Un caso di interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale in materia di adozione ed interesse del minore (Osservazioni a prima lettura, Corte Costituzionale 5 luglio 2023 n. 183)
Con la sentenza n. 183/2023 del 5 luglio scorso (depositata in cancelleria il 28 settembre), la Corte costituzionale si occupa del complesso tema della valutazione in concreto del superiore interesse del minore che viene adottato, a mantenere i rapporti con i parenti entro il quarto grado. Nello specifico alla Corte viene posta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 comma terzo l. adozione, secondo cui, il minore adottato, non può mantenere legami con la famiglia di origine, rispetto agli artt. 2, 3,30 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 della Cedu, 24 della Carta di Nizza e 3, 20 comma 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991.
La Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione rispetto all’art. 117 Cost. in relazione all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali e non fondate le questioni sollevate in riferimento agli art. 3 Cost. e 2, 30 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 della Cedu e poi 3, 20 comma 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo.
La questione si origina dall’ ordinanza del 5 gennaio 2023, con la quale la prima sezione civile della Corte di Cassazione si è espressa sull’ articolata questione circa il perseguimento del superiore interesse del minore, nello specifico di due minori orfani di femminicidio, che, privi delle figure genitoriali ed in mancanza di parenti entro il 4 grado idonei ad occuparsene, vengono dichiarati in stato di abbandono e quindi adottabili e, ai sensi dell’art. 27 comma 3 della l. 184/1983, così privati di ogni legame con la famiglia di origine. Mentre il Tribunale per i minorenni di Milano aveva dichiarato il non luogo a provvedere sulla dichiarazione di adottabilità, diversamente la Corte di Appello di Milano aveva concluso per lo stato di adottabilità dei minori. Il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano presentava un ricorso per Cassazione, in cui si deduceva la violazione degli artt. 7 e 44 della l. n. 184/1983. Nello specifico, il Procuratore Generale sottoponeva al Collegio della I sez. della Cassazione civile la violazione degli articoli su richiamati “per avere la Corte di Appello di Milano innestato illegittimamente sull’adozione legittimante le caratteristiche proprie dell’adozione mite, con la conservazione dei legami con la famiglia di origine, nonostante l’espressa previsione contraria contenuta all’art. 27 l. n. 184/1983”. Sul punto, ed in via preliminare, il procuratore Generale presso la Corte di Cassazione evidenziava come la questione fosse di particolare importanza laddove, non solo approfondisce il tema della configurabilità nel nostro ordinamento di modelli di adozione diversi da quello che determina la cessazione dei legami con la famiglia di origine, ma anche di dare attenzione a regolare “un settore nevralgico della vita sociale” che riguarda gli orfani di femminicidio, quali orfani c.d. speciali (A.C. Baldry). Da ciò l’importanza di riflettere sull’art. 27 nei casi in cui non vi siano regimi giuridici alternativi all’adozione legittimante e sia altresì accertato il pregiudizio per lo sviluppo psicofisico dei minori, dopo la rescissione del legame con la famiglia di origine. Viene sollecitata la rimessione della questione alla Corte costituzionale, ove non si ritenga che il divieto dell’art. 27 sia superabile con un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata. Tuttavia è il Collegio che, nell’ordinanza del 5 gennaio 2023 sopra richiamata, ritiene che la rimessione della questione alla Corte costituzionale sia una via obbligata ed imprescindibile.
Dopo aver ricostruito l’istituto dell’adozione e la sua ratio, nel chiarire l’infondatezza delle questioni, la Corte decide di dare un’interpretazione adeguatrice dell’articolo 27 comma 3 l. n. 184/1983 rispetto al perseguimento in concreto del superiore interesse del minore (Cfr. S. Romboli in F. Giuffrè – I. Nicotra, 507; E. Frontoni, 117 ss.; E. Lamarque; J. Long), affermando che la perdita dei legami di sangue non implica necessariamente quella dei legami sociali e di fatto. Per arrivare a tale conclusione, la Corte prende le mosse dall’assunto per cui, nelle ipotesi come quella concreta della tutela degli orfani di femminicidio (privi di fatto del padre e della madre) in cui l’adozione piena è l’unica strada possibile, potrebbe permanere l’esigenza di non recidere, nell’interesse del minore, i legami con i componenti del nucleo parentale. La norma dell’art. 27 comma 3 invece prevede tale rescissione e, per questo, oggi non persegue in concreto il superiore interesse del minore, dato che non si intende più l’adozione come una rinascita per il minore, in cui si produce contemporaneamente l’effetto costitutivo di un nuovo legame familiare giuridico e un effetto estintivo del legame di sangue con i genitori e con le famiglie di origine (M.R. Marella, voce Adozione, in Dig. disc. priv., 18 e ss.; A. Trabucchi, voce Adozione, in Enc. Giurid. Treccani, 12). Ciò risultava chiaramente dall’analisi degli articoli 28 e 73 della l. sull’adozione, la cui ratio è quella di realizzare normativamente un muro divisorio tra i due nuclei familiari, tanto che all’epoca della prima legge sull’adozione del 1967 e poi del 1984 non era prevista una norma che consentisse a certe condizioni di violare il segreto sull’adozione, nè veniva imposto ai genitori di informare i figli del fatto che erano stati adottati.
Dal canto suo, la giurisprudenza interna ed europea portano a domandarsi se oggi la rinascita del minore che viene adottato debba per forza significare la radicale cancellazione dei rapporti con la famiglia di origine, tanto più in un’ipotesi come quella degli orfani di femminicidio in cui, invece, vi è la drammatica perdita delle figure genitoriali di primario accudimento per cui l’automatismo con cui si perdono anche gli altri parenti non è detto che sia coerente con l’attuale quadro di tutele del minore che lo vedono al centro di tutte le questioni e decisioni che lo riguardano (Corte Cost. nn. 145 del 1969, 158 del 1971 e 76 del 1974).
Non solo, ma va anche considerata, da un lato, la valorizzazione del principio del superiore interesse del minore, da leggere in concreto secondo una valutazione prognostica da parte del giudice circa quella che potrà essere la miglior prospettiva di sana crescita psicofisica e dall’altro la tutela dell’identità del minore che la Corte espressamente collega alle origini (sent. n. 278/2013 e 286/2016) affermando nella pronuncia in esame che “la tutela dell’identità del minore si associa al riconoscimento dell’importanza che rivestono, da un lato, la consapevolezza delle proprie radici, e dall’altro la possibile continuità delle relazioni socio- affettive con figure che hanno rivestito un ruolo positivo nel suo processo di crescita” (8.2 Cons. in diritto). Sul punto, la Corte ritiene ormai pacifico che l’adozione debba essere realizzata nel rispetto delle proprie origini (e quindi della propria identità, art. 28 l. adoz. Modif. nel 2001), dall’altra pone in luce come l’identità sia garantita anche attraverso la valorizzazione della continuità affettiva (art. 4 comma 5 quinquies l. adozione) (C. Rusconi).
Correlativamente, per la Corte è la giurisprudenza interna ed europea a dire a chiare lettere che, per evitare al minore un grave pregiudizio, egli non va separato, per quanto possibile, dal nucleo di origine. La Cedu si è espressa sul punto in numerose pronunce anche risalenti (Corte Edu, sent. 13 aprile 2023 Jirova e altri c. Repubblica Ceca; Grande Camera, sent. 10 settembre 2019 Strand Lobben e altri contro Norvegia; sent. 13 ottobre 2015 S.H. c. Italia ed infine 21 gennaio 2014 Zhou c. Italia). Inoltre, la Corte europea ha anche evidenziato come ogni decisione che possa condurre alla rottura dei legami di una famiglia vada presa nel rispetto dell’interesse del minore (Corte Edu, sent. 22 giugno 2017 Barnea e Caldararu c. Italia).
Ciò che rileva e su cui occorre soffermarsi è il rigido automatismo che l’art. 27 comma 3 l. adoz. prevede: la rottura dei legami infatti avviene in automatico con l’adozione.
Rispetto alle due questioni di legittimità costituzionale, è interessante evidenziare subito che la Corte preliminarmente prende le mosse dal fatto che il giudice rimettente ha di fatto rigettato l’idea che l’art. 27 comma 3 potesse garantire che il minore adottato possa continuare, anche dopo l’adozione, ad avere un legame di tipo socio-affettivo con i componenti della famiglia di origine e quindi ha posto le questioni di legittimità costituzionale. In vero la Corte, nell’argomentare dell’infondatezza di tali questioni, arriva proprio ad ammettere un’interpretazione adeguatrice dell’art. 27 comma 3 il quale fa salvi proprio i legami affettivi del minore, pur non potendo consentire che permangano quelli aventi carattere giuridico (M.C. Errigo; E. Crivelli; e sia consentito rinviare a C. Ingenito). Partendo da tale assunto la Corte, prima spiega perché non siano fondate le questioni di legittimità costituzionale e poi introduce la propria linea interpretativa, aggirando di fatto l’ostacolo del rigido automatismo dell’art. 27 comma 3 (L. Pace), incompatibile con la giurisprudenza interna ed europea e la cui rigidità va rivista senza arrivare ad una sua reale disapplicazione.
In merito alla prima questione di legittimità costituzionale, essa si incentra sul contrasto dell’art. 27 comma 3 con l’art. 3 Cost., circa la disparità che si avrebbe con altri modelli di genitorialità adottiva ed è infondata poiché, precisa la Corte, non si ha tale disparità nella diversa incidenza sui legami giuridico-formali con la famiglia di origine nell’adozione piena rispetto a quella in casi particolari. Anzi, quest’ultima, proprio per i suoi profili peculiari, non rappresenta un tertium comparationis tale da giustificare l’irragionevole disparità di trattamento tra essa e l’adozione piena sulla conservazione delle relazioni socio-affettive con la famiglia di origine.
La seconda è dalla Corte dichiarata parimenti infondata per quanto concerne gli artt. 2, 30 e 117 Cost. quest’ultimo rispetto agli artt. 8 Cedu, art. 24 della Carta di Nizza e 3, 20 comma 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991. Secondo la Corte, infatti, l’art. 27 nell’ampiezza del richiamo “ai rapporti verso la famiglia di origine”, lascia intendere che sia nell’interesse del minore, proprio perché abbandonato, interrompere anche le relazioni di fatto con i familiari biologici. A volerla intendere in tal modo si avrebbe, ad avviso della Consulta, una rottura con i principi costituzionali che tutelano il minore ed in particolare la sua identità. Dunque, se si parte da tale lettura si può ritenere che da un lato gli artt. 2 e 30 Cost. siano posti a tutela dell’identità del minore, data dall’insieme dei rapporti sorti con l’adozione e di quelli di sangue e che, dall’altro, l’art. 8 Cedu vada interpretato come fonte dell’obbligo per gli Stati di verificare se sia nell’interesse del minore o meno mantenere contatti con le persone legate a lui a livello biologico. Correlativamente, la Corte afferma che la tutela dell’identità va letta ed interpretata all’interno di modelli che guardano alle concrete situazioni personali e mai essere generalizzate sulla base di presunzioni (Corte Cost. sentt. 253/2019; 286/2016; 185/2015; 139/2010; 41/1999). Per la Corte dunque, se si ritiene che l’art. 27 comma 3 per come formulato (nello specifico ricomprendendo nel termine rapporti anche le relazioni di fatto), non contenga un divieto assoluto di preservare almeno le relazioni socio-affettive del minore con la famiglia di origine, allora si può ritenere che la norma può essere interpretata nel senso che, se vi è un preminente interesse concreto del minore a vedere preservate relazioni di tipo socio- affettivo a tutela di un suo diritto costituzionalmente protetto all’identità personale, si può tollerare una contrazione del riferimento ai rapporti ai soli legami di natura giuridico-formale.
Quindi, rispetto al caso di specie, se il minore ha avuto una frequentazione assidua e positiva con i familiari biologici che non possono però sopperire al suo stato di abbandono, potrebbe essere rispondente al concreto interesse del minore mantenere tali relazioni di tipo socio-affettivo. Solo con tale premessa, la Corte può adottare un’interpretazione adeguatrice alla Costituzione per cui, nell’art. 27 comma 3, non vi è una preclusione assoluta per il giudice a ravvisare un concreto interesse del minore a mantenere relazioni socio affettive con i membri della famiglia di origine e che anzi non farlo costituirebbe per lui grave pregiudizio.