Effettività intertemporale e legalità formale nella lotta all’emergenza climatica, alla luce dell’art. 8 CEDU, secondo l’Alta Corte di Irlanda

Con sentenza del 10 gennaio 2025, l’Alta Corte irlandese per la pianificazione e l’ambiente (The High Court Planning & Environment, caso Coolglass v. An Bord Pleanála) si è pronunciata sul rifiuto di autorizzazione urbanistica di un parco eolico, applicando, quale parametro della propria decisione, la sentenza CEDU “Verein KlimaSeniorinnen” del 9 aprile 2024 (53600/20), con specifico riguardo al suo paragrafo 550.
Si tratta del primo caso, all’interno di un paese del Consiglio d’Europa, nel quale si discute di efficacia intertemporale della mitigazione climatica, secondo tutti i canoni indicati da Strasburgo.
Com’è noto, infatti, il paragrafo 550 della decisione “Verein KlimaSeniorinnen” contiene i requisiti definiti «necessari» per «valutare se uno Stato sia rimasto all’interno del suo margine di apprezzamento» nel contrasto, non solo tempestivo ma anche intertemporalmente efficace, all’emergenza climatica, a garanzia, presente e futura, dei diritti umani presidiati dall’art. 8 CEDU.
Di conseguenza, esso individua il limite esterno alla discrezionalità (rectius, margine di apprezzamento) dello Stato, nell’esercizio dei propri doveri positivi di protezione dei suoi abitanti.
Nello specifico, il paragrafo 550 statuisce che qualsiasi autorità nazionale, «a livello legislativo, esecutivo o giudiziario», debba tenere «in debito conto» cinque «necessità» di contenuto del potere pubblico:
«(a) adottare misure generali che specifichino un obiettivo temporale per il raggiungimento della neutralità del carbonio e il bilancio complessivo del carbonio rimanente per lo stesso periodo di tempo, o un altro metodo equivalente di quantificazione delle future emissioni di gas serra, in linea con l’obiettivo generale degli impegni nazionali e/o globali di mitigazione dei cambiamenti climatici;
(b) definire obiettivi e percorsi intermedi di riduzione delle emissioni di gas serra (per settore o altre metodologie pertinenti) che siano ritenuti in grado, in linea di principio, di raggiungere gli obiettivi nazionali complessivi di riduzione dei gas serra entro i tempi previsti dalle politiche nazionali;
(c) fornire prove che dimostrino se hanno debitamente rispettato, o sono in procinto di farlo, i relativi obiettivi di riduzione dei gas serra (vedere i precedenti commi (a)-(b));
(d) mantenere aggiornati gli obiettivi di riduzione dei gas serra con la dovuta diligenza e sulla base delle migliori prove disponibili; e
(e) agire tempestivamente e in modo appropriato e coerente nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle misure pertinenti».
Queste cinque «necessità» sono state tradotte concretamente dalla Corte irlandese su due fronti:
– in termini di divieto di «interpretazioni annacquate» («watered-down interpretations») della legislazione nazionale e di quella europea, nella loro conformità con l’art. 8 CEDU;
– in termini di obbligo di previo assolvimento, da parte di qualsiasi autorità nazionale, incluse quelle amministrative locali, del rispetto, in sede di procedimenti e provvedimenti di propria competenza, di tutti e cinque i requisiti elencati appunto dal suddetto paragrafo 550 di “Verein KlimaSeniorinnen”.
In definitiva, questo paragrafo, e più in generale la sentenza CEDU del 9 aprile, assurgono a strumento prioritario di scrutinio di tutte le azioni, legislative, pianificatorie e provvedimentali, di lotta al cambiamento climatico.
La ragione di questo rigore, spiega sempre il Giudice irlandese, deriva dalla situazione di fatto dell’emergenza climatica quale «critical risk to human and other natural life on earth», accertato, a livello di spazio giuridico del Consiglio d’Europa, dalla Corte di Strasburgo, e nei cui confronti anche il giudice nazionale, operante nel medesimo spazio giuridico, si deve ergere a garante dell’effettività intertemporale, dunque dell’adeguatezza, delle decisioni assunte dai poteri pubblici, senza arrestarsi alla mera constatazione della loro attuazione formale secondo quanto previsto dalle fonti di legittimazione, siano esse nazionali o europee.
Ne deriva che l’art. 8 CEDU, nei contenuti indicati sempre dal paragrafo 550 di “Verein KlimaSeniorinnen”, si rivela «imperativo» verso qualsiasi fonte interna e quelle unionali europee, estendendosi a tutti i procedimenti produttivi di impatti climatici, persino se riguardanti iniziative di mitigazione, come l’installazione di fonti di energia rinnovabile, dove la riduzione di gas serra potrebbe far supporre l’intrinseca utilità intertemporale dell’opera.
Proprio per questo, anche quando è la stessa legge a legittimare la mitigazione, come, nel caso irlandese, il Climate Action and Low Carbon Development Act del 2015, il «rispetto» della «logica di KlimaSeniorinnen» dev’essere comunque verificato, affinché l’effettività intertemporale della lotta all’emergenza climatica si mantenga prioritaria rispetto alla legalità a-temporale della conformità tra atti.
In definitiva, l’importanza della decisione irlandese, nel contesto del Consiglio d’Europa, risiede in questa affermazione del primato dell’effettività intertemporale dei contenuti (corrispondenti ai cinque requisiti del citato paragrafo 550), sulla legalità a-temporale delle forme.
Per un paese come l’Italia, la cui discrezionalità statale nella lotta all’emergenza climatica non solo non è stata mai esercitata al suo massimo livello (mancando da sempre una legge sul clima), ma neppure trova effettiva realizzazione a livello amministrativo (sussistendo solo il PNIEC per pedissequa esecuzione della normativa europea, per di più in un contenuto ad oggi non definitivo, pendendo ancora la valutazione ambientale strategica: cfr. MASE, Valutazioni e autorizzazioni ambientali), si aprono scenari inediti di contenzioso soprattutto nella giurisdizione amministrativa, dove tutte le autorizzazioni implicanti effetti climatici, anche se a fini di mitigazione, potranno comunque essere impugnate in nome dell’art. 8 CEDU e della decisione “Verein KlimaSeniorinnen”, rivendicando il medesimo vaglio interpretativo non «watered-down», richiesto dalla Corte irlandese, in nome non solo dell’art. 117, comma 1, Cost., data la collocazione interposta della CEDU, ma soprattutto dei riformati artt. 9 e 41 Cost., letti dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 105/2025 come «preciso dovere» delle «generazioni attuali» di «preservare le condizioni» affinché le generazioni future «pure possano godere di un patrimonio ambientale il più possibile integro, e le cui varie matrici restino caratterizzate dalla ricchezza e diversità che lo connotano» (punto 5.1.2 del Considerato in diritto).
Difatti, quel «dovere» delle «generazioni attuali» (ossia dei poteri decisionali di oggi), per essere «preciso» nel «preservare le condizioni» delle generazioni future (quindi nel proiettarsi sull’effettività intertemporale), difficilmente potrà non tenere «in debito conto» le «necessità» di contenuto, elencate dal paragrafo 550 di “KlimaSeniorinnen”; e questo sia perché quel paragrafo è – formalmente – sovraordinato alle fonti legislative interne di abilitazione delle «generazioni attuali», sia perché – concretamente – alternative ai cinque requisiti CEDU non risultano individuate da nessun’altra fonte esistente, né di cognizione sulle soluzioni all’emergenza climatica né di produzione delle conseguenti norme di contrasto.
La pretermissione del paragrafo 550, e, con esso, dello stesso art. 8 CEDU, sarebbe possibile solo negando l’esistenza del «critical risk to human and other natural life on earth», accertato dalla Corte di Strasburgo.
Ed è questo l’altro risvolto logico consegnatoci dal giudice irlandese: se c’è un «critical risk», accertato da un giudizio sovraordinato, non può non esserci responsabilità e giudizio sull’effettività intertemporale delle soluzioni ad esso nei livelli nazionali di riferimento.