We travel in uncharted territory. L’insurrezione di Trump secondo il Colorado e il lungo inverno dello scontento americano
Nell’autunno 2023 un gruppo di elettori del Colorado presentava una petition alla Corte distrettuale di Denver, chiedendo che l’ex Presidente Trump non venisse ammesso alle primarie statali per la scelta del candidato del Partito repubblicano alla Casa bianca, in quanto egli – “avendo partecipato all’insurrezione del 6 gennaio 2021” – risulterebbe “squalificato” ai sensi della Sezione 3 del XIV Emendamento alla Costituzione federale (in avanti “Sezione 3”), varato nel 1868.
In primo grado, la Corte distrettuale di Denver il 17 novembre 2023 aveva ritenuto da un lato che Trump fosse effettivamente incorso nella fattispecie di insurrezione delineata dalla Sezione 3, ma dall’altro che questa previsione non fosse applicabile al Presidente degli Stati Uniti, respingendo pertanto la petizione.
In appello, la Corte suprema del Colorado, con sentenza del 19 dicembre 2023 presa a maggioranza dei componenti (4-3), correggendo questa seconda parte della decisione distrettuale e confermandone per il resto l’argomentazione, riteneva l’ex Presidente Trump squalificato ai sensi della Sezione 3.
Consapevole di aver intrapreso un viaggio in “un territorio inesplorato”, la Corte ha poi disposto la sospensione dell’esecutività della sentenza fino al 4 gennaio 2024 (giorno antecedente alla certificazione dei candidati), aggiungendo che qualora nel frattempo fosse stata richiesta una revisione alla Corte suprema federale – eventualità poi verificatasi – la sentenza sarebbe stata da intendersi sospesa fino al pronunciamento del consesso federale.
Si tratta del primo caso nella storia statunitense in cui viene applicata la c.d. insurrection clause alla carica presidenziale (ritenuta, come si vedrà, un office under the United States). L’ultimo caso di rilievo sembra risalire al 1919, quando in base alla Sezione 3 venne negata, dallo stesso Congresso, l’elezione a deputato del socialista Victor Berger, colpevole di aver boicottato lo sforzo bellico americano durante la prima Guerra Mondiale (per un approfondimento storico sulla previsione del XIV Emendamento si veda il recente studio di Graber).
Al di là degli effetti giuridici di questa pronuncia (appunto sospesi, per cui ad oggi Trump può partecipare alle primarie del Partito repubblicano in Colorado), dell’attenzione che ha suscitato tanto questo processo (che ad esempio è stato seguito passo passo da Magliocca su Balkinization) quanto altri casi (in Maine, il 28 dicembre 2023, il Segretario di Stato ha raggiunto una decisione molto simile, ma anche in questo caso sospendendola), e al di là delle ripercussioni effettive sull’andamento della campagna per le elezioni di novembre 2024 (la corsa di Trump alle primarie repubblicane, peraltro sostanzialmente già vinte, procede spedita verso il c.d. Super Tuesday), è utile qui provare a tracciare qualche confine di questo “unchartered territory” che la Corte suprema del Colorado propone di esplorare.
Si riportano quindi alcuni dei principali argomenti alla base di questa decisione.
1. Secondo i giudici del Colorado, il codice elettorale statale consente di contestare l’elettorato passivo di Trump ai sensi della Sezione 3 del XIV Emendamento: è vero che la petition solleverebbe questioni di natura costituzionale, ma la stessa viene ancorata all’analisi dei poteri di un funzionario (il Segretario di Stato, che ha il compito di certificare e validare le candidature) ai sensi del predetto codice elettorale. Dopotutto, la seconda clausola della Sezione 1 dell’Articolo II della Costituzione autorizza le assemblee statali a definire le procedure elettorali dei candidati presidenziali e col tempo gli Stati sono giunti a elaborare codici anche molto articolati, come appunto quello del Colorado.
1.2 Secondo la Corte non è necessario che il Congresso approvi una legislazione attuativa della Sezione 3 del XIV Emendamento: si tratta, infatti, di una previsione self-executing.
A tal proposito non è ritenuto conferente il richiamo alla Sezione 5 del medesimo Emendamento, che dà al Congresso il potere di dare esecuzione alle previsioni di quell’articolo: la Corte suprema federale, nei Civil Rights Cases (1883), aveva infatti detto che il XIV Emendamento “is undoubtedly self-executing without any ancillary legislation, so far as its terms are applicable to any existing state of circumstances”.
I resistenti invitano allora a considerare il c.d. Griffin’s Case del 1869, nel quale il signor Griffin contestava la condanna penale subìta, ritenendola nulla perché comminata da un giudice che, avendo precedentemente perso parte all’insurrezione contro la federazione, doveva ritenersi “squalificato” ex Sezione 3; in questo caso il Chief Justice Chase aveva osservato che, a riconoscere immediata operatività alla Sezione 3, si sarebbe rischiato di svuotare e paralizzare gli uffici pubblici, che all’epoca vedevano ancora impiegate persone inevitabilmente colluse con l’insurrezione sudista. Ma la Corte del Colorado non si ritiene vincolata da questo precedente, viste soprattutto la contingenza storica e la cautela che ne informavano l’argomentazione.
1.3 In Colorado non ha avuto presa neanche la c.d. political question doctrine: una controversia, secondo i giudici statali, implica una questione politica “solo quando questa è testualmente assegnata dalla costituzione all’organo politico o quando mancano pratici standard giudiziari per risolverla” (così citando dal caso Nixon v. United States, 1993). E se da un lato, non può darsi il primo caso (come visto, la Costituzione federale autorizza gli Stati a legiferare sul tema), dall’altro non può darsi neanche il secondo, essendo indubbia la presenza nella Sezione 3 di “judicially discoverable and manageable standards”.
2, Punto cruciale della sentenza è l’applicabilità della Sezione 3 al Presidente degli Stati Uniti, figura che non è letteralmente nominata dalla previsione costituzionale.
La Corte suprema del Colorado ritiene – ribaltando in questo unico ma decisivo punto la decisione di primo grado – che a) la Presidenza è un “ufficio, civile o militare, presso gli Stati Uniti”, b) il Presidente è un “ufficiale degli Stati Uniti”, e c) quello prestato dal Presidente ai sensi dell’Articolo II della Costituzione è un giuramento “di difendere la Costituzione degli Stati Uniti”. Si tratta dei tre elementi che identificano il soggetto delineato dalla Sezione 3.
Secondo i giudici di primo grado, non essendo letteralmente nominata, la Presidenza degli Stati Uniti non potrebbe ritenersi inclusa in una generale definizione di “ufficio civile o militare”. Secondo i giudici della Corte suprema del Colorado, invece, bisogna intendere i concetti nel loro significato normale e non secondo “interpretazioni tecniche od oscure che non sarebbero state capite da semplici cittadini al tempo della ratifica” (così citando dal caso District of Columbia v. Heller, 2008). E da un’agile consultazione di dizionari, dibattiti parlamentari e stampa dell’epoca, si può chiaramente dedurre che la Presidenza non era stata inclusa nel dettato della Sezione 3 semplicemente perché era ovviamente ritenuta un ufficio pubblico. E se è vero che senatori e deputati, a differenza del Presidente, sono espressamente nominati nella previsione, è anche vero che in nessun punto della Costituzione queste figure sono intese come “uffici”, quanto piuttosto come “membri” dei rispettivi organi: la Costituzione invece si riferisce alla Presidenza come “ufficio” ben venticinque volte.
I giudici distrettuali avevano poi rilevato che la Presidenza era stata inizialmente contemplata in una versione iniziale della Sezione 3, per cui la sua successiva espunzione non potrebbe rimanere senza rilievo. Ma la Corte suprema del Colorado, citando ancora da Heller, ricorda che “è sempre pericoloso ricavare il significato di una previsione che è stata adottata da un’altra che nel corso dell’iter decisionale era stata poi eliminata”.
In conclusione – dicono i giudici del Colorado dopo aver impiegato gli argomenti di una delle sentenze più iconiche della dottrina originalista – questa interpretazione è corroborata dalla storia costituzionale sottostante all’adozione del XIV Emendamento.
3. Specifico motivo di ricorso in appello alla Corte suprema del Colorado è stata poi la contestazione, da parte dei resistenti, di aver ammesso come elemento probatorio in primo grado alcune parti del report del Congresso sui fatti 6 gennaio 2021.
Si tratta del rapporto stilato dalla Commissione d’inchiesta su quei fatti, secondo i difensori di Trump del tutto inaffidabile e partigiano, in quanto firmato da parlamentari che avevano già votato a favore del suo impeachment prima che l’inchiesta iniziasse, perché gli esponenti del Partito democratico erano sette contro i due del Partito repubblicano, e in generale perché basato su un pregiudizio politico nei confronti di Trump. Secondo la Corte suprema del Colorado questi elementi provano troppo: tutte le commissioni parlamentari d’inchiesta si basano su un certo grado di motivazione politica e in ogni caso le relative risultanze non sono per ciò stesso inammissibili ai sensi delle regole processuali applicabili (punto 803.8 delle Colorado Rules of Evidence).
La Corte ricorda comunque che, ai sensi delle stesse regole, lo standard di revisione sui fatti accertati in primo grado è debole, per cui la censura ricorre solo in caso di “chiaro errore” nella loro ricostruzione; ciò a differenza dell’analisi in diritto, che è piena.
Rileggendo così le parti dell’inchiesta ammesse in primo grado, la Corte conclude che solo due delle undici risultanze dell’inchiesta parlamentare sono classificabili come inaffidabili (“hearsay”). Per il resto, la ricostruzione dei fatti su cui si è basata la decisione di primo grado non è manifestamente errata. D’altro canto, se è vero che i giudici della Corte suprema del Colorado avevano esordito dicendo che “we do not reach these conclusions lightly”, è anche vero che dopo aver revisionato fatto e diritto hanno avuto “little difficulty” nel concordare con la conclusione raggiunta in primo grado.
4. Segue una nuova frammentazione analitica del dettato della Sezione 3.
Viene ripercorsa la storia del concetto di “insurrezione” (insurrection). Sempre partendo dai dizionari in circolazione nel 1860, la Corte conclude che insurrezione è a) un uso pubblico della forza o la minaccia di ricorrervi, b) da parte di un gruppo di persone, c) al fine di minare o impedire l’esecuzione della legge costituzionale. I legali di Trump sostengono che l’insurrezione sia qualcosa di più di una rivolta di strada (riot) ma qualcosa di meno di una ribellione contro il governo (rebellion), e comunque implica comportamenti estesi nel tempo e nello spazio; ma tali argomenti, ad avviso della Corte, creano distinzioni apparentemente tecniche senza individuare una nozione precisa di insurrezione. Non hanno errato quindi i giudici di primo grado nel ritenere che la folla riunitasi a Capitol Hill, le dichiarazioni rese e gli atti compiuti, con l’assalto armato al Campidoglio, costituissero un’insurrezione ai sensi della Sezione 3.
Si passa quindi all’analisi dell’azione: “prender parte a” (engaged in) un’insurrezione. Anche in questo caso si parte da dizionari e testimonianze letterali del tempo, per poi concludere che il verbo richiede “un’azione aperta e volontaria, compiuta con l’intento di coadiuvare o incoraggiare il comune scopo criminale”. Qui si raggiunge uno dei passaggi più passionali della sentenza: per una ventina di pagine i giudici del Colorado ripercorrono le dichiarazioni rese da Trump prima, durante e subito dopo il voto di novembre 2020, i sospetti preventivi e le denunce successive di brogli elettorali, quindi i post incendiari contro il conteggio dei voti, i retweet di esponenti dei gruppi più estremisti, gli inviti a riunirsi tutti il 6 gennaio a Washington, le esortazioni poi trasformatesi in minacce al Vicepresidente Pence, per concludere con le parole pronunciate dal palco dell’Ellipse sotto Capitol Hill il 6 gennaio 2021. E così, in un tripudio di virgolette e lettere maiuscole, si mettono in fila quei drammatici passaggi per comporre il puzzle di uno scenario che vede i messaggi del Presidente Trump come un chiaro invito a insorgere contro le elezioni rubate e i suoi sostenitori come aderenti a tale appello.
5. Ultimo punto della sentenza è il rapporto tra le dichiarazioni di Trump e la libertà di espressione protetta dal I Emendamento.
Basandosi sulla pronuncia della Corte suprema federale nel caso Brandenburg v. Ohio, 1969, i giudici del Colorado ricordano che “le garanzie costituzionali della libertà di parola protette dal I Emendamento non permettono di vietare o limitare l’incoraggiamento a usare la forza o a violare la legge, a meno che tale sostegno non sia diretto a provocare o produca un’imminente azione illegale ed è probabile che inciti o produca tale azione”. Rianalizzando quindi la decisione distrettuale, la Corte suprema del Colorado conclude che: a) il giudice di primo grado non ha errato nel valutare il percorso di “corteggiamento da parte di Trump dei gruppi estremisti” e di “incitamento alla violenza politica”, così come “i suoi sforzi per minare la legittimità dei risultati elettorali del 2020”; b) parimenti non c’è stato errore nel ritenere che il discorso di Trump all’Ellipse “sia stato interpretato da una parte della folla come una chiamata alle armi”; c) infine non è scorretto concludere che Trump fosse consapevole del fatto che il suo discorso avrebbe portato all’uso della violenza o ad azioni illegali per impedire il trasferimento pacifico del potere.
Donald Trump è dunque da ritenersi squalificato dalla carica di Presidente ai sensi della Sezione 3 del XIV Emendamento della Costituzione federale e, in quanto tale, se il Segretario di Stato riportasse il suo nominativo tra quelli dei candidati alle primarie presidenziali del Partito repubblicano commetterebbe un illecito ai sensi del codice elettorale del Colorado.
Sono in disaccordo con questa conclusione tre giudici della Corte suprema del Colorado. Tra le principali argomentazioni in dissenso si segnalano le seguenti: a) il codice elettorale statale non è stato pensato per fungere da base giuridica per valutare se un candidato abbia preso parte o meno a un’insurrezione; b) il legislatore statale potrebbe autorizzare questo tipo di cognizione, ma lo deve dire espressamente e non l’ha fatto; c) è palese la violazione del procedural due process, viste anche le norme applicabili a un contenzioso di questo tipo, che non consentono un contradditorio sufficiente a determinare se una persona va squalificata o meno da una carica pubblica; d) in assenza di una condanna penale che accertasse un reato di insurrezione, il caso non doveva proprio porsi.
Come detto, i legali di Trump sono già ricorsi alla Corte Suprema federale, che ha accettato la richiesta di un writ of certioriari e fissato l’udienza per l’8 febbraio 2024.
L’esito della pronuncia federale è dato per scontato praticamente da tutti i commentatori. Poche sorprese si ritiene possano derivare dall’apparente moderazione del Chief Justice Roberts (qui per una recente riflessione sul punto) e o dall’attitudine da swing justice del giudice Gorsuch, dal cui passato la stessa sentenza della Corte suprema del Colorado ripesca una pronuncia del 2012 (Hassan v. Colorado) nella quale, da giudice della Corte d’appello del decimo Distretto, proprio nella materia di cui si discute oggi, scrisse: “il legittimo interesse di uno Stato a proteggere l’integrità e il funzionamento pratico del processo politico consente di escludere candidati che hanno il divieto costituzionale di assumere incarichi pubblici”.
Al di là infatti della connotazione politica della maggioranza che compone la Corte suprema federale e delle judicial doctrines sviluppate da alcuni dei giudici più conservatori sui poteri del Presidente degli Stati Uniti (si pensi alla posizione di Kavanaugh sul tema), resta il dato che, ancorché almeno da questa parte dell’Atlantico sia difficile dubitare che la condotta di Trump sui fatti del 6 gennaio 2021 non integri un attentato alla Costituzione, lo stesso Trump per quei fatti in quella sponda dell’Atlantico non è ancora stato condannato da un tribunale. Per di più, ove lo fosse stato o lo fosse, soprattutto se la diretta applicazione della Sezione 3 proposta dai giudici del Colorado verrà respinta dai giudici di Washington, paradossalmente Trump potrebbe essere eletto Presidente ed esercitare ugualmente le sue funzioni, oltre che auto-graziarsi.