Il progetto di riforma dei Trattati europei: cambiare “tutto” affinché “nulla” cambi. “Sailing on high seas: Reforming and enlarging the EU for the 21st century”

Premessa
Il 22 gennaio 2023 Francia e Germania hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che, da un punto di vista politico, è il prodotto del Trattato di Aquisgrana del 2019, sottoscritto dai medesimi Stati, la cui convergenza ha trovato la propria ragion d’essere nell’esigenza di rispondere alle minacce all’identità europea. Con detto accordo i due Stati si sono dunque impegnati congiuntamente, ergendosi ancora una volta a “motore” dell’integrazione europea, a dare il via ad un ulteriore sviluppo del relativo costrutto giuridico.
Stante il rapporto di stretta consequenzialità della dichiarazione congiunta del 2023 rispetto al Trattato del 2019, non sorprende – ad avviso di chi scrive – che un’iniziativa di tale rilevanza non abbia visto coinvolta l’Italia. Ed infatti, proprio il Trattato di Aquisgrana ha illo tempore registrato un marcato scetticismo da parte dell’attuale Presidente del Consiglio italiano, fino al punto di definirlo una “dichiarazione di guerra” all’Italia.
L’iniziativa franco-tedesca, i cui frutti sono cristallizzati nel Report del gruppo di esperti, reso noto il 18 settembre 2023, rappresenta dunque l’espressione della volontà politica di detti Stati membri di propugnare la riforma dei Trattati, considerata cruciale ai fini del futuro dell’Unione. Segnatamente, l’idea di riforma è tornata al centro all’agenda dell’Unione, quantomeno di quella del Parlamento europeo, a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, i cui apporti partecipativi avrebbero dovuto essere raccolti dalle istituzioni europee, le quali, però, come sovente accade, si sono trovate su posizioni diverse. Il Parlamento europeo ha spinto per convocare una Convenzione, ritenendo la stessa la sede istituzionale più adatta a discutere delle riforme, ma nelle istituzioni intergovernative ha avuto la meglio l’ostruzionismo di taluni Stati membri. Da un lato, il progetto di riforma in fieri raccoglieva il sostegno dei Paesi dotati di un maggior peso politico, come Germania, Francia e Italia; dall’altro, ma di diverso avviso erano gli Stati, per l’appunto scettici, capeggiati da Polonia, Ungheria ed Austria, in numero tale da bloccare la convocazione della Convenzione da parte del Consiglio europeo. Segnatamente, gli Stati membri più piccoli osteggiano l’abbandono dell’unanimità nelle istituzioni intergovernative.


La protezione della rule of law e della legittimazione democratica
Negli obiettivi prefigurati dal Report (“Protecting the rule of law”,Addressing institutional challenges”, “Deepening and widening the EU”) assume particolare rilievo la protezione della Rule of law che, ai sensi dell’art. 2 TUE è uno dei valori fondanti dell’Unione. A dispetto di ciò, l’attuale capacità dell’UE di implementare tale valore è limitata, poiché le condizioni prescritte ai fini dell’ingresso di un nuovo Stato ai sensi dell’art. 49 TUE non possono essere efficacemente imposte a quelli che sono già Membri laddove si verifichino situazioni di regressione (tra i molti, si veda qui).
Il Report raccomanda di ampliare l’ambito di applicazione degli strumenti di condizionalità finanziaria, ricorrendovi non solo per le violazioni dello stato di diritto ma, più in generale, per le infrazioni sistematiche ai valori di cui all’art. 2 TUE. Detta proposta è attuabile mediante il ricorso alla c.d. clausola di flessibilità ex art. 352 TFUE, o con la modifica dell’art. 7 TUE. In via subordinata, si raccomanda l’estensione di tale condizionalità ai comportamenti illeciti degli Stati lesivi degli interessi finanziari dell’UE, dato che ciò presupporrebbe il mero ricorso alla base legislativa di cui all’art. 322 TFUE.
Ambizioso è il progetto di riforma della procedura per accertare le violazioni gravi e persistenti dei valori dell’Unione ex art. 7, par. 2, TUE, oggi inefficace a causa dell’eccessiva soglia per la sua attivazione (unanimità meno uno) in seno al Consiglio europeo, nonché per il fatto che il Consiglio non è tenuto a procedere. Si propone di emendare la norma primaria in questione con la previsione di una maggioranza dei 4/5 nel Consiglio europeo e, per garantire l’effettiva risposta in presenza di violazioni gravi e persistenti, con l’aggiunta di un limite temporale di 6 mesi entro cui le istituzioni intergovernative sono tenute a deliberare, impregiudicata l’adozione automatica di sanzioni dopo 5 anni dall’avvio della procedura in caso di protratta inerzia del Consiglio.
Inoltre, il Report auspica che a violazioni gravi e persistenti dei valori, tali da comportare una rottura definitiva del rapporto fiduciario tra gli altri Stati UE, corrispondano sanzioni altrettanto gravi, quali la perdita della membership.


Affrontare le sfide istituzionali per l’allargamento
L’eventualità che 10 nuovi Stati entrino nell’Unione, vista la prospettiva di allargamento ai Balcani occidentali, richiede il mutamento della composizione e dei meccanismi di funzionamento delle sue istituzioni, affinché possano efficacemente agire.
Con riferimento al Parlamento europeo, trattandosi già di una assembla legislativa di ampie dimensioni, sotto il profilo numerico, il Report raccomanda di non incrementare il numero degli eurodeputati rispetto alla soglia attuale (751); sotto quello dell’allocazione dei seggi è suggerita l’adozione – in luogo dell’attuale criterio degressivamente proporzionale – di un criterio matematico che concili il diritto di ogni Stato UE (rectius, della sua popolazione) di essere rappresentato con la necessità di ridurre le distorsioni demografiche (se non proprio l’adozione della “Cambridge Formula già proposta dal medesimo Parlamento). È altresì auspicata l’armonizzazione delle procedure nazionali di elezione dei parlamentari europei, sì da creare uno spazio elettorale transnazionale.
Per il Consiglio è proposta una duplice riforma. Innanzitutto, il suo sistema di presidenza dovrebbe convergere verso un quintetto, onde assicurare la presenza di almeno uno Stato UE dotato di una maggiore capacità amministrativa ed esperienza. Detta formula vedrebbe inoltre ciascuna delle presidenze affidataria di metà di un ciclo istituzionale, il che garantirebbe una maggiore capacità di programmazione a lungo termine, In secondo luogo, per garantire l’effettiva capacità decisionale del Consiglio, è auspicato il ricorso generalizzato alla votazione a maggioranza qualificata, erodendo i residui settori in cui si applica l’unanimità. Questa modifica dovrebbe essere resa più “accettabile” prevedendo meccanismi di salvaguardia della sovranità statale (modellati sulla base dell’art. 31, par. 2, TUE) e cambiando i criteri di calcolo della maggioranza.
Rispetto alla Commissione, i redattori del Report ritengono insostenibile l’attuale sistema “per testa”, posto che la riduzione della sua consistenza numerica, prevista dal Trattato di Lisbona, non è stata attuata. Al fine di garantire l’efficienza di questa istituzione si raccomanda di ridurre il numero dei commissari ai 2/3 degli Stati membri mediante decisione del Consiglio europeo, così come previsto dall’art. 17, par. 5, TUE. Il Report esprime dubbi sull’istituzionalizzazione del sistema del c.d. “lead candidate” (vale a dire la nomina a Presidente della Commissione del candidato capolista del partito politico europeo con più seggi)) proposto dal Parlamento europeo, raccomandando piuttosto a tal fine la conclusione di accordi interistituzionali tra il Consiglio europeo ed il Parlamento.


La gestione del processo di approfondimento e di ampliamento dell’Unione
Il Report, oltre a tracciare il percorso di riforma da intraprendere, indica gli strumenti utili al deepening e al widening della costruzione giuridica europea. Ancorché parte rilevante delle raccomandazioni ivi contenute non richiedono una modifica dei Trattati, potendo conseguirsi semplicemente ricorrendo a strumenti quali le c.d. clausole passerella, i poteri emergenziali, le cooperazioni rafforzate o la clausola di flessibilità di cui all’art. 352 TFUE, esigenze di legittimità democratica, trasparenza e coerenza suggeriscono di intraprendere il percorso più “impegnativo”, tramite la procedura revisione ordinaria dei Trattati ex art. 48, parr. 2-5 TUE, con la convocazione di una Convenzione seguita da una Conferenza intergovernativa; in alternativa, si propone di introdurre le modifiche ai Trattati europei all’interno di quelli di adesione di nuovi Stati membri.
Nell’ambito del c.d. deepening, il Report considera gli strumenti di integrazione differenziata e flessibile, che pure non sono privi di rischi per l’integrità dell’ordinamento giuridico UE, ragion per cui il relativo ricorso è subordinato ad una serie di principi (primo fra tutti il necessario rispetto dell’aquis). Malgrado le indubbie opportunità assicurate dagli strumenti di integrazione differenziata, non si può trascurare che – nel prossimo futuro – non necessariamente tutti gli Stati europei saranno intenzionati, ovvero idonei, a fare ingresso nell’Unione. Pertanto, il Report struttura la futura integrazione europea secondo 4 differenti livelli, ciascuno con un diverso e decrescente bilanciamento di diritti e obblighi: I) the inner circle; II) the EU; III) Associate Members; IV) the European Political Community, livello esterno volto a ricomprendere gli Stati in cooperazione politica con l’UE, sebbene svincolati dal rispetto del relativo diritto.
Posto che lo sviluppo previsto ed auspicato non è solo in senso verticale, con il cd. deepening, ma anche orizzontale, nella prospettiva di un allargamento, il Report si concentra anche sul modus operandi per assicurare che non sia farraginoso e, soprattutto, sia fondato sul merito. A tale scopo, l’Unione dovrebbe avere come obiettivo temporale per l’allargamento il 2030, termine entro cui gli Stati candidati dovrebbero lavorare alacremente per soddisfare i criteri d’accesso. Nel pieno rispetto dell’approccio meritocratico, come è stato efficacemente argomentato, l’allargamento dovrebbe coinvolgere gruppi di dimensioni ridotte (“regatta”).


Conclusioni
Il disegno riformistico del Report è, a giudizio di chi scrive, ambivalente. Un suo elemento di forza è la gradualità delle raccomandazioni proposte. Al vertice – di più difficile realizzazione – vi sono quelle volte a segnare una cesura di discontinuità dalle pregresse inefficienze, mediante revisione dei Trattati. In subordine, vi sono gli interventi dotati di minore incisività ma, al tempo stesso, meno complessi sotto il profilo dei procedimenti interistituzionali e pertanto di più facile realizzazione.
In questa prospettiva, il complesso di raccomandazioni per la miglior implementazione della rule of law è in grado di superare l’ostruzionismo di cui si è detto. Difatti, l’ambizioso progetto di “ristrutturazione” del meccanismo di vigilanza sul rispetto dei valori ex art. 7 TUE, che passa per la revisione dei Trattati, è seguito da alcune opzioni alternative, attuabili per mezzo del diritto derivato, che sono altrettanto idonee al perseguimento dell’obiettivo.
Non altrettanto convincenti sono le proposte volte al miglioramento della capacità decisionale del Consiglio, il cui impianto è fondato sull’ampliamento della votazione a maggioranza qualificata. Ciò collide  infatti con l’espressa presa d’atto che: “The use of QMV… should be regarded as a contribution, but not as a panacea to solving the EU’s challenges in terms of its capacity to act”.
Infine, merita separata considerazione la proposta in tema di integrazione differenziata, espressa nel concetto dei cerchi concentrici e, segnatamente, nell’innovativa figura del “Membro associato”, cui è sottesa l’idea della flessibilità dei cerchi, che conferisce agli Stati UE la facoltà di mitigare il proprio coinvolgimento nell’integrazione europea transitando dal secondo al terzo cerchio, rinunciando alla membership per divenire Membro associato. Trattasi però di una opzione scarsamente appetibile; per effetto di detta – volontaria – “retrocessione” lo Stato vedrebbe sterilizzata la propria partecipazione istituzionale e il proprio apporto allo sviluppo dell’integrazione, ma sarebbe comunque tenuto al rispetto del diritto UE e assoggettato al controllo della Corte di giustizia, nonché tenuto a contribuire al bilancio UE, ma con benefici inferiori.
Tirando le conclusioni, pare che il tentativo di rilancio da parte di Francia e Germania dell’iniziativa di riforma dei Trattati sia espressione della volontà di detti Stati di lasciare un’eredità politica – ben cristallizzata e non invece solo in potenza – al Parlamento europeo di futura elezione (dal 6 al 9 giugno 2024) indirizzandone dunque già a monte l’indirizzo legislativo. Non si spiegherebbe altrimenti il tempismo della proposta, che avrebbe potuto invece essere (ri)lanciata e prendere piede con la nuova legislatura.