L’attribuzione del cognome nell’adozione di persona maggiore di età tra automaticità e consenso (Osservazioni a prima lettura, Corte Costituzionale 4 luglio 2023 n. 135)
Con la sentenza n. 135/2023 del 4 luglio scorso, la Corte Costituzionale torna ad occuparsi del tema del cognome. Nello specifico del cognome dell’adottato maggiorenne e precisamente della legittimità costituzionale dell’articolo 299 comma primo c.c., secondo cui l’adottato maggiorenne non può anteporre il proprio cognome originario a quello dell’adottante, rispetto agli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Cedu e art. 7 della Carta di Nizza.
La Corte Costituzionale dichiara fondata la questione ed afferma l’illegittimità dell’art. 299 comma primo c.c. nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto ed afferma quindi, nel proprio comunicato del 4 luglio 2023, che “L’adottato maggiore d’età può aggiungere anziché anteporre il cognome dell’adottante al proprio, quando ciò serva a tutelare il suo diritto all’identità personale e anche l’adottante sia favorevole a tale ordine dei cognomi”.
La questione si origina dal ricorso presentato al Tribunale ordinario di Nocera Inferiore, per la pronuncia dell’adozione di una persona maggiore di età. Il Tribunale, assunti i consensi necessari, accoglie la domanda. L’adottante propone poi reclamo alla Corte di Appello di Salerno, ai sensi dell’art. 313 comma 2 c.c., perché non era stata accolta la sua richiesta di posporre il cognome dell’adottante a quello originario dell’adottato. La Corte di Appello di Salerno, investita della questione, sollevava questione di legittimità costituzionale, ritenendo che la fattispecie concreta andasse esaminata in considerazione dell’evoluzione dell’istituto dell’adozione in generale e di quella di maggiorenni in particolare ed anche della giurisprudenza costituzionale sul diritto al cognome e all’identità (sentenze Corte costituzionale nn. 286/2016 e 131/2022 e rispetto alla sentenza Corte costituzionale n. 120 del 2001).
La Corte Costituzionale ritiene inammissibile la questione relativa al contrasto tra l’art. 299 comma primo c.c. e l’art. 117 comma primo Cost., in relazione agli artt. 8, 14 Cedu e art. 7 della Carta di Nizza, poiché tale contrasto appare privo di autonoma argomentazione, ovvero di ragioni circostanziate e motivate a supporto di tale asserita violazione.
La Consulta dunque esamina nel merito le censure relative all’art. 2 Cost., per violazione del diritto all’identità personale, e all’art. 3 Cost. per intrinseca irragionevolezza e ritiene che si possa procedere ad un’analisi al livello unitario, perché concernente l’irragionevole compressione del diritto inviolabile all’identità personale.
Tale questione viene ritenuta dalla Corte fondata e, nell’argomentare la fondatezza, la Consulta si sofferma su diversi profili. Intanto l’evoluzione del diritto al cognome nel suo rapporto con l’identità personale, il profilo dell’automaticità nell’anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato, rispetto soprattutto al peso che, nell’adozione di persone maggiore di età, assume il consenso dell’adottante e dell’adottato. La lettura di tali aspetti non può prescindere dall’analisi del rapporto tra cognome ed adozione ed in particolare tra cognome ed adozione di maggiorenne.
La Corte motiva l’incostituzionalità dell’art. 299 comma primo c.c. e quindi la necessità che la previsione dell’automatica anteposizione del cognome dell’adottante venga espunta dal sistema, prima ancora che rispetto all’evoluzione dell’istituto dell’adozione di maggiorenne, rispetto all’evoluzione del diritto al nome quale diritto, posto in capo a ciascun familiare, di vedersi riconosciuto un dato cognome, tale e quale a quello degli altri, in modo da testimoniare il legame tra i familiari. Quello al cognome è un diritto del singolo, sia rispetto alla propria formazione sociale di appartenenza, sia rispetto alla collettività, al di là che esso venga attribuito alla nascita o aggiunto successivamente come nell’adozione. Non può non considerarsi il peso dell’interpretazione che la Corte ha dato del diritto al cognome, in particolare nella sentenza n. 131/2022 che sembra aver messo un punto sulla questione (per approfondimenti, C. Favilli – F. Azzarri in questo Blog; M.C. Amoroso – E. Pierazzi; M. Picchi; F. Covino; C. Masciotta, e sia consentito anche il rinvio a C. Ingenito).
Correlativamente, la Consulta si sofferma sul diritto all’identità personale in rapporto al cognome rispetto all’art. 2 Cost. (per approfondimenti sia consentito rinviare a C. Ingenito). Tale articolo infatti può essere utilizzato quale norma ponte che collega il cognome ai legami familiari, poiché è con esso che il diritto al cognome, quale simbolo dell’identità, viene racchiuso all’interno dei diritti della personalità che l’art. 2 tutela e protegge. Non solo, ma partendo dall’art. 2 Cost. si può ritenere che il cognome sia il mezzo di identità personale ed insieme di identità familiare, nel senso che non si può disconoscere che, non soltanto sul piano normativo, ma anche su quello sociale, il nome rileva come segno di appartenenza della persona ad un determinato gruppo familiare giacché “se è vero che la persona è il valore fondamentale dell’ordinamento è pur vero che tra le formazioni sociali la famiglia ha un ruolo ineliminabile e privilegiato” (P. Perlingieri, p. 380). A partire dalla sentenza n. 13 del 1994, la Corte ha riconosciuto l’importanza del rapporto tra cognome e identità, tanto da affermare, nel considerato in diritto 5.1 e 5.2, che vi è un profondo collegamento tra cognome e identità: «tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana l’art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce anche il diritto all’identità personale…L’identità personale costituisce quindi un bene per se medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata… Tra i tanti profili, il primo e più immediato elemento che caratterizza l’identità personale è evidentemente il nome – singolarmente enunciato come bene oggetto di autonomo diritto nel successivo art. 22 della Costituzione – che assume la caratteristica del segno distintivo ed identificativo della persona nella sua vita di relazione» (sul punto anche A. Pace). Con le sentenze nn. 297/1996, 120/2001, 268/2002 286/2016, 18/2021, 131/2022 la Corte ha consolidato tale assunto, ponendo in luce il peso del cognome rispetto all’identità che il figlio realizza nel legame con ciascun ramo genitoriale e per questo, nel rispetto degli artt. 2 e 3 Cost., va tutelato il cognome e l’ordine in cui viene attribuito in osservanza del principio di dell’uguaglianza dei genitori. Solo così nel figlio si riflettono le identità che promanano da entrambi i genitori e da cui deriva poi la propria nuova identità che va di per sé salvaguardata e tutelata. Sul punto la Corte, nella sentenza in esame, afferma proprio che “nel diritto all’identità si radicano le ragioni di tutela del cognome”. Alla luce di ciò non si vede perché la tutela del cognome, rispetto alla salvaguardia dell’identità, non vada garantita anche nell’adozione della persona maggiore di età, laddove, in tale ipotesi, rispetto al cognome originario dell’adottato, si è già radicata una propria identità, nel senso che il cognome dell’adottato è già segno distintivo della sua identità ed espressione della personalità e per questo va protetto. Il peso e il ruolo di tale cognome aveva già destato l’attenzione della Corte nella pronuncia n. 120 del 2001 in cui, riconosce il “diritto al nome – inteso come primo e più immediato segno distintivo che caratterizza l’identità personale – costituisce uno dei diritti inviolabili protetti dalla menzionata norma costituzionale” (punto 2. Considerato in diritto), rispetto alla specifica ipotesi dell’art. 299 comma 2 c.c., nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l’adottato possa aggiungere al cognome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli e lo dichiara costituzionalmente illegittimo, perché in contrasto con l’art. 2 e 3 Cost. in particolare, come si legge in motivazione, per la stessa natura dell’adozione di persona maggiorenne.
La Consulta si sofferma poi sull’evoluzione del rapporto tra cognome ed identità all’interno dell’istituto dell’adozione di persona maggiorenne.
Tale istituto ha mutato profondamente la propria natura e ratio in parallelo con la complessa trasformazione dell’adozione piena e dell’adozione in casi particolari: infatti ormai tutte le tipologie di adozione sono allineate nella finalità di costituire veicoli, diversi, ma tendenti tutti al riconoscimento di un rapporto di tipo familiare, sicuramente giuridico, ma al contempo anche umano (sul punto le riflessioni di C. M. Bianca, p. 414). Quindi, anche nell’adozione di persona maggiore di età, nella quale si crea un vero e proprio vincolo di filiazione giuridica che, a differenza delle altre tipologie di adozione, si aggiunge a quello di filiazione di sangue già sussistente. Rispetto all’adozione di persona maggiore di età la Corte ritiene che sia presente nella previsione dell’art. 299 comma primo c.c. una reale compressione irragionevole del diritto all’identità nell’impossibilità di aggiungere, invece che anteporre in maniera automatica, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato.
Infatti, l’effetto di natura prettamente personale di attribuire all’adottato i due cognomi, quello proprio originario e quello dell’adottante, nel quale di fatto coesiste un c.d. doppio status (sul punto, M. Stella Richter – V. Sgroi, p. 334), così da rendere visibili entrambe le tracce dell’identità dell’adottato che sono date dai due cognomi, viene condizionato dall’imposizione automatica del cognome dell’adottante.
Come nella pronuncia n. 286/2016, la Corte si sofferma sul peso dell’automaticità nell’attribuzione dei cognomi rispetto al loro ordine, tema che era stato anche oggetto di una rilevante pronuncia della Cedu, Cusan Fazzo c. Italia (7 aprile 2014), nella quale la Corte Europea dei diritti dell’uomo, sulla base della lettura congiunta degli artt. 8 e 14 della Cedu rilevava che, oggetto di sanzione per il nostro ordinamento non è il patronimico in sè, bensì l’automatismo nell’attribuzione e trasmissione del cognome paterno che, precludendo ai genitori ogni facoltà di scelta, condiziona in maniera illegittima la vita privata e familiare dell’individuo (si rinvia sul punto a C. Bassu in questo Blog, e C. Pitea).
Dunque, rispetto all’automatismo va considerata poi l’evoluzione dell’art. 299 comma primo c.c.: infatti, mentre il codice del 1942 prevedeva la sola aggiunta del cognome dell’adottante, invece, con la riforma della disciplina dell’adozione introdotta dalla legge n. 184 del 1983 (art. 61), è stata prevista l’automatica anteposizione del cognome dell’adottante, sebbene tale modifica sia stata criticata proprio perché rigida nella sua automaticità. Sul profilo dell’automatismo, infatti, si era già concentrata la sentenza del 2001 n. 120, la quale, pur spendendo alcune riflessioni in tema di identità, non reputa che la precedenza del cognome dell’adottante sia irrazionale e violi l’identità dell’adottato. La questione presente nella sentenza in esame si presenta dissimile su un aspetto fondamentale: non è l’anteposizione del cognome dell’adottante l’aspetto problematico, bensì è l’automaticità del meccanismo che risulta irragionevole e tale da sacrificare il diritto all’identità personale dell’adottando, nel senso che la norma dell’art. 299 c.c. così come è formulata di fatto preclude all’adottato maggiore di età di aggiungere invece che anteporre il cognome dell’adottante al proprio al fine di veder tutelata più adeguatamente la propria identità.
Infine la Corte si sofferma sul peso del consenso dell’adottante e dell’adottato rispetto all’automaticità dell’attribuzione del cognome. Infatti, è proprio su tale consenso (rispetto al cognome) che si concentra la Corte nella propria motivazione proprio perché appare in contraddizione la previsione di un’espressione del consenso all’adozione con la rigidità dell’automatismo del cognome dell’adottante da anteporre. Infatti, la Corte sul punto afferma che “Se, dunque, l’adottato maggiore d’età ha esigenza di veder tutelato il suo diritto all’identità personale attraverso l’aggiunta, in luogo della anteposizione, del cognome dell’adottante al proprio e se anche l’adottante è favorevole a tale ordine, che non incide sul suo consenso all’adozione, è irragionevole non consentire che la sentenza di adozione possa disporre il citato effetto”. ( 7.1. del considerato in diritto).
Pertanto la Corte collega il profilo dell’espressione del consenso all’adozione, come veicolo per consentire anche la deroga da parte del giudice all’anteposizione automatica del cognome dell’adottante, affermando che “è irragionevole e lesivo dell’identità personale, e, dunque, contrasta con gli artt. 2 e 3 Cost., non consentire al giudice – con la sentenza che fa luogo all’adozione – di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto” (punto 8 del considerato in diritto).