Il ruolo del Parlamento Europeo nelle trattative internazionali: il caso del TTIP
1. I riflettori paiono essersi (almeno momentaneamente) spenti sui negoziati del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), che non più tardi di un anno fa erano al centro del dibattito europeo e statunitense. Già da diversi mesi l’avversione dimostrata dall’opinione pubblica di svariati Stati membri dell’Unione Europea (Germania e Francia in primis) aveva contribuito a mettere in dubbio l’esito positivo dei negoziati commerciali in corso. Se a ciò si somma il risultato delle elezioni presidenziali statunitensi e l’impronta “neo-protezionista” che, almeno stando alle dichiarazioni, Donald Trump intende dare alla sua amministrazione, l’incertezza circa le sorti dell’accordo appare più che giustificata. Quale che sia il futuro delle relazioni politico-commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, dal punto di vista delle dinamiche istituzionali interne all’Unione Europea le vicende sviluppatesi attorno al TTIP segnano comunque un precedente sotto almeno due punti di vista: il consolidamento del ruolo del Parlamento Europeo (PE) e la ridefinizione dell’equilibrio tra segretezza e trasparenza nell’ambito dei negoziati internazionali portati avanti dall’Unione.
2. E’ noto come, con il Trattato di Lisbona, il PE abbia visto un notevole ampliamento delle proprie attribuzioni relativamente all’azione esterna dell’UE, sia per quanto riguarda la definizione e (in parte) l’implementazione delle politiche commerciali dell’Unione, vedendosi riconosciuto il ruolo di co-legislatore (art. 207(2) TFUE), che in relazione alla conclusione di accordi internazionali. Se, infatti, le trattative internazionali sono portate avanti dalla Commissione, previo conferimento del mandato negoziale da parte del Consiglio, la decisione di concludere l’accordo, anch’essa deliberata dal Consiglio, è subordinata alla previa approvazione del PE, quando siano in gioco materie ritenute particolarmente sensibili (ad esempio accordi con ripercussioni finanziarie considerevoli per l’Unione) o, in generale, in cui il Parlamento è co-decisore (art. 218(6)(d) TFEU). Tale disposizione pone quindi nelle mani del PE un sostanziale potere di veto sul testo finale dell’accordo, senza però prevedere alcun canale formale attraverso cui il Parlamento possa influenzarne i contenuti, né ex ante, né in itinere. E’ tuttavia previsto in capo alla Commissione l’obbligo di tenere il Parlamento “immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della procedura” (art. 281(10) TFEU). Tale obbligo è specificato, in relazione alla politica commerciale comune, dall’art. 207(3) terzo periodo TFEU, secondo cui la Commissione è tenuta a riferire “periodicamente” al PE sui progressi dei negoziati. L’unico accenno ad una influenza più incisiva del Parlamento è contenuto all’allegato III dell’Accordo-quadro sulle relazioni tra il Parlamento europeo e la Commissione europea, secondo cui quest’ultima “tiene in debito conto le osservazioni del Parlamento durante le negoziazioni” (3) e “tiene informata la commissione parlamentare responsabile circa l’evoluzione dei negoziati e, in particolare, illustra in che modo le osservazioni del Parlamento siano state tenute in considerazione” (5). Queste ultime disposizioni non sono tuttavia dotate di carattere vincolante, operando esclusivamente a livello di correttezza politico-istituzionale.
A partire da questo pur ristretto margine, il Parlamento è riuscito, nel corso del tempo, a ritagliarsi un ruolo di sempre maggior peso, attraverso un’interpretazione congiunta delle disposizioni ricordate sopra, che finiscono così per valorizzare l’una il dettato dell’altra. Il PE ha infatti progressivamente dato forma a uno stretto legame tra obbligo di informazione e consenso finale, funzionalizzando il primo al secondo, in modo tale non solo da riuscire ad aumentare il flusso di informazioni tra Commissione e Parlamento, ma anche da rendere la minaccia del veto un efficace strumento per far sentire la propria voce in itinere, con la conseguente possibilità di influenzare, se non altro indirettamente, i negoziati anche dal punto di vista sostanziale. Le tappe attraverso cui si è affermata tale lettura “rinforzata” delle previsioni del TFEU coincidono con due “gran rifiuti” opposti dal Parlamento europeo alla conclusione di altrettanti accordi internazionali negoziati dalla Commissione. In entrambi i casi, ritenendo di non essere stato adeguatamente informato sul contenuto degli accordi, il parlamento ha negato il proprio consenso, bloccando così la conclusione del Terrorist Financial Tracking Agreement (SWIFT) nel febbraio 2010, e dell’Anti-Counterfaiting Trade Agreement (ACTA) nel giugno 2012. Sebbene in termini meno conflittuali, il TTIP può essere letto come la terza tappa di tale percorso di affermazione del Parlamento europeo nel quadro dell’azione esterna dell’Unione.
3. Riconducibile alla tipologia dei c.d. Preferential Trade Agreements, il TTIP non rappresenta di per sé una novità nel panorama europeo (si veda la comunicazione della Commissione “Global Europe: competing in the world” COM(2006)567). La “mole” delle parti sedute al tavolo delle trattative e la vastità dei temi oggetto dell’accordo e delle relative ripercussioni giustificano tuttavia l’attenzione istituzionale e mediatica da esso suscitata. Andando ben oltre le previsioni sull’abolizione delle barriere tariffarie per gli scambi di beni e servizi, tipiche dei trattati di libero scambio, il TTIP ambisce infatti a configurarsi come un vero e proprio strumento di global governance capace, oltre che di disciplinare le relazioni commerciali tra le parti contraenti, anche di porsi come standard setter rispetto a Paesi terzi.
Il Parlamento Europeo si è fin da subito approcciato in modo “propositivo” ai negoziati, attraverso un ampio lavoro di studio e documentazione sul tema e, soprattutto, tramite l’approvazione di tre risoluzioni (P7_TA(2012) 0388; P7_TA(2013) 0227; P7_TA-PROV(2015) 0252). Va tenuto presente che il PE, diversamente da una parte consistente dell’opinione pubblica europea, ha sempre espresso il proprio generale favore verso la conclusione dell’accordo, condividendo il disegno di fondo della Commissione e incentrando piuttosto le proprie critiche su singoli aspetti. Fra questi, quello della trasparenza sembra, più degli altri, in grado di illustrare l’influenza che il PE è stato in grado di esercitare sulla Commissione rispetto alla conduzione dei negoziati.
Questi si sono aperti nel luglio 2013, in un clima – come è prassi nell’ambito delle trattative internazionali, in particolare di natura commerciale – di elevata confidenzialità. Per quanto riguarda il PE, il principale canale di informazione circa l’andamento delle trattative era inizialmente costituito dai report della Commissione alla Commissione parlamentare per il commercio internazionale (INTA). L’accesso diretto ai documenti negoziali (in particolare ai consolidated texts, contenti una prima e provvisoria sintesi delle posizioni di entrambe le parti) era invece limitato a presidente, vicepresidenti, coordinatori dei gruppi e relatori della medesima commissione. Se con la risoluzione del 2012 il PE aveva espresso un deciso supporto per l’iniziativa negoziale, affermando il proprio impegno a lavorare per il rafforzamento delle relazioni economiche transatlantiche, è stato a partire dalla risoluzione del 2013 che esso ha iniziato a criticarne l’insoddisfacente trasparenza e a richiedere un maggiore coinvolgimento. In particolare, il PE ha ricordato alla Commissione “il suo obbligo di informare rapidamente ed esaustivamente il Parlamento in tutte le fasi dei negoziati (prima e dopo i cicli di negoziato)”, anche in ragione del fatto che “al parlamento sarà chiesta l’approvazione del futuro accordo […] e che, di conseguenza, si dovrà tenere debitamente conto delle sue posizioni in tutte le fasi”. Consapevole della posta in gioco, la Commissione si è dimostrata sensibile a tali istanze, inaugurando nel Novembre 2014 un nuovo approccio alla trasparenza nei negoziati. Nell’ambito della sua Transparency initiative (C(2014) 9052), la Commissione si è impegnata ad ampliare il novero dei documenti accessibili al pubblico (inclusi position papers e le textual proposals europee) e, per quanto riguarda il PE, ad estendere l’accesso ai consolidated texts: dal dicembre 2015, a seguito di un considerevole lavoro di mediazione, tutti i parlamentari europei hanno accesso alle “sale di lettura” dove è possibile consultare i documenti riservati. Nella terza e, ad oggi, ultima risoluzione, risalente al 2015, il PE ha incoraggiato la Commissione ad “approfondire la stretta cooperazione e mirare a un dialogo ancora più intenso e strutturato con il Parlamento, che continuerà a seguire da vicino i negoziati e a dialogare […] onde garantire risultati a vantaggio dei cittadini dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e di altri Paesi”. L’impegno del PE si è espresso anche in favore dei parlamenti nazionali, esortando gli Stati membri, a “rafforzare il dialogo […] allo scopo di tenerl
i adeguatamente informati in merito ai negoziati in corso”. Anche in questo caso, le pressioni parlamentari sono andate a buon fine, e nel corso della primavera 2016 sono state predisposte, nella gran parte degli Stati membri, ulteriori sale di lettura, dove i membri delle assemblee nazionali possono consultare i documenti negoziali riservati.
4. La vicenda descritta si presta a diverse letture, anche critiche (l’accresciuta trasparenza è stata in grado di costituire un canale di legittimazione indiretta alla conclusione dell’accordo? Il PE ha saputo problematizzarne in chiave democratica la sostanza?) e comunque provvisorie, dato lo stato “sospeso” dei negoziati; l’aspetto su cui si vuole qui concentrare l’attenzione è però quello del consolidamento del “potere contrattuale” del PE, se non altro per quanto riguarda l’iter previsto per la conclusione di accordi internazionali.
Va tenuto presente che il PE non è stato il solo a richiedere maggiore trasparenza, essendo stato affiancato dal Mediatore Europeo, dai parlamenti nazionali riuniti nella Conferenza delle Commissioni Affari Europei dei Parlamenti dell’Unione Europea (COSAC) e dall’opinione pubblica. Tuttavia, se considerata insieme ai precedenti rappresentati da ACTA e SWIFT, la vicenda del TTIP indica un percorso di graduale consolidamento del ruolo del PE rispetto alla Commissione. Basta ricordare il tradizionale assetto dei rapporti tra legislativo ed esecutivo nell’ambito della politica estera, come configurato nella maggior parte delle costituzioni continentali (con una netta predominanza del secondo sul primo), e le stesse previsioni del TFUE, per apprezzare l’avanzamento della posizione del PE. Il rafforzamento reciproco tra adeguata informazione e coinvolgimento parlamentare, da un lato, e consenso finale, dall’altro, che il PE è riuscito a imporre (anche in modo conflittuale, come ricordano i precedenti del 2010 e del 2012), ha consentito all’assemblea di operare un’efficace pressione sulla Commissione, come il caso del TTIP suggerisce in relazione alla trasparenza delle trattative. Il PE è infatti riuscito ad ottenere un grado di trasparenza senza precedenti nell’ambito delle trattative commerciali, aprendo uno spazio concreto per un controllo in itinere dell’operato della Commissione, in un ambito che si presenta allo stesso tempo come altamente specialistico e con importanti ricadute economiche e sociali.