L’importanza delle Corti costituzionali nei processi di transizione – Recensione del volume: F. Biagi, Corti costituzionali e transizioni democratiche. Tre generazioni a confronto, Il Mulino, Bologna, 2016.

Il tema della transizione è stato estesamente trattato dalla dottrina. In particolare, i processi avviatisi in seguito alla disgregazione dell’URSS hanno dato slancio ad una serie di studi che costituiscono delle pietre miliari in tale ambito. Più recentemente, le riforme avviate in seguito alle c.d. “primavere arabe” hanno ravvivato l’interesse per la tematica.

Il volume di Biagi si inserisce in questo solco di studi, pur dedicandosi a un tema non particolarmente esplorato in quest’ambito. Generalmente le analisi della transizione si concentrano infatti sulla fase de-costituente, riguardante cioè la decadenza o la rottura di un ordine precostituito, e sulla fase costituente, in cui avviene la costruzione di un nuovo ordinamento[1]. Il merito del volume di Biagi è invece quello di sottolineare invece l’importanza della fase successiva all’elaborazione di un nuovo testo costituzionale. L’interesse dell’autore è infatti quello di indagare la rilevanza dei neo-istituiti sistemi di giustizia costituzionale nei Paesi alle prese con un processo di cambiamento della forma di stato, da autocratica a democratica.

La tesi centrale intorno a cui ruota tutto il ragionamento è che la transizione non possa dirsi compiuta con l’adozione di un nuovo testo costituzionale. Affinché infatti si possa parlare di transizione sostanziale è necessaria l’attuazione delle disposizioni costituzionali.

Tale locuzione va ad aggiungersi ad un già ricco repertorio che descrive aspetti peculiari della transizione, quali: transizioni controllate, transizioni imposte, transizioni dal basso, transizioni dall’alto, transizioni precoci, transizioni “finte”, transizioni ritardate, transizioni minime o apparenti, transizioni dal comunismo[2].

Essa ha tuttavia il merito di tentare di superare la dicotomia tra transizione e consolidamento democratico e la sua peculiarità è che non permette di identificare un limite temporale: come ben evidenziato da Biagi infatti ogni esperienza costituzionale possiede un suo arco temporale, dovuto alle particolari circostanze storico-politiche.

Il volume è accurato e ben strutturato: dopo un’introduzione dedicata allo «stretto legame tra i processi di transizione democratica e l’istituzione delle Corti costituzionali a partire dal secondo dopoguerra», l’autore si concentra su tre casi studio, appartenenti a tre epoche storiche distinte: 1) il caso della Corte costituzionale italiana, 2) il caso del Tribunale costituzionale spagnolo, 3) il caso della Corte costituzionale della Repubblica Ceca.

Lo studio dei tre casi permette di sviluppare un’analisi diacronica dell’inserimento del giudice costituzionale nelle nuove Costituzioni. Difatti l’ultimo capitolo è dedicato alla comparazione dell’azione delle tre Corti. In questa sezione l’autore sottolinea come, malgrado le difficoltà, le Corti abbiano affermato la normatività della Costituzione e individua i fattori principali di condizionamento della loro azione.

Metodologicamente, Biagi adotta un approccio comparato rigoroso: la ricerca verte infatti su tre ordinamenti europei, le cui Corti costituzionali appartengono a tre diverse generazioni[3].  La scelta dei casi trova inoltre giustificazione nel fatto che tali ordinamenti presentano alcune caratteristiche di base analoghe, aspetto questo che risulta fondamentale per la comparazione. L’autore sottolinea altresì le differenze esistenti tra i tre casi, in particolare la diversa natura del precedente regime illiberale, e non manca di fare riferimento ad altre esperienze coeve, come quella del Tribunale costituzionale tedesco e quella della Corte costituzionale ungherese.

L’impostazione seguita dall’autore si dimostra convincente: dopo aver ripercorso l’iter di creazione delle Corti costituzionali, egli prende in considerazione alcune questioni specifiche affrontate dai giudici costituzionali. Esse sono essenzialmente lenti attraverso cui vedere l’azione di attuazione delle disposizioni costituzionali per opera delle Corti.
Così ad esempio, per il caso italiano vengono presentate le seguenti questioni: quella relativa alla natura programmatica delle norme costituzionali, risolta con la prima sentenza della CC; le pronunce relative ai c.d. “culti acattolici”, allo sciopero e all’ordine pubblico.

Nel caso spagnolo vengono prese in considerazioni quattro linee di intervento: quella relativa all’affermazione del valore normativo di tutta la Costituzione, quella relativa al contrasto tra la “vecchia” legislazione e il testo costituzionale, il ruolo di tutela dei diritti fondamentali e l’attuazione della decentralizzazione politica dello Stato.

Nel caso della Repubblica Ceca, l’autore si concentra invece sull’azione della Corte costituzionale in materia di giustizia di transizione, di rango dei trattati internazionali sui diritti umani nell’ordinamento, e di diritto di voto e sistema elettorale.

La presentazione delle questioni specifiche sottoposte all’attenzione dei giudici costituzionali permette di evidenziare l’unicità di ogni singola esperienza. Al contempo però tale analisi permette all’autore di individuare alcune problematiche comuni, come quella della resistenza dimostrata inizialmente da parte della magistratura, nonché in alcuni casi da parte del Parlamento e del Presidente della Repubblica, e da alcuni settori della dottrina.

Malgrado le difficoltà iniziali, le Corti sono riuscite ad affermare la supremazia della Costituzione rispetto alla legislazione ordinaria e hanno svolto un ruolo fondamentale nell’affermazione e nel radicamento della cultura costituzionale nei singoli ordinamenti, seppur in tempi diversi.

Nella conclusione, Biagi sottolinea come l’esperienza europea non debba «indurre a pensare che la presenza di una Corte costituzionale sia di per sé garanzia di successo delle transizioni alla democrazia», dal momento che molto dipende dalla presenza e dalla diffusione di una cultura democratica tra le forze politiche e sociali.

Benché tale osservazione sia più che condivisibile, e questo nonostante la chiusura tradisca una diffidenza non sempre ben motivata nei confronti del complesso rapporto fra mondo arabo e democrazia.

Tale giudizio è invero mitigato dalla considerazione del fatto che tali Corti costituzionali «possono trarre importanti spunti e insegnamenti dalle loro “controparti” europee».

Infine, vale la pena di sottolineare che a livello stilistico, il volume è scorrevole e la sua lettura è consigliata a tutti coloro i quali sono interessati al tema delle transizioni costituzionali. In particolare, l’opera potrebbe aprire la strada ad ulteriori studi che, adottando la medesima impostazione teorica si concentrino su altri processi di transizione.

——————————————–

[1] O. Beaud, La puissance de l’Etat (1994), trad. it.La potenza dello Stato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002.

[2] A. Di Gregorio, Forme di governo e transizioni democratiche nell’Europa post-socialista, in L. Montanari, R. Toniatti, J. Woelk (cur.), Il Pluralismo nella transizione costituzionale dei Balcani: diritti e garanzie, Quaderni del Dipartimento di Scienze giuridiche, Trento, 2010, p. 14.

[3] L. Sólyom, The Role of Constitutional Court in the Transition to Democracy. With Special Reference to Hungary, in International Sociology, vol. 18, n. 1, 2003, p. 135.