Divieto di discriminazione e libertà di espressione: un pronunciamento chiaro della Corte Suprema Americana

Con una decisione destinata a far discutere, 303 Creative LLC v. Elenis, la Corte Suprema prende posizione, questa volta in modo chiaro e ben definito, sul bilanciamento tra il divieto di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e le libertà garantite dal First Amendment.
Già nel 2018, nel caso Masterpiece (qui il testo, qui un commento), la Corte avrebbe potuto dare indicazioni chiare in merito. La nota vicenda riguardava un pasticciere sanzionato da un organo amministrativo statale, la Colorado Civil Rights Commission, per aver negato una torta nuziale per un matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nell’opinione della Corte che accoglieva la domanda del pasticciere, Justice Kennedy non affrontava però le questioni relative alla libertà di espressione, pur poste dal ricorrente, ma riteneva che la citata commissione, in questo e in altri casi, si fosse dimostrata ostile nei confronti delle confessioni religiose.
Nel caso in commento, la ricorrente, la 303 Creative LLC, è un’azienda si occupa, tra l’altro, di progettazione siti e servizi di social media management. La signora Lorie Smith è la sola proprietaria e l’unica lavoratrice della società.
La 303 Creative LLC offre i suoi servizi a qualsiasi cliente, senza alcuna discriminazione. Tuttavia, la signora Smith si rifiuta di accettare lavori che implichino espressioni contrarie alle sue convinzioni: non vuole incoraggiare la violenza e neanche promuovere l’ateismo, visto che lei è molto religiosa.
Nel 2018 Lorie inizia pensare di incominciare un nuovo business: la costruzione di siti web personalizzati a favore di coppie in procinto di sposarsi. Ha però un timore: che lo Stato in cui vive e lavora, il Colorado, la obblighi a fornire il suo servizio anche per i matrimoni omosessuali, costringendola quindi a esprimere idee contrarie alla sua coscienza: la signora Smith ritiene che un matrimonio si possa celebrare solo tra persone di sesso differente.
Il Colorado Anti-Discrimination Act (CADA) obbliga tutti gli esercizi pubblici a garantire il pieno e uguale godimento di tutti i beni e servizi offerti, senza alcuna discriminazione.
La Colorado Commission on Civil Rights aveva già sanzionato il pasticciere che si rifiutava di creare torte per matrimoni tra persone dello stesso sesso e, come descritto, la Corte Suprema, decidendo il suo caso, non aveva dato indicazioni chiare in merito alla possibilità di esercitare una sorta di “obiezione di coscienza” in casi simili.
Prima di far partire il nuovo business, Lorie vuole avere la sicurezza di non essere sanzionata; pertanto, chiede alle corti federali un’ingiunzione che impedisca allo Stato di obbligarla a creare siti per matrimoni omosessuali.
La ricorrente e lo Stato, dinanzi ai giudici, concordano su tutte le circostanze di fatto rilevanti: nel suo lavoro, Lorie non discrimina nessun cliente. Si rifiuta, però, di produrre contenuti che contraddicano le verità espresse nella Bibbia, indipendentemente dalla persona che lo chieda. Le sue convinzioni religiose sono sincere. Il suo lavoro è di tipo creativo, offre servizi originali per ogni cliente; quindi, tutte le sue creazioni sono forme di espressioni del pensiero.
Sia la corte di distretto che la Corte di appello del decimo circuito avevano respinto la domanda. I giudici di secondo grado ritenevano che il timore di Lorie fosse fondato e che i siti che la ricorrente avrebbe creato si qualificherebbero come pure speech protetto dal First Amendment, che garantisce libertà di espressione. Tuttavia, secondo la Corte di appello, il Colorado avrebbe soddisfatto lo strict scrutiny, il più severo standard di controllo utilizzato dai giudici federali per verificare la legittimità costituzionale di disposizioni che violerebbero i diritti di rango più elevato. La limitazione alla libertà di espressione della signora Smith sarebbe quindi lecita. Lo Stato avrebbe infatti dimostrato l’esistenza di un compelling governmental interest che non avrebbe potuto essere garantito con misure meno restrittive.
L’opinione della Corte, scritta da Justice Gorsuch e condivisa dal Chief Justice con gli Associati Thomas, Alito, Kavanaugh e Barrett, ribalta le decisioni delle corti inferiori e si basa principalmente su tre precedenti.  In Barnett, nel 1943, la Corte aveva ritenuto una violazione della libertà di espressione l’obbligo, imposto agli alunni di una scuola elementare, di salutare la bandiera e recitare il Pledge of Allegiance
In Hurley, nel 1995, la Corte aveva ritenuta legittima l’esclusione di un gruppo di persone omosessuali dalla parata di san Patrizio organizzata a Boston da un’organizzazione di veterani, affermando la libertà di ciascun gruppo di decidere quale messaggio veicolare nelle loro manifestazioni.
Nel 2000, in Dale, la stessa Corte Suprema aveva ritenuto l’associazione americana dei Boy Scout una expressive association, titolare di una propria libertà di espressione per cui nessuno Stato avrebbe potuto imporre una scelta contraria alle proprie convinzioni. Così era stata rigettata la richiesta di reintegro di un capo scout escluso perché omosessuale.
La Corte, quindi, citando i padri fondatori e i suoi precedenti, afferma che la Free Speech Clause garantita dal First Amendment consista nella “libertà di pensare come vuoi e parlare come pensi”, indipendentemente dal giudizio del governo sulle idee espresse, che non potrà imporre ad alcun individuo di esprimere idee che non condivide.
La Corte Suprema, come aveva già fatto la Corte di appello, qualifica il lavoro creativo della signora Smith come pure speech, forma di espressione tutelata dall’ordinamento. Riconosce, inoltre, che l’Autorità pubblica sia titolare di un compelling interest che consiste nell’eliminare ogni discriminazione nell’usufruire dei pubblici esercizi.
La Corte, tuttavia, ritiene che tale obiettivo non possa essere perseguito obbligando una persona a esprimere supporto a idee che avversa, nemmeno se il lavoro creativo è effettuato dietro versamento di un corrispettivo. Sottolinea quindi l’unicità delle creazioni di Lorie, indisponibili altrove perché espressione della sua “voce”, del suo genio artistico.
Sembra che lo Stato non dia alcuna rilevanza a questa caratteristica del lavoro della signora Smith. Pur concordando con la ricorrente circa la natura “espressiva” delle sue creazioni, il Colorado ritiene che ciò che ella vuole offrire siano semplici servizi, offerti attraverso una società commerciale e, quindi, il suo lavoro non sarebbe protetto dal First Amendment. L’opinione della Corte rigetta queste argomentazioni, richiamando gli elementi di fatto su cui le parti concordano: tutta l’attività lavorativa della ricorrente appare segnata dalla sua volontà di non esprimere opinioni contrarie a quelle in cui crede.
Dunque, se lo Stato imponesse alla 303 Creative di creare siti web per matrimoni tra persone dello stesso sesso, obbligherebbe l’unica proprietaria a esprimere idee allineate alla visione imposta dall’Autorità e questo, per la Corte, viola il First Amendment.
Tutta la dissenting opinion di Justice Sotomayor, condivisa dalle colleghe progressiste, Kagan e Jackson, si basa invece sulla convinzione che la legge del Colorado contro le discriminazioni, il CADA, mirerebbe solamente a reprimere condotte discriminatorie che mai potrebbero essere qualificate come libere espressioni del pensiero protette dal First Amendment.
La legislazione non imporrebbe quindi alla signora Smith di veicolare una determinata idea, ma solamente di offrire a tutti i clienti i suoi prodotti con il medesimo linguaggio. La 303 Creative potrebbe quindi creare solo siti con citazioni bibliche che definiscono il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna, l’importante è che tratti tutti i suoi clienti nello stesso modo. Per questo, secondo Justice Sotomayor, la libertà di espressione ha carattere meramente “incidentale” rispetto alla norma statale che vuole regolare una condotta e non le espressioni delle idee.
Viene per questo citato il caso O’Brien, del 1968, quando la Corte decise che una legge che vietava di bruciare una draft card (cartoline usate per il sorteggio dei riservisti da chiamare alle armi) non violava la libertà di espressione e quindi puniva legittimamente anche chi dava fuoco al documento per protestare contro la guerra in Vietnam. Anche se tale condotta tenuta da O’Brien era certamente espressiva della sua opinione, la legge era giustificata da un interesse sostanziale dell’autorità pubblica, aveva fine generico e non correlato alla limitazione della libertà di espressione, era proporzionata all’obiettivo che si prefiggeva.
Justice Sotomayor avrebbe voluto che si applicasse questo intermediate scrutiny, e non lo strict scrutiny usato dalla Corte, perché l’obiettivo della legislazione contestata non è quello di limitare la libertà di espressione ma solo quello di evitare discriminazioni, interesse sostanziale dell’autorità pubblica che certamente sarebbe meno tutelato senza il CADA.
Justice Sotomayor ritiene che rifiutandosi di creare siti internet per matrimoni omosessuali la 303 Creative non stia solamente rifiutando di esprimere idee contrarie a quelle della sua titolare ma che in realtà stia discriminando le persone e le loro scelte in ambito sessuale.
La Corte Suprema fissa in modo chiaro un principio nel quadro del difficile bilanciamento tra il divieto di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e le libertà costituzionali: lo Stato non può imporre prestazioni che implichino l’espressione di un pensiero. È un modo per affermare i nuovi diritti “civili” senza annullare quelli “tradizionali”.
Sarebbero certamente differenti le valutazioni qualora le prestazioni oggetto di obiezione fossero “meramente esecutive” come assicurare una stanza di albergo, servire al tavolo dei clienti o fornire servizi cimiteriali.
Dissentiamo rispettosamente da Justice Sotomayor: il fine della Corte non è quello di legittimare la discriminazione delle persone omosessuali ma garantire a tutti di non essere obbligati a creare messaggi contrari alle proprie convinzioni.
L’obiettivo di una società democratica non può essere quello di imporre alcune idee sopprimendo le opinioni diverse ma quello di promuovere la conoscenza delle diverse varietà di vedute e di stili di vita per favorire il rispetto di tutte le persone e delle loro scelte in un contesto pluralista.
La Resistenza ci ha insegnato che quando l’Autorità politica impone opinioni si trasforma in un regime. Scriveva la partigiana Laura Bianchini: «Lo Stato autoritario, comunque si denomini, pretende farsi come un assoluto e sostituirsi alla legge morale della stessa intimità della coscienza, negando in tutto o in parte quei diritti che sono essenziali alla dignità della persona, e senza dei quali non esiste sostanzialmente persona» ( «Libertà», Il Ribelle, 10 giugno 1944, 2).