Verein KlimaSeniorinnen and others v. Switzerland: una conferma del ruolo fondamentale dei diritti umani per la tutela del clima
La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo
Con sentenza del 9 aprile scorso, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso in senso favorevole ai ricorrenti, l’associazione svizzera delle donne anziane per il clima (Verein Klimaseniorinnen Schweiz) e quattro cittadini, sulle omissioni della Confederazione elvetica in tema di mitigazione dai cambiamenti climatici, fondando le proprie pretese sugli articoli 2 (diritto alla vita), 6 (diritto a un equo processo), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione.
La causa si inserisce in un filone di contenziosi promossi da associazioni e cittadini nei confronti dei governi nazionali ritenuti responsabili di realizzare azioni “non sufficientemente ambiziose” per il contrasto al cambiamento climatico, a dispetto delle evidenze scientifiche internazionali che sottolineano da tempo la necessità di intervenire in maniera effettiva con politiche di mitigazione e adattamento (v. i Reports pubblicati da IPCC a partire dal 1990). Le azioni sono proposte nei confronti dei pubblici poteri sia all’interno dei sistemi giurisdizionali nazionali, sia nei confronti della Corte europea dei diritti dell’uomo, la cui giurisprudenza ha assunto nel corso del tempo ampi effetti conformativi degli ordinamenti giuridici degli Stati che vi aderiscono. Non è un caso che lo strumento pattizio maggiormente invocato all’interno dei contenziosi climatici europei, anche nelle giurisdizioni domestiche, sia proprio la CEDU che, insieme alla giurisprudenza evolutiva della Corte EDU, ha consentito di tutelare anche interessi di carattere ambientale, nonostante la Carta non contempli espressamente il diritto a un ambiente sano o salubre.
I passaggi principali della sentenza
In via preliminare, ai fini della proponibilità dell’azione, la Corte è tenuta a verificare se i ricorrenti persone fisiche possiedano lo status di vittime ai sensi dell’art. 34 della Carta e se l’associazione ricorrente possieda la legittimazione ad agire per conto di tali soggetti, c.d. locus standi.
Con riferimento alle prime, la Corte nota che, se da un lato, «there is cogent scientific evidence demonstrating that climate change has already contributed to an increase in morbidity and mortality», dall’altro, «given the nature of climate change and its various adverse effects and future risks, the number of persons affected, in different ways and to varying degrees, is indefinite». Questa premessa spiega l’atteggiamento restrittivo adottato dalla Corte. Così essa se da un lato sottolinea la necessità di utilizzare un criterio ampliativo per ammettere la legittimazione delle persone fisiche con riferimento a questioni ambientali, dall’altro, però ribadisce il suo orientamento tradizionale secondo cui il ricorrente deve dimostrare di essere stato personalmente e direttamente colpito dalle azioni od omissioni contestate.
In particolare, secondo la Corte andrebbero dimostrate, nel campo specifico del cambiamento climatico, due condizioni: una alta esposizione agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, dimostrando di essere direttamente colpiti dall’azione o dall’omissione pubblica in maniera significativa; la necessità e l’urgenza di garantire la protezione individuale del ricorrente a causa dell’assenza o dell’inadeguatezza di qualsiasi misura ragionevole per ridurre il danno. La Corte ammette che la soglia di soddisfazione di questi criteri è particolarmente alta e il suo raggiungimento dipende da un’attenta valutazione delle circostanze del caso concreto.
Con riferimento alla legittimazione delle associazioni, la Corte ammette che «in modern-day societies, when citizens are confronted with particularly complex administrative decisions, recourse to collective bodies such as associations is one of the accessible means, sometimes the only means, available to them whereby they can defend their particular interests effectively». La Convenzione, infatti, non prevede l’istituto della actio popularis: il compito della Corte EDU normalmente non è quello di giudicare della legge e della sua applicazione in abstracto, ma di determinare se il modo in cui sono state applicate concretamente le norme possa pregiudicare i diritti protetti dalla Convenzione. L’importanza del ricorso a soggetti collettivi per difendere gli interessi connessi a fenomeni ambientali, emerge inoltre da un altro strumento pattizio di carattere internazionale, la Convenzione di Aarhus, che richiede agli Stati firmatari (tra i quali tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa) di garantire alle organizzazioni non governative un ampio accesso alla giustizia in materia ambientale (v. art. 9, Convenzione di Aarhus) al ricorrere di determinati requisiti. Dunque, ai fini dell’art. 34 CEDU, occorre verificare se l’associazione ricorrente sia lawfully established, able to demonstrate its purpose, qualified and representative to act on behalf of members or other affected individuals.
Ma mentre la Corte riconosce la legittimazione a ricorrere dell’associazione, riscontrando nella fattispecie l’esistenza di tutti i requisiti, non riconosce lo status di vittima ai singoli ricorrenti, in quanto «while the above findings undoubtedly suggest that the applicants belong to a group which is particularly susceptible to the effects of climate change, that would not, in itself, be sufficient to grant them victim status (…). It is necessary to establish, in each applicant’s individual case, that the requirement of a particular level and severity of the adverse consequences affecting the applicant concerned is satisfied, including the applicants’ individual vulnerabilities which may give rise to a pressing need to ensure their individual protection» (par. 531).
Nel merito, la Corte assorbe le censure mosse con riferimento all’art. 2 (diritto alla vita) in quelle di cui all’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), affermando, sulla base di una evoluzione interpretativa dei principi giurisprudenziali elaborati in materie rilevanti per l’ambiente, che:
– conformemente al principio di sussidiarietà, le autorità nazionali hanno la responsabilità di garantire i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione e, nel farlo, godono di un certo margine di discrezionalità, soggetta al controllo della Corte;
– che nella ponderazione di tali interessi, tenuto conto delle evidenze scientifiche che sottolineano la gravità del rischio di raggiungere il punto di irreversibilità, la Corte ritiene giustificato che la protezione del clima dovrebbe avere un peso considerevole;
– il campo di applicazione della protezione fornita dall’art. 8 si estende agli effetti negativi sulla salute umana, sul benessere e sulla qualità della vita derivanti da varie fonti di danno ambientale o dal rischio di danno ambientale.
Secondo la Corte, lo Stato deve dunque “fare la sua parte”: «the State’s primary duty is to adopt, and to effectively apply in practice, regulations and measures capable of mitigating the existing and potentially irreversible, future effects of climate change» (par. 545).
L’obbligazione è desumibile sia dal nesso di causalità esistente tra cambiamento climatico e garanzia dei diritti umani (provato dalle evidenze scientifiche), sia dal fatto che la protezione di tali diritti necessita di essere pratica ed effettiva, non solo teorica e illusoria. Inoltre, sulla base degli impegni assunti in sede internazionale, è importante che ciascuno Stato contraente adotti misure per la riduzione sostanziale e progressiva dei rispettivi livelli di emissione al fine di raggiungere la neutralità climatica entro i prossimi tre decenni. In questo contesto, affinché le misure siano efficaci, spetta alle autorità pubbliche agire in tempo utile, in modo appropriato e coerente.
La Corte, a questo punto, provvede a delineare più concretamente “l’obbligazione climatica”. Affinché gli obiettivi possano essere raggiunti, anche per evitare un onere eccessivo in capo alle generazioni future, è necessario intraprendere azioni immediate da incorporare in un quadro normativo vincolante a livello nazionale, seguito da una adeguata e coerente attuazione. In tale contesto, la Corte sottolinea che il margine di apprezzamento concesso agli Stati è ridotto particolarmente ridotto: dati gli obiettivi vincolanti, essi possono intervenire solo sulla scelta dei mezzi opportuni.
A questo punto, l’attenzione si sposta sui criteri di giudizio concernenti l’esercizio della discrezionalità affidata agli Stati (par. 550). La Corte sottolinea la necessità di indagare se le autorità nazionali (a livello legislativo, esecutivo o giudiziario) abbiano debitamente preso in considerazione di:
– adottare misure che indichino una timeline per il raggiungimento della carbon neutrality e il carbon budget rimanente, quantificando le future emissioni di gas a effetto serra;
– stabilire obiettivi e percorsi intermedi di riduzione delle emissioni;
– provare di aver rispettato, o di essere in procinto di rispettare, gli obiettivi di riduzione assegnati;
– mantenere aggiornati gli obiettivi di riduzione dei gas serra con la dovuta diligenza e sulla base delle migliori tecniche disponibili;
– agire in modo tempestivo, appropriato e coerente durante l’elaborazione e l’attuazione della legislazione e delle misure attuative.
Ma una protezione efficace dei diritti degli individui dagli effetti del cambiamento climatico impone di integrare le misure di mitigazione con misure di adattamento (volte ad alleviare le conseguenze più gravi o imminenti) e con misure di carattere procedurale (consistenti in obblighi di disclosure e di partecipazione alla elaborazione e attuazione delle suddette misure).
L’applicazione dei principi al caso di specie
A seguito della valutazione delle politiche svizzere in tema di cambiamento climatico, la Corte EDU riscontra la violazione dell’art. 8 della Convenzione, poichè «there were some critical lacunae in the Swiss authorities’ process of putting in place the relevant domestic regulatory framework, including a failure by them to quantify, through a carbon budget or otherwise, national GHG emissions limitations. Furthermore, the Court has noted that, as recognised by the relevant authorities, the State had previously failed to meet its past GHG emission reduction targets».
Dunque, non avendo agito in tempo utile e in modo adeguato e coerente per quanto riguarda l’elaborazione, lo sviluppo e l’attuazione del quadro legislativo e amministrativo pertinente, lo Stato convenuto ha travalicato i margini di discrezionalità a esso attribuiti non rispettando gli obblighi positivi su di esso incombenti.
Considerazioni conclusive
La decisione della Corte EDU presenta alcuni rilevanti profili di interesse.
Il primo consiste nell’aver delineato un test, composto da cinque fasi, di valutazione circa la conformità dell’esercizio dei pubblici poteri al rispetto delle obbligazioni assunte in sede internazionale, che potrà essere utilizzato nei futuri contenziosi promossi anche innanzi alle giurisdizioni nazionali. In tal modo, i limiti esterni e interni all’esercizio del potere discrezionale vengono compiutamente tracciati, ponendo l’accento sulla necessità di calcolo del carbon budget residuo.
Il secondo concerne l’aver cristallizzato le condizioni per l’accesso alla giustizia climatica innanzi alla Corte EDU da parte delle associazioni di protezione ambientale. Infatti, mentre il caso in esame veniva deciso in senso favorevole (solo però con riferimento) all’associazione ricorrente, due altri casi proposti innanzi alla stessa Corte, Duarte Agostinho v. Portugal and 32 other States e Carême v. France, venivano dichiarati inammissibili, l’uno per non aver esaurito i rimedi giurisdizionali interni, l’altro per carenza del requisito della vicinitas (per utilizzare un termine domestico) desumibile dall’art. 34 CEDU con riferimento alle persone fisiche.
Infine, il contenzioso convenzionale mostra ancora una volta che la via più effettiva per ottenere pronunce favorevoli alle pretese riguardanti il clima è quella dei diritti umani, seguendo il filone inaugurato in Olanda dal caso Urgenda. Ma ottenere pronunce favorevoli non significa ottenere il risultato favorevole. Per far ciò, occorre che i pubblici poteri siano concretamente indirizzati verso l’obiettivo della neutralità climatica, poiché la mera affermazione di un diritto non è sufficiente a garantirne la protezione.
In tale contesto, e nel diffondersi di pronunce favorevoli ai ricorrenti climatici, anche l’Italia, nei limiti delle peculiarità che caratterizzano il nostro ordinamento “a diritto amministrativo”, dovrà trovare la sua strada, diversa da quella intrapresa innanzi al Tribunale civile di Roma, per consentire una tutela giurisdizionale dell’interesse sottostante, soprattutto in considerazione della recente novella degli articoli 9 e 41 della Costituzione.