Dichiarazione dei diritti in Internet: cuius regio eius religio?
La Dichiarazione dei diritti in Internet attualmente oggetto di consultazione pubblica ha un grande potenziale. Tuttavia, la questione che sembra ad oggi irrisolta – o forse ignorata – è la definizione del sistema giuridico che si presterà ad accoglierla e, conseguentemente, dell’entità che se ne farà garante, allorché la versione finale sarà approvata.
Un’ambizione condivisibile
La Dichiarazione si prefigge un obbiettivo non poco ambizioso: conferire “fondamento costituzionale” ai diritti degli utenti di Internet e garantire i principi in virtù dei quali Internet ha permesso la proliferazione di idee, informazioni ed innovazione a livello globale e grazie ai quali la Rete possa continuare stimolare e la “corretta competizione e crescita in un contesto democratico.” In effetti, la diffusione capillare di Internet in ogni aspetto della vita sociale, economica, culturale e politica fa sì che l’individuo diventi gradualmente dipendente dal buon funzionamento della Rete al fine di poter godere pienamente dei propri diritti fondamentali. In tal senso, Internet ha acquisito un vero e proprio valore di servizio pubblico, come ha sancito il Consiglio d’Europa[1], e pertanto i principi tecnici su cui si fonda la Rete, così come i diritti fondamentali che permettono ad ogni individuo di partecipare attivamente ad Internet e di goderne i frutti, meritano di essere protetti.
Tuttavia, è ben noto che l’emergenza di Internet non ha determinato esclusivamente nuove opportunità di autodeterminazione individuale, ma ha offerto altresì nuove possibilità di commettere illeciti e porre in essere comportamenti abusivi. La natura globale e la crescente ubiquità della Rete, per esempio, fanno sì che essa si dimostri un incredibile vettore di comunicazione e offra ad ogni utente un mercato a dimensione mondiale ma, al contempo, si presti a potenziali violazioni massive della privacy od alla concentrazione di potere in capo ad attori privati, evocando spettri a carattere feudale.[2] Parallelamente, la dipendenza da intermediari privati al fine di accedere ad Internet e di utilizzare qualsivoglia tipo di servizio fa sì che la regolazione contrattuale definita da tali intermediari – tramite contratti di adesione, le cui condizioni non sono negoziabili – incida direttamente sullo spettro dei diritti dell’utente. In tal senso, sembra spontaneo supporre che il comportamento naturale di un’entità privata, in misura di definire unilateralmente le proprie condizioni generali di contratto, propenderà per una regolazione suscettibile di massimizzare il proprio profitto, piuttosto che massimizzare la protezione dei diritti fondamentali dell’utente.
Per tali motivi, l’ambizione della Dichiarazione dei diritti in Internet è indubbiamente condivisibile ed uno sforzo in tal senso è meritevole di incoraggiamento. In effetti, il conferimento di “fondamento costituzionale a principi e diritti nella dimensione sovranazionale” sembra strumentale non soltanto al fine di proteggere diritti e libertà esistenti dagli eventuali abusi di poteri emergenti, ma altresì al fine di preservare principi “naturali” della Rete, come la sua neutralità, che rischiano di essere sovvertiti[3] e necessitano dunque l’intervento positivo del legislatore al fine di essere attuati pienamente.
In tal senso, interventi volti alla salvaguardia dei diritti dell’individuo sono necessari quando, come amava ricordare Norberto Bobbio, «l’aumento del potere dell’uomo sull’uomo, che segue inevitabilmente al progresso tecnico – cioè al progresso della capacità dell’uomo di dominare la natura e gli altri uomini – crea o nuove minacce alla libertà dell’individuo oppure consente nuovi rimedi alla sua indigenza».[4] Al fine di comprendere il possibile valore aggiunto della Dichiarazione, occorre dunque effettuare una distinzione tra quei diritti e libertà che già godono di una tutela di rango costituzionale o pattizio – la quale è applicabile online così come offline[5] – e quei principi i quali, ad oggi, non godono di tale protezione. In tal senso, sono fulgidi esempi il sopraccitato principio di neutralità della Rete (para. 3 della Dichiarazione), la cui garanzia è strumentale al fine di permettere il pieno godimento dei diritti fondamentali degli utenti di Internet[6] ed al fine di preservare la generatività di Internet, ed il principio della partecipazione del maggior numero di soggetti interessati alla governance di Internet (para. 14), il quale è condiviso da un crescente numero di organizzazioni internazionali[7] ma scarsamente applicato a livello nazionale.
Una dimensione sovranazionale..
Nonostante qualche dubbio possa sorgere in relazione alla necessità – od utilità – di reiterare principi e valori già consacrati da testi costituzionali e fonti di diritto internazionale, il quid pluris di una compilazione di diritti e principi costituzionali nell’ambito di Internet può rivelarsi nel conferimento di carattere internazionale – o “sovranazionale”, nei termini della Dichiarazione – ad un tale esperimento, ponendo dunque le basi per un “Patto internazionale dei diritti in Internet” che possa, in un domani, completare l’International Bill of Rights, formato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e dai Patti internazionali del 1966.
La dimensione territoriale e, conseguentemente, la dimensione sociale più appropriata al fine di attuare pienamente il “dispositivo normativo” della Dichiarazione sembra dunque essere particolarmente rilevante al fine di valutare l’opportunità di un tale esperimento.
Alla luce dell’esplicito riferimento alla “dimensione sovranazionale” nel preambolo della Dichiarazione ed in ragione della natura essenzialmente globale della Rete, sembrerebbe opportuno esplorare la possibilità di elevare la Dichiarazione a rango internazionale. Una tale opzione potrebbe rivelarsi problematica, per quanto concerne la realizzazione dell’ambizione al contempo “sovranazionale” e partecipativa della Dichiarazione.
Occorre ricordare che i Patti internazionali del 1966 furono elaborati dall’allora Commissione ONU per i diritti umani – predecessore dell’attuale Consiglio ONU per i diritti umani – in uno sforzo congiunto con l’Assemblea Generale dell’ONU, nel quadro di un processo volto a tradurre i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani in disposizioni pattizie. Benché un tale processo istituzionale sia in abstracto replicabile, sembra invero contradditorio ed eccessivamente ottimista supporre che la Dichiarazione dei diritti in Internet possa divenire uno “standard comune da raggiungersi da tutti i popoli e tutte le Nazioni,”[8] per il solo tramite del Consiglio dei diritti umani e dell’Assemblea Generale dell’ONU. In effetti, seppur si volesse ipotizzare che il contenuto della Dichiarazione possa cristallizzare il consenso degli Stati membri dall’ONU – i quali hanno notoriamente opinioni alquanto divergenti in materia di Internet – sembra velleitario pensare che un processo posto in essere in seno ad organi ONU tradizionalmente riservati alla partecipazione di sole delegazioni governative possa permettere la partecipazione di “tutti gli interessati”, condizione posta – a giusto titolo – a fondamento del “governo della Rete” dalla Dichiarazione stessa.
Diversamente, la discussione di un tale progetto nell’ambito dell’Internet Governance Forum delle Nazioni Unite permetterebbe il coinvolgimento di uno spettro di soggetti interessati ben più ampio e variegato, conferendo una maggiore legittimità alla Dichiarazione e permettendo alla comunità internazionale di valutarne il merito ed, eventualmente, di appropriarsene. La discussione della Dichiarazione al prossimo IGF globale – che si terrà in Brasile dal 10 al 13 novembre – rappresenterebbe il prolungamento naturale di un iter iniziato con la discussione di questo Internet Bill of Rights allo scorso IGF Italia, organizzato sotto l’egida della Camera dei Deputati. In aggiunta, un dibattito a dimensione multi-stakeholder della Dichiarazione, in seno all’IGF globale, si rivelerebbe strategico al fine d’incoraggiare una sinergia tra la Dichiarazione e le altre iniziative ampiamente discusse nel corso delle ultime edizioni dell’IGF, come la Carta dei diritti umani e dei principi per Internet della Internet Rights and Principles Coalition[9], la Guida dei diritti umani per gli utenti di Internet del Consiglio d’Europa[10] ed il tentativo di elaborazione di una Magna Carta per Internet[11], promosso da Sir Tim Berners-Lee, inventore del World Wide Web. Parimenti, lo European Dialogue on Internet Governance (EuroDIG) – che avrà luogo a Sofia il 4 e 5 giugno – potrebbe offrire un’eccellente occasione per estendere gradualmente la portata territoriale del dibattito concernente la Dichiarazione, stimolando l’interesse della comunità internazionale e tentando di cristallizzare progressivamente un consenso intorno al potenziale di una tale iniziativa.
.. od un Internet Bill of Rights
Visto l’ostentato carattere costituzionale a cui assurge la dichiarazione, sembra opportuno ricordare che il conferimento di tale rango alla Dichiarazione potrebbe avvenire con apposita legge costituzionale, trasformando l’attuale bozza in un autentico Internet Bill of Rights. Tuttavia, più che dal celebre Bill of Rights statunitense, un tale procedimento potrebbe trarre ispirazione dall’esperimento costituzionale posto in essere dai “Cugini d’oltralpe” al fine di integrare la disciplina della Charte de l’environnement nel Preambolo della Costituzione francese[12]. Infatti, il processo di integrazione della Charte nel “blocco di costituzionalità” francese fu il risultato di un’evoluzione durata diversi anni ed alimentata da una serie di dibattiti pubblici, volti ad implicare la società francese nella definizione delle norme fondamentali concernenti la protezione dell’ambiente. Un tale processo sembra essere riproposto dall’attuale sforzo di consultazione in merito alle sfide economiche e sociali legate ad Internet, orchestrato dal Conseil National du Numérique al fine di concretizzare l’ambition numérique francese[13]. Inutile dire che una serie di dibattiti pubblici su modello francese, che permettano ad ogni soggetto interessato di comprendere l’importanza dei punti elencati dalla Dichiarazione, al fine di poter formare la propria opinione ed esprimerla liberamente, sarebbe particolarmente auspicabile e rappresenterebbe un vero e proprio esercizio di cittadinanza attiva.
Un tale processo partecipativo rappresenta il punto di partenza di una governance di Internet aperta, trasparente, responsabile e “multi-stakeholder” che è esplicitamente sollecitata dalla Dichiarazione. Un disegno di legge costituzionale risultante da un tale processo sarebbe frutto di un vero e proprio esercizio di democrazia partecipativa e, benché il procedimento di adozione di una legge costituzionale sia tortuoso e dall’esito tutt’altro che scontato, un risultato favorevole attribuirebbe un’indiscutibile legittimità democratica alla Dichiarazione.
[1] Si v. la Raccomandazione CM/Rec(2007)16 del Comitato dei Ministri agli Stati membri relativa alle misure volte a promuovere il valore di servizio pubblico di Internet.
[2] Si v. B. Schneier, Power in the Age of the Feudal Internet, in MIND #6, 2013.
[3] In merito ai rischi per la neutralità della rete determinati da pratiche discriminatorie di gestione del traffico Internet in Europa, si v. e.g.: BEREC, A view of traffic management and other practices resulting in restrictions to the open Internet in Europe, BoR (12) 30.
[4] N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. XV.
[5] Si v. Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Risoluzione A/HRC/20/L.13 La promozione la tutela e il godimento dei diritti umani su Internet. A livello europeo, si v. la Raccomandazione CM/Rec(2014)6 del Comitato dei Ministri agli Stati membri relativa a una Guida dei diritti umani per gli utenti di Internet.
[6] Cfr. L. Belli – M. van Bergen, Protecting Human Rights through Network Neutrality: Furthering Internet Users’ Interest, Modernising Human Rights and Safeguarding the Open Internet, Council of Europe, CDMSI(2013)misc 19 E.
[7] Si v., e.g. : OECD, The Seoul Declaration for the Future of Internet Economy, 2008; Consiglio d’Europa, Dichiarazione del Comitato dei Ministri sui principi della governance di Internet, 2011; ITU, Resolution 140 (REV. BUSAN, 2014), ITU ‘ s role in implementing the outcomes of the World Summit on the Information Society and in the overall review by United Nations General Assembly of their implementation.
[8] Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, UN Resolution 217 A (III) of 10 December 1948.