Sorge il sole in Messico, ma non mancano le nuvole all’orizzonte

Il 2 giugno 2024 è stata una giornata storica per il Messico.
Era stato già annunciato come un risultato altamente probabile: per la prima volta nella storia messicana, una donna è stata eletta come Presidentessa della Repubblica.
Si tratta di Claudia Sheinbaum, rappresentante della coalizione Sigamos Haciendo Historia, nata dall’unione del partito dell’attuale Presidente Andrés Manuel Lopez Obrador (a cui si fa riferimento anche con l’acronimo di AMLO), Movimiento Regeneración Nacional (MORENA), il Partido del Trabajo (PT) e il Partido Verde Ecologista de México.
Claudia Sheinbaum è una donna con esperienza politica e una seria formazione accademica e scientifica. È stata eletta con quasi il 60% dei voti.
Se osserviamo l’elezione messicana attraverso il prisma della prospettiva di genere, la vittoria di Claudia non è solo quella che le ha permesso di arrivare alla Presidenza della Repubblica: è una vittoria per tutte le donne.
Ma non è tutto oro quello che luccica, e anche nelle giornate dove il sole sembra splendere nel cielo, all’orizzonte possono avvicinarsi delle nuvole cariche di pioggia.
E in questo caso, la possibile tormenta in arrivo è una minaccia per la democrazia e per lo Stato di diritto. MORENA ha ottenuto anche la maggioranza qualificata (con 373 dei 500 seggi) nella Camera dei Deputati e quella assoluta al Senato (ottenendo 83 senatori su un totale di 128 seggi), così come 6 delle 8 governature a livello statale, (si vedano i risultati ufficiali pubblicati nella pagina dell’Istituto Nazionale Elettorale).
Per poter comprendere appieno la forte tormenta che potrebbe abbattersi sul Messico, dobbiamo voltarci indietro e osservare il passato e, allo stesso tempo, guardare in avanti, per cercare di capire cosa ci aspetta (senza avere la pretesa di essere indovini, ovviamente).
Dal punto di vista storico, il presidenzialismo messicano (costituzionalizzato sin dal 1824) si è sempre caratterizzato per una forte concentrazione del potere nell’organo esecutivo. Si tratta di un effetto determinato sia dal dettato costituzionale, che riconosce competenze e facoltà molto ampie al Presidente, ma anche (e specialmente) da elementi extra-giuridici di natura politica e culturale. In particolare, tali facoltà “meta-costituzionali” hanno portato al superamento del (fragile) sistema costituzionale di checks and balances previsto nella Costituzione messicana del 1917 (il cui disegno costituzionale è stato ispirato dal costituzionalismo statunitense; cfr. Spigno).
Sin dall’inizio, quello messicano è stato un presidenzialismo “puro” e autoritario (Carpizo). Il Presidente della Repubblica ha sempre concentrato una grande fetta di potere fino al punto di modificare de facto la stessa Costituzione, esercitando un penetrante controllo sia sull’organo legislativo che sul potere giudiziario e sui governi statali, specialmente grazie allo sviluppo di quelle facoltà “meta-costituzionali”, comunque sostenute da tutti gli attori politici e di fatto esercitate dal titolare del potere esecutivo come se si trattasse di attribuzioni legittime (cfr. Valádes).
Tale concentrazione del potere è stata una risposta del cd. “movimento costituzionalista” (che sarà poi recepito durante il processo costituente del 1917), alla situazione caotica successiva alla conclusione della Rivoluzione del 1910. Oltre a segnare la caduta del regime di Porfirio Díaz, la fine del movimento rivoluzionario provocò anche una profonda crisi istituzionale a causa della frammentazione del potere tra diversi attori politici e sociali, alla quale fecero seguito vari anni di conflitti tra i diversi leader politici e militari locali (i cd.  caudillos) (cfr. Valádes).
Probabilmente la cura fu peggiore della malattia: difatti, la previsione di checks and balances nella Costituzione del 1917 non impedì una nuova concentrazione del potere politico nella figura del Presidente. Questa forma di presidenzialismo “forte” è stata accompagnata e supportata dall’egemonia di un partito unico (prima Partido Nacional Revolucionario, poi convertitosi nel Partido Revolucionario Institucional – PRI) che ha governato per oltre 70 anni in tutti i livelli di governo.
Tale periodo di tempo è stato battezzato come la “dittatura perfetta” (Ruiz Lagier).  Tendenze democratiche convivevano con dinamiche autoritarie, riuscendo a permeare le principali strutture politico-amministrative, anche grazie alla quasi totale assenza di controlli ed equilibri con gli altri poteri che erano di fatto subordinati all’esecutivo. Mancava un potere legislativo indipendente (le Camere erano degli strumenti di ratifica delle iniziative legislative e delle decisioni politiche del titolare del potere esecutivo) e, di fatto, il potere giudiziario era sottomesso alla volontà del Presidente, incidendo in modo rilevante sul sistema di pesi e contrappesi creato dalla stessa Costituzione.
Esistevano quindi tutte le condizioni ideali per una “tempesta democratica perfetta”.
La crisi della “dittatura perfetta” cominciò grazie ai movimenti sociali iniziati negli anni Sessanta del secolo scorso per poi raggiungere il culmine prima nel risultato delle elezioni legislative del 1997 (che permise un processo di alternanza politica a causa della perdita della maggioranza parlamentare per il PRI) e poi con l’elezione presidenziale del 2000, vinta per la prima volta nella storia da un candidato del Partido de Acción Nacional (PAN): Vicente Fox Quesada (Spigno).
Iniziava così una fase di transizione e alternanza politica.
Nel 2018, dopo due mandati presidenziali governati dal PAN (2000-2006 e 2006-2012) e uno dal PRI (2012-2018), le elezioni presidenziali sono state vinte dal partito MORANO e il suo fondatore, Andrés Manuel López Obrador, è stato eletto Presidente della Repubblica.
Cominciava così la cd. “quarta trasformazione” (Elizondo Mayer-Sierra). Con tale espressione, lo stesso AMLO indica come il suo Governo rappresenti il quarto momento chiave della storia messicana: il primo sarebbe quello dell’indipendenza, all’inizio del XIX secolo, quando il Messico si è liberato da 300 anni di dominio spagnolo; il secondo è rappresentato dalla cd. “riforma”, che indica la guerra tra liberali e conservatori dal 1858 al; il terzo è la Rivoluzione, intesa come il conflitto armato contro il regime di Porfirio Díaz che si svolse tra il 1910 e il 1917.
Nel 2018, AMLO ottenne oltre il 53% dei voti nazionali (cfr. Falomir et al.), riuscendo anche a far ottenere al suo partito la maggioranza al Congresso Nazionale. Si è tornati così a una situazione di “governo unificato”, che aveva caratterizzato il periodo della “dittatura perfetta”.
Ci troviamo di fronte a un caso nel quale la “quarta trasformazione” in realtà “puzza di vecchio”? Specialmente nel primo triennio del suo mandato (2018-2021) (cfr. Dussauge Laguna e Aguilar Aréval), il Presidente López Obrador ha potuto contare con il sostegno del suo partito per approvare iniziative legislative (anche costituzionali) senza la necessità di ricorrere alla negoziazione con altri partiti (difatti durante LXIV Legislatura, le iniziative presidenziali hanno ricevuto un’approvazione del 93,1%). La situazione è parzialmente cambiata con l’elezione parlamentaria del 2021, quando la maggioranza “morenista” nel Congresso è diminuita notevolmente.
Lo scenario politico che si sta presentando per i 6 anni di governo di Claudia è piuttosto simile: ci troviamo di nuovo in un momento storico e politico di forte concentrazione del potere nell’esecutivo che, oltre a rinvenire la propria fonte nei poteri costituzionali, riesce anche a controllare e incidere sul comportamento legislativo grazie alla grande maggioranza parlamentare, consentendogli di influenzare indirettamente un organismo che da solo è – o almeno dovrebbe essere – un contrappeso politico.
Inoltre, la candidata eletta riceve un’“eredità” piuttosto ingombrante. Difatti, lo scorso 5 febbraio (data non scelta a caso, visto che simbolicamente coincide con l’anniversario della promulgazione dell’attuale Costituzione del 1917), e quindi pochi mesi prima dell’elezione presidenziale e della fine del mandato dell’attuale presidente (prevista per il 1° ottobre 2024), AMLO ha presentato una serie di proposte di riforme costituzionali.
Il fil rouge di tali iniziative consiste nel modificare tutte quelle disposizioni costituzionali che possono avere un contenuto che va contro il “potere del popolo” e che, secondo quanto sostenuto dallo stesso AMLO, sarebbero state introdotte negli ultimi decenni durante il periodo “neoliberista”. Tali proposte prevedono, tra le altre cose, delle importanti riforme all’attuale sistema pensionistico, la riduzione sostanziale dei finanziamenti pubblici ai partiti per lo svolgimento delle campagne elettorali e la riduzione del numero dei parlamentari.
Tra le iniziative presentate una desta profonda preoccupazione: si tratta di quella che propone modificare l’attuale procedimento di nomina dei giudici federali (e quindi anche dei magistrati della Suprema Corte di Giustizia della Nazione), per introdurre un meccanismo che implicherebbe l’elezione popolare. Secondo una disposizione transitoria, gli attuali magistrati dovrebbero abbandonare la propria posizione e lasciare il posto a quelli che sarebbero eletti il prossimo anno.
Nonostante sia sorto il sole in Messico, con l’elezione della prima Presidentessa donna, le nuvole potrebbero comparire presto nel cielo della democrazia messicana.