per quanto auditi individualmente e attraverso la loro Conferenza, resta una partecipazione saltuaria ai lavori parlamentari e comunque limitata agli affari europei. Da questo punto di vista, rebus sic stantibus manca senz’altro quella fluidità di rapporti tra la Seconda Camera e i Parlamenti regionali (Landtages) nelle questioni europee che invece si riscontra, per esempio, nel Bundesrat austriaco, essendo esso eletto dai membri delle Assemblee legislative dei Länder (cfr. J. Woelk e P. Bußjager (a cura di), Il trattato di Lisbona e le Regioni: il controllo di sussidiarietà, Bolzano, EURAC research, 2010).

A tal riguardo, il disegno di legge di revisione costituzionale (A.C. 2613-A), al momento in cui si scrive all’esame dell’Assemblea della Camera dei deputati in prima lettura, per come è stato emendato dal Senato pare iscriversi in linea di continuità con le recenti prassi sviluppatesi in questa Camera all’indomani del Trattato di Lisbona, in particolare rafforzandone la dimensione europea e il rapporto con i Consigli regionali, se paragonati ad altri organi regionali e agli enti locali.

4. In primo luogo, rispetto al disegno di legge di revisione presentato dal Governo (A.S. 1429), che già riconosceva al Senato il potere di partecipare alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi europei, il testo attuale, come modificato dai senatori e approvato l’8 agosto 2014 in prima lettura, assegna alla nuova Seconda Camera anche “funzioni di raccordo tra l’Unione europea, lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica” (nel nuovo art. 55 Cost.). Pertanto, nel nuovo Parlamento italiano il Senato sembra essere disegnato, in coerenza con diverse altre Seconde Camere negli Stati Membri e in virtù della considerevole riduzione della sua attività legislativa, come la Camera a vocazione propriamente europea e al contempo “federatrice” (cfr. A. Manzella, Il parlamento federatore, in Quad. Cost., n. 1, 2002, p. 35-49), visto il collegamento che è deputata a svolgere tra Unione, Stato e livelli sub statali di governo.

Non mancano, peraltro, delle riserve rispetto a questa europeizzazione spinta del Senato, non fosse altro per il fatto che il Senato del futuro – se la riforma sarà approvata nel testo attualmente all’esame – non sarà più legato al Governo dal rapporto di fiducia, elemento assai importante nelle dinamiche della forma di governo euro-nazionale. Non sembra però che possa farsi discendere da ciò, da un lato, che il Senato per questo non sarebbe titolato ad indirizzare e a controllare efficacemente l’azione del Governo sulle questioni europee. Tutt’altro. Il diritto comparato, in particolare i casi tedesco, francese e britannico, con Seconde Camere anch’esse prive di legame fiduciario con l’Esecutivo, mostrano semmai il contrario.

Dall’altro, il fatto che il nuovo art. 55 menzioni espressamente per il Senato la funzione di raccordo multilivello e la partecipazione alla fase ascendente e discendente rispetto al diritto europeo non implica che la Camera resti esclusa, in particolare dal coinvolgimento nelle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione delle norme europee. Alla Camera infatti si attribuiscono, tra le altre, una funzione di indirizzo politico, legislativa e di controllo dell’operato del Governo a vocazione generale (ciò sia nel testo iniziale del Governo, che in quello ora all’esame della Camera). Tale spiegazione, tuttavia, non ha convinto quanti alla Camera dei deputi hanno presentato proposte emendative nel senso di attribuire espressamente a questo ramo del Parlamento “funzioni di raccordo tra l’Unione europea e lo Stato” e al Senato “funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l’Unione europea” e a ciascuna delle due Camere di partecipare alla fase ascendente e discendente, secondo le rispettive competenze (cfr. il fascicolo degli emendamenti all’esame dell’Assemblea, spec. *1.207 e *1.208). A ciò si aggiunga che, secondo la riformulazione proposta, “il Governo assicura che la posizione rappresentata dall’Italia nelle sedi decisionali dell’Unione europea sia coerente con gli indirizzi definiti dalla Camere dei deputati e, per le materie di cui all’articolo 117, terzo comma, dal Senato”, secondo il nuovo catalogo di competenze. Questa iper specificazione di ruoli e funzioni per le Camere e per il Governo sugli affari europei in Costituzione sembra però non necessaria, alla luce di quanto si è sostenuto sopra, e forse anche controproducente irrigidendo i margini di manovra delle istituzioni, quando invece il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni nella riforma è tutt’altro che netto, come si vorrebbe far credere (cfr. ad esempio, la clausola di supremazia statale, da un lato, e le c.d. “clausole di co-legislazione”, dall’altro: G. Rivosecchi,Introduzione al tema: Riparto legislativo tra Stato e Regioni: le c.d. “disposizioni generali e comuni, Relazione al Seminario del “Gruppo di Pisa” La riforma della Costituzione: aspetti e problemi specifici, Roma, Università La Sapienza, 24 novembre 2014). Il riferimento al solo art. 117, terzo comma, alla luce delle competenze legislative regionali, che possono estendersi anche alle “disposizioni generali e comuni” del secondo comma, rischia, per esempio, di mettere a repentaglio la funzione “federatrice” tra Stato, enti territoriali e Unione europea che il Senato è comunque chiamato a svolgere.

5. La seconda dimensione già in essere nel Senato dopo il Trattato di Lisbona e che il disegno di legge di revisione costituzionale asseconda e rafforza è quella del raccordo con i Consigli regionali. Anche qui occorre fare una differenza tra il testo originariamente presentato dal Governo e il disegno di legge modificato dal Senato (cfr., tra i molti, A. Baraggia, The Italian reform of bicameralism: is the time ripe?, in Verfassungsblog,3 novembre 2014). Secondo il primo, il “Senato delle Autonomie”avrebbe dovuto essere composto da tutti i Presidenti di Regione e delle Province autonome, dai sindaci dei comuni capoluogo di regione, e, in ogni Regione, da due membri eletti da ciascun Consiglio regionale tra i proprio componenti e da due sindaci eletti da un collegio composto da tutti i sindaci della Regione. A questi si sarebbero aggiunti ventuno cittadini, che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti e che avrebbero potuto essere nominati dal Presidente della Repubblica per sette anni. Nel nuovo testo, invece, il “Senato della Repubblica” si compone di cento senatori, cinque dei quali nominati dal Presidente della Repubblica, 74 eletti dai Consigli regionali, con metodo proporzionale, tra i propri componenti (almeno due per Regione e i rimanenti, ad eccezione delle due Province autonome, in proporzione alla rispettiva popolazione) e 21 tra i sindaci (uno per regione o provincia autonoma). È evidente, rispetto al testo originario, che nel passaggio al Senato questa Camera, nella prospettiva della riforma, ha voluto collegarsi anzitutto ai Consigli regionali, che sono diventati la componente prevalente. Spariti i Presidenti di Regione, ridotta la quota di senatori nominati e dei sindaci, il nuovo Senato, se il testo non sarà ulteriormente modificato sul punto, sarà principalmente formato da consiglieri regionali.

Senza voler esprimere in questa sede un giudizio sulla appropriatezza di questa scelta, rispetto alla soluzione ipotizzata dal Governo o a modelli “puri” – senza componente locale e di nomina presidenziale ­ come il Bundesrat tedesco o quello austriaco, non sembra peregrino vedere nella preferenza del Senato per l’auto riforma attraverso i Consigli regionali una influenza della prassi stabilita in questa Camera sin dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e ulteriormente consolidata nel 2014 con l’istituzione di una sottocommissione ad hoc e con l’accordo interistituzionale per creare procedure di raccordo stabili proprio con le Assemblee legislative regionali sugli affari europei.

Il Senato italiano, del resto, non sarebbe l’unico Senato nell’Unione europea a subire, nell’ultimo anno, questo avvicinamento ai Parlamenti regionali quanto alla composizione. La riforma costituzionale belga – la sesta riforma dello Stato – entrata in vigore proprio nel 2014 (testo pubblicato sul Moniteur Belge del 31 gennaio 2014) ha trasformato un Senato a composizione mista, in parte direttamente eletto dai cittadini, in parte dai Parlamenti delle Regioni e delle Comunità, e in parte cooptato da queste due componenti, in una Seconda Camera formata da cinquanta su sessanta senatori scelti dai Parlamenti delle Regioni e delle Comunità tra i loro membri. Il Senato belga è assai diverso per funzioni e configurazione istituzionale dal Senato italiano, anche riformato – il primo non è neppure istituzione permanente –, eppure, a parere di chi scrive anche in questo caso vi è un collegamento tra nuova composizione del Senato e controllo di sussidiarietà. Proprio in ragione della Dichiarazione n. 51 annessa al Trattato di Lisbona e dell’autonoma partecipazione di tutti i parlamenti belgi, secondo le loro competenze, al controllo di sussidiarietà con eguali poteri, ha reso ancor più opportuna la valorizzazione di un’istanza di coordinamento interparlamentare a livello federale, attraverso il Senato, tra tutti i pareri a vario titolo espressi sulle proposte legislative europee.

6. Per concludere, vi è quanto meno il sospetto che il Trattato di Lisbona e il controllo di sussidiarietà, per il fatto di chiamare direttamente in causa i parlamenti regionali abbiano avuto un’influenza sul rafforzamento in Italia – ma anche in altri ordinamenti ove il bicameralismo è in discussione – dei raccordi tra i Consigli regionali e quella tra le due Camere nazionali, il Senato nella specie, che è “eletta su base regionale” o che comunque è stata concepita per avere un rapporto privilegiato con le Regioni. Se questo si tradurrà, nei mesi a venire, anche nella conferma di una trasformazione strutturale del Senato italiano nel senso di includere una prevalente componente consiliare al suo interno, dipenderà soprattutto dalla posizione che la Camera intenderà assumere, anche relativamente ai Consigli regionali (s v., ad esempio le aperture concesse ai Consigli nel Documento finale approvato dalla XIV Commissione il 16 dicembre 2014, § 12, nel controllo di sussidiarietà).

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