Istruzioni messicane per distruggere l’indipendenza giudiziaria

1. La riforma della magistratura messicana del 2024 analizzata in questa sede da Diego Valadés rappresenta un attacco frontale all’indipendenza giudiziaria. Imponendo l’elezione di tutti i giudici della Repubblica messicana tramite voto popolare, senza prestare alcuna attenzione al merito, all’esperienza e al profilo giudiziario dei candidati; senza prevedere l’impatto sul sistema, né fare previsioni circa il costo che lo Stato dovrà sopportare a causa del pensionamento anticipato di migliaia di giudici e funzionari; senza una proiezione dell’impegno economico e organizzativo che la votazione in un’unica giornata comporterà, l’annunciata trasformazione del sistema giudiziario non è altro che una falsa via d’uscita per porre rimedio a quelle criticità – reali o immaginarie – che il Presidente López Obrador ha più volte richiamato per fare della “corporazione giudiziaria” il suo acerrimo nemico.
Insieme ad altre sei riforme costituzionali approvate in tempo record, senza discutere o audire le parti interessate, tanto meno l’opposizione, quella promulgata il 15 settembre 2024 conferma lo stato di degrado in cui versa l’autorità statale in un paese in cui la giustizia è ben lontana dall’essere “pronta e spedita” come previsto dall’art. 17 della Costituzione. Il nostro contributo cerca di descrivere le azioni e le omissioni che hanno portato allo smantellamento dell’indipendenza della magistratura, fino a quest’ultimo atto.

2. Il modello messicano di indipendenza giudiziaria che si è interrotto bruscamente il 15 settembre 2024 era nato durante i mandati presidenziali di Carlos Salinas (1988-1994) e Ernesto Zedillo (1994-2000). L’aria dei tempi puntava al libero mercato e il risultato aspettato fu l’accordo North American Free Trade Agreement (NAFTA) con gli Stati Uniti e il Canada. Con il Trattato firmato, il successo economico sembrava assicurato.
Tuttavia, l’attuazione di questo progetto di modernizzazione si rivelò tutt’altro che semplice per i due Presidenti. Durante il mandato di Salinas, l’apertura e la diversificazione dell’economia nazionale divennero una priorità, nonostante la crescita delle disuguaglianze sociali (basti pensare alla cruda realtà della rivolta zapatista, scoppiata il 1° gennaio 1994, lo stesso giorno dell’entrata in vigore del NAFTA). Con il mandato di Zedillo, l’attenzione fu rivolta alla creazione di uno Stato di diritto compatibile con le istituzioni dei nuovi partner commerciali. La sua prima riforma costituzionale, appena assunto l’incarico, mirava non a caso a ribadire il ruolo dei giudici di ogni grado quali garanti dello sviluppo economico nazionale.
La ricostruzione del sistema giudiziario è stata in quegli anni la pietra angolare delle riforme economiche e, pertanto, del paradigma neoliberale che l’Obradorato sta ora puntando a smantellare. La stagione della indipendenza giudiziaria si inaugura nel 1994 con la creazione del Consiglio della Magistratura, concepito per separare le funzioni giudiziarie da quelle esercitate dai funzionari pubblici di carriera, incaricati di determinare in modo obiettivo la designazione e la promozione di nuovi giudici e magistrati. L’autonomia giudiziale è stata inoltre rafforzata migliorando le condizioni lavorative e salariali, mentre venivano fissati obiettivi a lungo termine e istituiti processi di controllo, valutazione e concorsi.
D’altra parte, e nonostante lo sforzo, bisogna riconoscere che una vera separazione tra giudici e amministrazione non è mai stata raggiunta: i giudici stessi hanno insistito nel mantenere funzioni amministrative al fine di poter gestire direttamente le risorse; gli alti dirigenti hanno comunque continuato a svolgere funzioni di amministrazione. A ciò si aggiunga che c’è stata una corsa alla nomina di parenti e amici attraverso concorsi simulati o designazioni incrociate. Sebbene la Legge Organica Giudiziaria e il Consiglio della Magistratura Federale abbiano implementato la carriera giudiziaria con nomine meritocratiche (attraverso concorsi e formazione continua di tutti gli operatori, con promozioni graduali fino alle posizioni di giudice e magistrato), una percentuale di nomine ha iniziato a sfuggire a questi criteri. Il nepotismo all’interno della magistratura si è diffuso soprattutto a partire dal Duemila. Progressivamente la manifesta arroganza dei giudici federali nei confronti dei giudici statali, unita alla disparità di stipendio, ha contribuito a consolidare l’idea che la magistratura federale fosse invero una casta a cui si poteva accedere solo se si avevano i parenti giusti nelle alte sfere del sistema. Vera o falsa che fosse, quest’idea ha cominciato a diffondersi dapprima nei circoli di avvocati per poi generalizzarsi, in breve tempo, nell’opinione pubblica, a causa di comportamenti inappropriati, ma anche di opportunità che gli stessi giudici hanno perso per rafforzare la propria reputazione.

3. Negli ultimi trent’anni, una parte dei giudici e degli operatori del diritto hanno contribuito, con l’inazione, la complicità o l’apatia, a minimizzare gli abusi perpetrati dai rami esecutivo e legislativo. Lo smantellamento del sistema di pesi e contrappesi, che ha accompagnato le riforme costituzionali qui discusse, non è casuale.
Con la riforma giudiziaria del 1994, la Suprema Corte (SCJN) acquistò un ruolo di contrappeso rispetto al sistema politico dotandosi di una procedura che ha permesso di risolvere un maggior numero di conflitti di potere e di esercitare per la prima volta un controllo previo di costituzionalità. D’altra parte, diversi attori politici (soprattutto quelli dell’opposizione) hanno così potuto trasferire le lotte politiche nell’arena giudiziaria, inondando i tribunali federali di cause.
In breve tempo la magistratura ha conquistato sempre maggiore credibilità agli occhi dei cittadini, in particolare grazie alla politica di contrasto agli abusi di potere avviata già alla fine degli anni Novanta. La magistratura in quegli anni sembra effettivamente raggiungere un alto livello di rispettabilità al punto che presidenti e i governatori pur esprimendo critiche alle sentenze che non li favorivano, le ottemperavano.
Il notevole miglioramento della percezione sociale dei giudici iniziò a diminuire quando si cominciò a constatare la disparità degli aumenti salariali del personale giudiziario, che strideva di fronte all’incapacità di far fronte all’impunità diffusa e alla lentezza dei processi. Gli avvocati iniziarono a mostrare una certa insofferenza per l’incoerenza del sistema basato sul vincolo al precedente e per l’attività legislativa dedicata a introdurre nuovi aggravi procedurali, inutili e innecessari al punto da apparire assurdi. La burocrazia del sistema giudiziario cresceva ogni anno, mentre il volume di lavoro veniva distribuito in modo sempre più inefficiente e arbitrario tra i tribunali di istanza inferiore.
La situazione è andata ancora peggiorando in corrispondenza di un’altra importante riforma costituzionale, quella sui diritti umani del giugno 2011. Ogni volta che gli organi internazionali (sia delle Nazioni Unite che della Commissione interamericana) dedicati a monitorare l’indipendenza giudiziaria hanno formulato raccomandazioni che esortavano i più alti livelli della magistratura a fornire un resoconto dettagliato del numero di sentenze, dei funzionari assunti o delle risorse spese dall’apparato giudiziario. Ma il conteggio non è stato accompagnato da concrete misure di politica giudiziaria per ridurre i livelli crescenti di impunità e i ritardi dell’azione giudiziaria. Il potere giudiziario si è comportato in modo tutt’altro che responsabile, non cogliendo tra le altre cose l’opportunità di chiedere pareri agli organismi di cooperazione internazionale come la Commissione di Venezia, di cui il Messico è membro a pieno titolo dal 2011. Sebbene si trattasse di un incoraggiante spazio di cooperazione, i benefici per il Messico si sono limitati al funzionamento del Tribunale elettorale. In tutti questi anni, i magistrati della SCJN avrebbero potuto cercare di richiedre l’opinione di esperti riconosciuti dal Consiglio d’Europa o dalla Commissione Interamericana per i casi più controversi (come il controllo delle riforme costituzionali o l’aumento della militarizzazione). Ma non è stato fatto quando era possibile.
Negli anni successivi le cose non sono andate meglio. Nell’ambito dell’amparo, il procedimento è andato deteriorandosi e la nuova legge sull’amparo votata nel 2013 per determinare un miglioramento dello stato dell’arte ha fallito nel suo intento di semplificare i processi giurisdizionali. È diventato sempre più difficile avviare una causa senza l’assistenza di un avvocato specializzato, anche nelle controversie più elementari. Non sono state destinate risorse sufficienti per migliorare le capacità degli uffici di difesa pubblica, pensati per garantire un diritto alla difesa gratuito e di livello. Le persone apparivano sempre più indifese nei confronti della magistratura.
Nel frattempo, la SCJN sembrava evadere le proprie responsabilità incrementando i rinvii ai tribunali federali piuttosto che risolverli autonomamente, considerandoli questioni prive di rilevanza costituzionale. Non esercitando la piena giurisdizione come tribunale di ultima istanza costituzionale, la Suprema Corte preferiva evitare tensioni con i governatori o con le legislature locali o federali, piuttosto che risolvere i casi. Il sistema di giustizia pertanto finiva per chiudere i singoli casi senza risolvere le problematiche strutturali sottese.
D’altra parte, per mettere in crisi il sistema esistevano anche altre vie che non richiedevano necessariamente revisioni costituzionali. Dato che il controllo a priori e la risoluzione delle controversie tra organi richiedevano maggioranze di 8 voti su 11 magistrati per addivenire a decisioni di incostituzionalità, le minoranze di blocco sono state costruite con facilità, dal momento che bastava poter contare su 4 voti per evitare una dichiarazione di incostituzionalità. Questo limite dell’art. 105 della Costituzione è frutto dell’iniziativa del Presidente Zedillo, nel 1994, ma nessun altro Presidente ha cercato di rivederlo. La norma non è stata nemmeno messa in questione dalla magistratura o dalla avvocatura. Senza dubbio, è stata l’apatia degli operatori giuridici che ha fatto perdere rispettabilità all’interpretazione costituzionale.
Ogni volta che venivano votate sentenze che riaffermavano l’importanza della loro giurisdizione, i giudici stessi facevano passi indietro. Dopo la riforma giudiziaria del 1994, la SCJN ha stabilito in due sentenze di amparo (AR 2996/1996 e AR 1334/1998) la propria competenza alla revisione delle violazioni del procedimento legislativo nel caso di riforme costituzionali. Ciò implicava che se l’Alta Corte era aperta a giudicare sulle procedure per l’approvazione delle riforme costituzionali, era anche possibile controllarne il contenuto. Tuttavia, questa ipotesi non si è verificata. Piuttosto, è stata neutralizzata attraverso tutti i canali procedurali possibili. Così, sia nelle controversie costituzionali (CC 82/2001, Ricorso di revisione 361/2004) che nei ricorsi di incostituzionalità in materia elettorale (AI 168/2007 e il suo accumulo 169/2007), così come negli amparo (AR 186/2008, AR 519/2008 e AR 2021/2009); in tutte queste cause, la Suprema Corte ha negato la possibilità di controllare la compatibilità con la Costituzione di una riforma costituzionale, senza nemmeno entrare nel merito delle questioni sollevate al tribunale.

4. Dall’arrivo al potere del Presidente illiberale López Obrador nel 2018, l’inefficienza e il nepotismo che avevano invaso gran parte del sistema giudiziario federale, hanno costituito l’argomento centrale del discredito che il nuovo Presidente è andato alimentando contro la magistratura, basandosi su disfunzioni segnalate dall’interno del Consiglio della magistratura: in media, il 51% dei giudici e magistrati federali aveva un parente che lavorava nel potere giudiziario. Tuttavia, le suddette critiche non sono state prese in considerazione dall’alta gerarchia giudiziaria. Il modello di amministrazione giudiziaria sembrava ben concepito; era dotato di risorse adeguate; venivano indetti concorsi per i posti di lavoro e, in misura significativa, venivano soddisfatti i criteri di professionalizzazione. Ma la notorietà degli eccessi di casta e del personale -che, sebbene sporadici, sono rimasti quasi del tutto impuniti- ha reso evidente che i difetti non riguardavano la configurazione, ma l’implementazione del sistema.
Queste evidenze hanno alimentato le ripetute invettive del Presidente López Obrador contro i giudici, anche se gli attacchi presidenziali si sono resi manifesti solo nel momento in cui qualche giudice ha emesso sentenze che hanno bloccato riforme di interesse del Presidente, o quando qualche giudice federale ha annullato atti dell’amministrazione federale che ostacolavano azioni importanti. Con l’argomento della difficoltà contro-maggioritaria, il Presidente non ha mai messo in discussione l’inefficienza e la corruzione, spesso più gravi, all’interno delle procure incaricate di avviare le indagini penali.
Le tensioni tra il Presidente e la magistratura si sono tradotte in un forte disagio sociale, che negli anni Novanta, gli anni dell’apertura democratica, ha gravitato intorno i partiti e i rami dell’esecutivo e legislativo. La genialità di López Obrador come manipolatore di messaggi è consistita nel far sì che la gran parte dell’elettorato considerasse tutti i giudici, senza eccezioni, come paria, la causa di tutti i mali del Paese: tutti corrotti, esponenti del conservatorismo e quindi nemici del popolo. Il messaggio ha dato i suoi frutti in una strategia elettorale travolgente, che ha ripreso le suddette azioni e omissioni dei giudici stessi, al fine di esporli senza doverli indagare. Lo scopo non era quello di risolvere la crisi della giustizia, ma di alimentare il declino della reputazione di coloro che ostacolavano i progetti presidenziali più arbitrari, di fronte all’autoproclamata infallibile sovranità dei rappresentanti eletti. Il disagio elettorale si è tradotto nel 54% dei voti totali espressi nelle elezioni presidenziali del 2024 a favore della candidata del partito al governo Claudia Sheinbaum, al primo turno.
Per zittire gli oppositori più accaniti, è stato ordito un piano tessuto a partire dall’iniziativa di riforme lanciata il 5 febbraio 2024, ben sei mesi prima della fine del mandato di Obrador. La schiacciante maggioranza elettorale del 2 giugno ha messo a tacere il resto dei partiti concorrenti.
Durante il periodo del presidenzialismo egemonico (1930-1997), il partito del Presidente (il PRI) contava con un numero sufficiente di seggi per riformare la Costituzione senza bisogno dell’opposizione. Dalle elezioni legislative del 1997 -quando i partiti di opposizione sono riusciti, per la prima volta, a mettere in minoranza il partito del Presidente- le riforme alla Costituzione sono state frutto di grandi negoziazioni. Per evitare la paralisi del Congresso, tutti i partiti hanno accettato di stabilire nella Costituzione una percentuale di sovrarappresentazione che desse stabilità alla maggioranza del Presidente. Però questa percentuale è stata concepita partendo dal presupposto che il sistema dei tre partiti non sarebbe mai cambiato.
Quando nel 2024 l’elettorato votò ampiamente (54%) a favore dei deputati al governo, la regola della sovrarappresentazione devastò l’opposizione, perché nonostante avesse ottenuto il 46% dei voti, il tasso di sovrarappresentazione la ridusse al 26% dei seggi, perdendo così ogni possibilità di blocco. Il nuovo assetto di potere ha condizionato tutte le dinamiche del Congresso i cui organismi direttivi (la Mesa Directiva e la Giunta di coordinamento politico di entrambe le Camere) sono finiti sotto il controllo di un unico gruppo parlamentare.
Il colpo di grazia è arrivato dalla messa in campo di sedici riforme costituzionali, approvate in entrambe le Camere e ratificate in tempo record, in media una ogni 4 giorni, dalla super-maggioranza della legislatura che ha assunto l’incarico il 1° settembre 2024 a livello federale. I contrappesi al potere presidenziale sono stati così smantellati come atto di commiato di un Presidente irresponsabile. Una dopo l’altra, le riforme sono state approvate da entrambe le Camere nel giro di pochi minuti, per poi essere ratificate poche ore dopo dalla maggioranza dei 32 congressi statali, anch’essi controllati da maggioranze pro-governo. Un colpo che compromette l’integrità dell’ordinamento istituzionale messicano.
Nell’ultimo mese del governo del Presidente uscente, le tensioni tra i sostenitori di quest’ultimo e la presidenza della Suprema Corte sono state aggravate dalla chiusura dei tribunali in segno di protesta per quelli che sono stati considerati attacchi alla magistratura federale. Per la prima volta nella nostra storia, i giudici si sono mobilitati, facendo proclami contro la vena autocratica del Presidente uscente e cercando di resistere. Ma non ci sono riusciti. C’è stato ancora un ultimo tentativo da parte di tre partiti di opposizione di presentare alla SCJN un ricorso per dichiarare l’incostituzionalità della riforma giudiziaria del 15 settembre (AI 164/2024). Ma il tentativo non è riuscito, dal momento che l’archiviazione è stata resa possibile grazie ad un quarto voto che si è unito a quello delle tre magistrate più fedeli al Presidente così da riuscire a bloccare l’azione. Il blitzkrieg di Obrador non poteva più essere riesaminato perché la stessa Corte aveva stabilito che non era possibile esaminare nel merito la costituzionalità delle riforme costituzionali, per quanto scomode potessero risultare. Nessuno sa come si svolgeranno le elezioni giudiziarie del giugno 2025 e 2027. Oggi sappiamo solo che ci sono stati atti e omissioni che hanno portato alla distruzione dell’indipendenza giudiziaria con mezzi formalmente democratici.