“The Personal is political (2.0)”: gli echi politici della sentenza “Dobbs vs Jackson Women’s Health Organisation” negli USA
Com’era prevedibile, le conseguenze della landmark decision “Dobbs vs Jackson Women’s Health Organisation” non sono state confinabili all’interno degli argini stretti delle aule dei tribunali, straripando sulla scena politica statunitense.
La sentenza, resa dalla Corte Suprema lo scorso 24 giugno, ha stabilito che la Costituzione non garantisce il diritto all’aborto e che l’autorità a regolare la materia spetti alla popolazione e ai loro eletti rappresentanti, rovesciando i precedenti Roe e Casey (si rimanda all’approfondimento).
Già negli anni precedenti, i legislatori pro-life di numerosi Stati non erano rimasti inerti, avocando a sé tale prerogativa ben prima della sentenza Dobbs e approvando formalmente le cosiddette trigger laws, ovvero leggi volte a vietare o restringere il diritto all’aborto, di fatto inapplicabili a causa del contesto giuridico-legislativo federale (per un approfondimento sul tema si veda qui). Tali normative sono dunque “scattate” una volta venuta a cadere la garanzia costituzionale del diritto a ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Dal 24 giugno, dunque, l’effetto domino è stato inevitabile e – in quegli Stati che se ne erano dotati – tali leggi hanno progressivamente cominciato ad entrare in vigore. In Alabama, Arizona, Arkansas, Kentucky, Louisiana, Missouri, South Dakota, Tennessee, Texas e West Virginia il ricorso all’IVG è vietato in modo stringente, senza prevedere alcuna eccezione. In Mississippi, nella vigenza del divieto anche in caso di incesto, è stata prevista la sola eccezione per l’ipotesi di stupro mentre in l’Oklahoma l’aborto è vietato addirittura al momento della fecondazione. Situazione più complessa è quella dell’Idaho ove l’aborto è vietato dal 25 giugno 2022, eccezion fatta per le ipotesi di incesto, stupro e necessità di salvare la vita della gestante. Lo scorso agosto, un giudice federale ha bloccato invero l’entrata in vigore di una parte della relativa trigger law, sancendo la non punibilità del ricorso all’IVG al fine di proteggere la salute della paziente. Tale procedimento ha rappresentato l’inaugurazione di una nuova strategia giudiziale dell’amministrazione Biden – per il tramite del Dipartimento di Giustizia – volta ad ostacolare il proliferare delle normative antiabortiste ricorrendo ad una legge del 1986 detta EMTALA. L’Emergency Medical Treatment and Active Labor Act assicura il diritto di ogni persona ad usufruire dei servizi ospedalieri emergenziali indipendentemente dalla sua disponibilità a pagare. In realtà, già l’8 luglio l’EMTALA era stata chiamata in gioco dal Presidente Biden nell’Executive Order 14.076 con cui demandava al Segretario Generale del Dipartimento della Sanità e dei Servizi Umani (HHS) di identificare potenziali misure volte a proteggere ed espandere l’accesso all’IVG nonché provvedimenti volti ad assicurare piena protezione in caso di cure mediche emergenziali per le donne incinte. A tale richiesta aveva fatto seguito, l’11 luglio, la diffusione, da parte dei Centri per l’assistenza sanitaria statale (CMS), di linee guida rivolte ai direttori delle aziende sanitarie statali e di una lettera del Segretario dell’HHS agli operatori sanitari. Entrambe chiarivano come, se un medico ritenga che una paziente in stato di gravidanza sia in una situazione di emergenza e l’aborto sia l’unica misura per risolvere tale condizione, il professionista è chiamato a praticare l’IVG sebbene la legge statale in materia non preveda un’eccezione per la salvaguardia della vita e salute della gestante, dovendosi considerare superata. Pochi giorni dopo però, lo Stato del Texas ha presentato ricorso avverso tali linee guida, lamentando che fossero lesive del diritto dello Stato a legiferare ed attuare le proprie normative in materia di aborto. La controversia si è conclusa con la sentenza del 23 agosto con cui il giudice federale ha ritenuto che i medici non possano essere obbligati a praticare aborti sotto l’egida dell’EMTALA e che gli stessi non avrebbero alcuna forma di protezione qualora operino degli aborti illegali in violazione della legge statale, posto che l’EMTALA non menziona l’IVG. La risposta del CMS è stata immediata tanto che con nota del 25 agosto ha specificato che le linee guida e la lettera questionate potrebbero non essere applicate nel Texas. Lo stesso giorno quindi, in Texas e in Idaho, i destini della politica scelta dall’amministrazione Biden di correre ai ripari facendo ricorso alla normativa dell’EMTALA si sono dimostrati estremamente suscettibili agli animi e sensibilità dei giudici, portando a casa risultati opposti.
Nello Stato dell’Indiana, a fine agosto, gruppi pro-choice hanno ricorso avverso la normativa che avrebbe introdotto dal 15 settembre il divieto di aborto fatta eccezione per i casi di stupro, incesto, anomalie letali del feto e seri rischi per la salute della gestante. Parimenti sul filo del rasoio è poi la normativa del Wisconsin ove “scalpita” una trigger law datata 1849 che prevede un divieto pressoché totale, inclusi i casi di stupro e incesto. Il 21 settembre, il governatore democratico Evers ha avanzato la proposta di tenere una sessione speciale del Parlamento statale, il 4 ottobre, volta a modificare la Costituzione e permettere alla popolazione del Wisconsin di esprimere la propria opinione sull’aborto. In tale Stato infatti gli elettori non hanno la possibilità di modificare direttamente la legge tramite referendum, essendo necessari un passaggio legislativo e un voto elettorale. Per permettere alla popolazione di bypassare il Parlamento, Evers propone di istituire un meccanismo referendario attraverso cui l’elettorato possa presentare petizioni alla Commissione elettorale del Wisconsin per indire votazioni su determinati leggi o emendamenti oppure per abrogare una legge statale. La strada del Governatore appare comunque in salita visto che la bandiera del Grand Old Party sventola sul Capitol di Madison.
Vi sono poi alcuni Stati in cui sono ad oggi in vigore dei limiti gestazionali. In Georgia, l’aborto è vietato a partire dalle 6 settimane di gravidanza; in Florida tale limite è spostato a 15; in Utah sono 18 le settimane consentite fino ad arrivare a 20 nel North Carolina. In quest’ultimo caso, inoltre, il 6 luglio, il Governatore Cooper ha firmato l’Executive order 263 volto a proteggere il diritto all’aborto nello Stato, in vista delle incerte elezioni di novembre 2022, nonché continuare a garantire il ricorso all’IVG a tutte quelle donne degli Stati confinanti, in cui l’aborto è vietato, che sempre più numerose si riversano in North Carolina.
In altri Stati (Iowa, North Dakota, Michigan, Montana, Ohio, South Carolina e Wyoming) invece il tentativo di introdurre il divieto di aborto è stato bloccato negli anni soprattutto per via giurisdizionale, lasciando dunque intatto il diritto di ricorrere all’IVG generalmente entro le 22 settimane o fino alla raggiunta viability, i.e. capacità di sopravvivenza del feto. Tra questi, il Michigan è stato teatro di una significativa vicenda. Il 31 agosto infatti la Commissione elettorale statale ha rigettato un’iniziativa popolare – avvenuta tramite raccolta firme in vista della tornata elettorale di novembre – volta ad ancorare il diritto all’aborto alla Costituzione statale. Ebbene, l’Ufficio elettorale aveva incaricato la Commissione di certificare le firme; i due membri repubblicani hanno però cassato la proposta di inserire il quesito sull’emendamento costituzionale nella scheda elettorale per carenza di spaziatura tra le parole del testo della petizione che ne avrebbe compromesso la leggibilità. Spetta ora alla Corte Suprema del Michigan decidere sulla questione e far sì che lo Stato si unisca agli altri quattro in cui – alle elezioni autunnali – l’elettorato sarà chiamato ad esprimersi anche sul diritto all’aborto, ovvero California, Kentucky, Montana e Vermont.
In California e Vermont, infatti, sono in ballo emendamenti costituzionali con cui si sancirebbe, nel primo caso, che lo Stato non può vietare o interferire sulle più intime decisioni del singolo circa la propria libertà riproduttiva, incluse quelle sull’IVG e i contraccettivi; nel secondo, il diritto alla autonomia riproduttiva personale. Ben diverso è invece il tenore dell’emendamento del Kentucky volto all’introduzione all’interno del testo costituzionale di una disposizione che specifichi l’assenza di previsioni normative che riconoscano il diritto all’aborto o che impongano al governo di finanziare l’IVG. Parimenti pro-life è il referendum del Montana ove l’elettorato voterà la Medical Care Requirements for Born-Alive Infants Measure che – se approvata – imporrà di trattare un infante nato vivo (anche nel corso di un aborto) quale persona giuridica, esigendo che l’operatore sanitario, presente al momento dell’espulsione del feto dal ventre materno, intraprenda tutte le azioni medicalmente appropriate e ragionevoli per preservare la vita del neonato.
Ma gli esiti dei referendum sono spesso imprevedibili e sorprendenti come dimostra il caso del Kansas del 2 agosto, il primo a seguito della sentenza Dobbs. È stata difatti bocciata la proposta di emendamento costituzionale volta a sancire l’assenza del diritto all’aborto, che avrebbe dato modo al legislatore di introdurre un divieto totale. Un risultato inatteso, in uno Stato in cui l’accesso all’IVG rimane fortemente limitato dall’assenza di cliniche, che si presta a fare da cartina tornasole dei nuovi umori della popolazione.
I legislatori statali pro-life, nella corsa al divieto all’aborto, si trovano dunque ora a fare i conti con la popolazione, primo detentore della prerogativa a legiferare sull’IVG stando alla sentenza Dobbs. Se vi sia scollamento tra l’opinione delle elettrici ed elettori statunitensi su una materia tanto personale quanto politicizzata – come quella dell’aborto – e quella dei loro portavoce eletti saranno allora le urne autunnali a rivelarlo, senza possibilità di appello.