Il Sudafrica al voto nel trentennale della transizione democratica

“Our people have spoken. Whether we like it or not, they have spoken. We have heard the voices of our people and we must respect their choices and their wishes.”
Cyril Ramaphosa, 29 Maggio 2024

Sono trascorsi trent’anni da quando, per la prima volta nella storia del Paese, i Sudafricani tutti, a prescindere dal colore della pelle, sono stati chiamati a sancire con un voto libero e democratico la fine dell’apartheid, ad aprire una nuova tappa nel processo di transizione democratica e ad entrare nell’”età dei diritti” e delle “costituzioni secondo il costituzionalismo”. Tra quelle elezioni del 26-29 aprile 1994 e quelle del 29 maggio 2024 si sono svolte altre sei tornate elettorali nazionali e provinciali, che avvengono contestualmente, sei elezioni locali ed una serie di elezioni suppletive. Tutte regolate e controllate dalla Independent Electoral Commission, una delle diverse autorità indipendenti previste dalla Costituzione del 1996 a presidio dell’ordinamento democratico. Da quelle prime elezioni del 1994 molto è cambiato: il Paese si è avviato verso un processo di consolidamento democratico dimostrando, come per altro hanno fatto una serie di altri Paesi del Sud del mondo, che le regole democratiche non sono appannaggio esclusivo dell’Occidente; ha fatto i conti con il passato in maniera relativamente pacifica ed inclusiva attraverso il lavoro della Truth and Reconciliation Commission e delle istituzioni democratiche; ha mantenuto, seppur con fatica, un sistema economico capace di crescere e soprattutto ha salvaguardato quel pluralismo politico ed istituzionale che è elemento essenziale per il buon funzionamento della democrazia.
Le speranze e le aspettative, nel 1994, erano assai elevate. Superare l’apartheid e stabilire un sistema di governo democratico fondato su regole condivise avrebbe dovuto condurre milioni di persone fino ad allora sostanzialmente private dei diritti alla piena cittadinanza fondata sull’appartenenza ad una comune “nazione arcobaleno”, avrebbe dovuto condurre al superamento delle profonde disuguaglianze socio-economiche, avrebbe dovuto, in breve, assicurare una vita migliore per tutti, come recitava il manifesto elettorale di Nelson Mandela. Se è vero, dunque, che nei primi tre decenni di democrazia il sistema ha dato prova sostanzialmente di reggere sotto il profilo politico ed economico, è altrettanto vero che molte delle aspettative del 1994 sono restate inattese. Il Sudafrica resta un Paese profondamente diseguale, con uno degli indici di distribuzione della ricchezza peggiore al mondo secondo i dati della Banca Mondiale, in cui, pur in presenza di una crescente borghesia africana, la povertà resta prerogativa quasi esclusiva della popolazione non-bianca, in cui l’accesso all’acqua ed ai servizi di base non è garantito all’intera popolazione, in cui la vita quotidiana è resa complessa dalla violenza diffusa, dall’inefficienza dei trasporti, da frequenti interruzioni dei servizi energetici, in cui le politiche abitative, l’istruzione e sanità pubbliche sono lontane dal garantire la pienezza dei diritti socio-economici riconosciuti dalla costituzione, malgrado la loro invocabilità in giudizio sia stata a più riprese sancita dalla Corte costituzionale (a partire dalla sentenza apripista in materia Government of the Republic of South Africa and Others v Grootboom and Others n.11/2000).
Nel 1994 la partecipazione al voto, pur in assenza di un vero e proprio registro elettorale, era stata massiccia. Quasi l’87% degli elettori aveva votato e il consenso per l’African National Congress (ANC), il principale movimento di liberazione nazionale che aveva per decenni condotto la lotta contro l’apartheid e che era stato uno dei protagonisti più importanti della transizione, aveva raggiunto il 62,6%, il National Party (NP), il partito del governo, il 20,4% e l’Inkatha Freedom Party (IFP), un partito a base regionale e fortemente ancorato all’identità Zulu, il 10,5%. L’ANC aveva ottenuto la maggioranza anche in 7 delle 9 province, il NP aveva conquistato il Western Cape e l’IFP il KwaZulu-Natal.
Da quelle elezioni, la partecipazione al voto, pur rimanendo elevata, è scesa costantemente -salvo il picco delle elezioni del 1999, che registrarono una partecipazione superiore all’89%-, fino alle elezioni di quest’anno, che hanno registrato il dato peggiore in assoluto, arrivando a poco meno del 59%. Per esercitare il diritto di voto, ai sensi dell’Electoral Act 73 del 1998, è necessaria la registrazione spontanea presso le sedi locali della Independent Electoral Commission (che vanta una presenza capillare sul territorio). Per comprendere dunque la significatività della partecipazione al voto, è necessario ponderare il tasso di partecipazione rispetto al tasso di registrazione. Secondo i dati più recenti, relativi a febbraio 2024, solo poco più di 27 milioni di Sudafricani, sui 43 milioni di maggiorenni, sono iscritti nel registro elettorale, il che significa che a poter esercitare realmente il diritto di voto è circa il 64% dei potenziali elettori. Il dato più preoccupante è la disaffezione dei giovani: la fascia di età tra i 18 ed i 29 anni resta quella più sotto-rappresentata.
Al di là di questi, importanti, elementi di contesto, il dato più interessante delle elezioni del 29 maggio 2024 è che, per la prima volta dalla transizione, l’ANC, che dal 1994 deteneva saldamente la maggioranza dei seggi nella camera bassa del Parlamento, la National Assembly, ha perso la maggioranza assoluta, ottenendo il 40,18% dei voti, ovvero aggiudicandosi solo 159 seggi (erano 230 nella passata legislatura) su 400.
Che si trattasse delle elezioni più aperte e contendibili dal 1994 era chiaro da tempo a tutti i Sudafricani. Dopo tre decenni di governo -il Sudafrica ha rappresentato un esempio perfetto del sistema politico democratico che i politologi definiscono “a partito dominante” – l’ANC si è presentata alle elezioni logorata dalle aspettative deluse, dagli scandali, molti dei quali legati alla corruzione, e da una crescente insoddisfazione da parte di tutti quei Sudafricani che, a giusto titolo, si sarebbero attesi una classe politica capace di guidare il Paese verso una piena affermazione dei diritti. La perdita di consensi dell’ANC non si è, però, riversata sul tradizionale partito di opposizione, la Democratic Alliance (DA), un partito di stampo liberale nato nel 2000 dall’unione del National Party e del Democratic Party, il partito di opposizione parlamentare durante l’apartheid, che si conferma il secondo partito con il 21,81% e 87 seggi, che ha guadagnato circa un punto in percentuale e solo 3 seggi. Hanno perso consensi anche il partito degli Economic Freedom Fighters (EFF), un partito di estrema sinistra, che è passato da 44 a 39 seggi. Sostanzialmente stabile tra il 3 ed il 4% l’Inkhata Freedom Party, che è passato da 14 a 17 seggi. La vera novità delle elezioni del 2024 è stato il neonato Umkhonto weSizwe (MK), una formazione di stampo populista, a cui ha aderito l’ex-Presidente Jacob Zuma, che prende il nome-non senza contestazioni- dal braccio armato dell’ANC, capace di raccogliere quasi il 15% del voto, soprattutto nella provincia del KwaZulu Natal, e di conquistare 58 seggi parlamentari. L’ex- Presidente Zuma, già condannato per corruzione nel 2021, è stato al centro di un’aspra vicenda giudiziaria che si è conclusa solo alla viglia del volto, con una sentenza della Corte costituzionale il 20 maggio 2024, in cui la Corte ha confermato la costituzionalità della norma che impediva a Zuma, in quanto condannato ad una pena superiore ai 12 mesi di prigione, di essere eletto. Ciò non ha ostacolato l’affermarsi del MK come nuovo protagonista sulla scena politica sudafricana. Il primo atto di tale protagonismo è stato il ricorso presentato l’11 giugno alla Corte costituzionale per impedire la prima convocazione della National Assembly il 14 giugno, sulla base di sospette irregolarità elettorali.
Alle elezioni del 29 maggio si sono presentate oltre 40 formazioni politiche, ma solo 18 hanno ottenuto seggi nella National Assembly, ripartiti su base proporzionale, come previsto dall’art. 46 della Costituzione. Il primo scoglio che il Parlamento si troverà ad affrontare nella prima seduta, il 14 giugno 2024 o in altra data se la Corte costituzionale sospenderà la convocazione a seguito del ricorso dell’MK, sarà l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica che, nella forma di governo quasi parlamentare del Paese, è anche il capo del governo legato, appunto, alla National Assembly da un rapporto di fiducia. La Costituzione (art.6 allegato 3) prevede che il Presidente sia eletto “a maggioranza”, senza specificare se si tratti di maggioranza relativa o assoluta. Fino ad oggi, la questione non era stata né considerata né dibattuta dalla dottrina, in quanto l’ANC aveva sempre avuto oltre il 50% dei seggi della National Assembly. L’art. 7 del medesimo allegato, che disciplina il procedimento di elezioni successive nel caso nessun candidato riceva la maggioranza dei voti, con l’“eliminazione” del candidato di volta in volta meno votato, induce a pensare che si debba intendere “maggioranza” come il 50% più uno dei voti, ma per la prima volta si sperimenterà questo meccanismo elettorale in occasione della prossima seduta della National Assembly.
Il Presidente Cyril Ramaphosa, leader dell’ANC e nuovamente candidato alla Presidenza, ha proposto ai partiti principali presenti in Parlamento di convergere in un governo di unità nazionale, che il Paese aveva già sperimentato sotto la guida di Nelson Mandela dal 1994 al 1996. Il panorama politico, però, pare assai complesso a causa dei veti incrociati dei diversi partiti. Senza dubbio lo scenario di un’alleanza tra ANC e DA avrebbe rassicurato il mondo economico e, probabilmente, avrebbe potuto rappresentare una possibile strada per un percorso politico di riformismo di matrice liberale ma, ad oggi, pare un’opzione rischiosa per l’ANC in quanto potrebbe ulteriormente lasciare spazio all’estrema sinistra ed alle rivendicazioni identitario-populiste dell’MK.
L’alternanza al potere è vitale per le democrazie. Da tempo la dottrina più critica si interrogava sull’esistenza di una reale alternativa all’ANC. Le elezioni del 2024 sembrano dimostrare che la lealtà della maggioranza dei Sudafricani verso il movimento di liberazione che ha sconfitto l’apartheid non può più essere data per scontata. Ma ancora non si vede un partito capace di proporsi come alternativa reale all’ANC, che resta l’architrave del sistema politico sudafricano, con tutte le sue contraddizioni.