Verso la “costituzionalizzazione” dello stato di emergenza? Importante decisione del Conseil Constitutionnel francese
Il Consiglio costituzionale francese, in data 22 dicembre 2015 (décision n°2015-527), a seguito di rinvio effettuato da parte del Consiglio di Stato lo scorso 11 dicembre 2015, è stato adito per esprimersi in relazione alla compatibilità con la Costituzione della “loi” (di iniziativa governativa) n° 2015-1501 del 20 novembre del 2015. Il rinvio sorge dalla volontà di comprendere come si possa conciliare la legge succitata con il rispetto dei diritti e delle libertà garantite dalla Costituzione.
Al di là della estensione dello stato di emergenza, l’obiettivo è quello di adeguare la formulazione della legge n° 55-385 del 3 aprile 1955 al quadro politico-sociale attuale. Infatti, a seguito degli attentati che hanno posto la Francia quale principale bersaglio dei terroristi appartenenti all’ ISIS, prima con l’attacco alla redazione del quotidiano satirico “Charlie Hebdo” nel mese di gennaio dello scorso anno, e successivamente, nel novembre dello stesso anno, in diverse zone di Parigi come lo “Stade de France”, Boulevard de Charonne, Boulevard Voltaire, Rue Alibert, Rue de la Fontaine au Roi e il teatro “Bataclan”, si è manifestata l’esigenza di fornire lo Stato di strumenti adeguati che possano contrastare efficacemente il fenomeno terroristico.
Ciò che può risultare complesso in fasi storiche di questo tipo è conciliare le esigenze legate al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica con la tutela delle libertà civili.
In particolare, la legge adegua i criteri di arresti domiciliari: prevede la possibilità di scortare persone sottoposte agli arresti domiciliari, vieta loro di entrare in relazione con individui specifici, chiarisce le norme in materia di perquisizione durante lo “stato di emergenza” e, contestualmente, ammette la facoltà di ricercare sistemi informatici. Infine, rafforza le sanzioni in caso di violazione delle disposizioni previste ex lege.
Un punto particolarmente rilevante attiene la regolamentazione degli arresti domiciliari, i quali possono essere decisi dal ministro dell’Interno a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza in base alla legge del 3 aprile 1955. Questione centrale posta all’attenzione del Consiglio costituzionale è stata quella di valutare la compatibilità di questa misura con l’articolo 66 della Costituzione (“Nessuno può essere arbitrariamente detenuto. L’autorità giudiziaria, garante della libertà individuale, ne assicura il rispetto nei modi previsti dalla legge”).
Il Consiglio costituzionale, pronunciatosi relativamente alle condizioni per l’imposizione degli arresti domiciliari, ha dichiarato che questa scelta legislativa trova la sua “ratio” nella volontà di preservare l’ordine pubblico e prevenire reati, ragion per cui non si realizzerebbe alcuna privazione della libertà personale, ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione.
Tuttavia, il Consiglio costituzionale ha stabilito che non potendo essere la misura disposta dal ministro superiore alle dodici ore, tale lasso di tempo non può essere esteso senza che gli arresti domiciliari siano considerati come una privazione della libertà, e quindi soggetti alle disposizioni di cui all’articolo 66 della Costituzione. Per quanto riguarda la libertà di circolazione, dopo aver constatato che la Carta Costituzionale non esclude la possibilità per il legislatore di disciplinare un regime di emergenza, il Conseil Constitutionnel ha stabilito che le disposizioni impugnate non possono che portare un intervento sproporzionato rispetto ai benefici prodotti in virtù di tre serie di considerazioni:
–In primis, la disciplina relativa agli arresti domiciliari può subire delle modifiche solo nel momento in cui sia stato promulgato lo stato di emergenza. Si ricordi infatti come, ai sensi dell’articolo 1 della legge del 3 aprile 1955, non si possa proclamare lo stato di emergenza “in caso di pericolo imminente risultanti da gravi violazioni di ordine pubblico” o “in caso di eventi che per loro natura e gravità possono essere considerati come una pubblica calamità”. Inoltre, può essere assoggettata a tale provvedimento restrittivo anche la persona residente nella zona coperta dallo stato di emergenza e contro la quale “ci siano seri motivi di ritenere che il suo comportamento costituisca una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico”;
-In secundis, le esigenze operative e gli obblighi aggiuntivi relativi agli arresti domiciliari devono essere giustificati e proporzionati alle ragioni del provvedimento adottato. Il giudice amministrativo ha la responsabilità di garantire che questa misura sia appropriata, necessaria e proporzionata allo scopo;
–In terzis, ai sensi dell’articolo 14 della legge del 3 aprile 1955, le misure di arresti domiciliari adottate in attuazione della presente legge cessano contemporaneamente allo stato di emergenza. Lo stato di emergenza dichiarato dal decreto del Consiglio dei ministri, che di regola dura per un periodo di dodici giorni, può essere prorogato con una legge che ne determini la durata. Su questo punto, il Consiglio costituzionale ha sottolineato, da un lato, che tale termine non può essere sproporzionato rispetto al pericolo imminente o alla calamità pubblica che ha portato alla dichiarazione dello stato di emergenza. Dall’altro lato invece, se il Parlamento estende lo stato di emergenza mediante una nuova legge, le misure adottate in precedenza relative agli arresti domiciliari non possono essere estese se prima non siano state rinnovate.
Strettamente connesso al quadro prospettato relativo alla regolamentazione ed evoluzione dello stato di emergenza in Francia è il progetto di riforma costituzionale presentato al Consiglio dei ministri lo scorso 23 dicembre. Il presidente francese Hollande ha voluto dare una prova di forza, dimostrando come non vi debba essere alcuna esitazione nella lotta al terrorismo, utilizzando tutte le misure necessarie a prevenire qualsiasi atto che possa ledere ulteriormente la sicurezza di una Nazione sconvolta dai tragici avvenimenti che l’hanno resa, Suo malgrado, protagonista della scena mondiale .
La riforma, un po’ a sorpresa rispetto a quanto aveva anticipato la stampa, prevede, oltre all’inserimento dello stato di emergenza nella Costituzione, la possibilità di privare della nazionalità francese i cittadini che abbiano un doppio passaporto in caso di condanna definitiva per terrorismo. Questo provvedimento riguarderà anche chi è francese dalla nascita e ha generato non poche sorprese nell’opinione pubblica. Sulla privazione della nazionalità, il Primo Ministro francese Valls ha parlato di «misura simbolica». Secondo i critici la norma introdurrebbe di fatto in Francia la presenza di due tipi di cittadini, con diversi diritti, e simbolicamente sarebbe molto pericolosa.
Il disegno di legge comincerà a essere discusso in Assemblea a partire dal 3 febbraio; dopo un passaggio al Senato sarà sottoposto al voto delle due camere riunite. Per essere approvato sono necessari i voti favorevoli dei 3/5 dei deputati e dei senatori. Il Primo Ministro Valls ha chiesto a tutti i partiti di unirsi nella lotta al terrorismo, ma l’esito della votazione appare incerto. I partiti a sinistra del PS (Front de Gauche e Verdi) hanno affermato che voteranno contro la riforma costituzionale, parlando di «assoluto scandalo». La destra dovrebbe appoggiare la riforma e Florian Philippot, vicepresidente del Front National, ha parlato di un probabile voto favorevole dei parlamentari di estrema destra al provvedimento, affermando come l’operato di Hollande stia per certi versi seguendo gli obiettivi politici di Marine Le Pen. Al momento sembra poco unanime anche l’azione dell’Esecutivo, al cui interno potrebbero esserci non pochi contrasti. Se è vero che François Hollande, da anni molto impopolare tra i francesi, dopo gli attentati di Parigi ha avuto un aumento del suo indice di gradimento, le decisioni sullo stato di emergenza, con oltre 2 mila perquisizioni, 210 fermi e 300 ordini di obbligo di domicilio, sono state molto criticate. La ministra della Giustizia, Christiane Taubira, poco prima della presentazione della riforma, aveva assicurato che la privazione della cittadinanza per i bi-nazionali nati francesi non sarebbe stata inserita; a seguito delle pesanti critiche rivolte dall’opposizione francese e ai disaccordi relativi all’azione governativa, la ministra Taubira ha rassegnato le proprie dimissioni: “Lascio il governo a causa di un disaccordo. Il pericolo terrorista che ci troviamo di fronte è grave. Credo però che sia importante non concedergli nessuna vittoria né militare, né diplomatica, né politica né simbolica”. Al suo posto è stato nominato Jean-Jacques Urvoas, un bretone di 56 anni definito dalla stampa francese “uomo d’ordine”, il quale dovrebbe riportare più compattezza in seno all’Esecutivo.